Interessante, ma è solo un
Interessante, ma è solo un sorvolo molto superficiale. Non entra nel fulcro della delicatissima questione.
Arno Kompatscher è rientrato da poco dall’ennesima trasferta romana, culminata con un incontro, al dicastero delle Finanze, sul delicatissimo tema dell’impugnativa davanti alla Consulta esercitata dal Governo nei confronti della legge finanziaria provinciale. Il nodo del contendere è tutto centrato su una notevole somma che Roma pretende di trattenere per sé e che invece Bolzano voleva destinare ai ristori per le categorie colpite dalla pandemia.
È possibile, ed anzi è probabile, che un’intesa politica, l’ennesima su questa complessa materia, porti ad evitare lo scontro davanti ai giudici costituzionali. Quella che così verrà scritta non è che la pagina più recente, non l’ultima sicuramente, di una vicenda, quella dei rapporti finanziari tra Stato e Province autonome, che costituisce un capitolo a sé stante, nella lunga e complessa storia dell’autonomia.
Una vicenda molto spesso trascurata anche dagli analisti politici, non foss’altro perché la materia è di quelle ostiche da comprendere e da spiegare. Una vicenda in cui punto di partenza può essere fissato, con buona approssimazione, in un articolo del secondo Statuto, il numero 104, che recita così:
Fermo quanto disposto dall’articolo 103 le norme del titolo VI e quelle dell’articolo 13 possono essere modificate con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della Regione o delle due Province.
Una breve spiegazione: le norme del titolo sesto dello Statuto sono quelle che regolavano all’epoca alcuni rapporti finanziari tra Stato e enti locali, mentre l’articolo 13 riguarda le concessioni idroelettriche. Si tratta di materie che col tempo sono state abbondantemente modificate, ma il punto essenziale è un altro. Nell’articolo si stabilisce che questi rapporti possono essere modificati nel tempo con il semplice strumento di una legge ordinaria, a differenza di tutte le altre disposizioni statutarie che, com’è noto, avendo il rango di leggi costituzionali, possono essere cambiate solo attraverso il complesso procedimento di revisione che prevede la doppia lettura in Parlamento e la possibilità, a determinate condizioni, di referendum confermativo.
Già nel 1972, quindi, ci si rendeva conto che la materia dei rapporti economici tra centro e periferia era talmente volatile che l’inchiodarla alla complessità della revisione costituzionale sarebbe significato paralizzare il flusso per il confronto politico in un settore così vitale.
Basti pensare, tanto per fare un esempio, che, proprio negli anni in cui, mezzo secolo fa, veniva alla luce il nuovo Statuto, l’Italia stava compiendo una vera e propria rivoluzione in campo tributario. Quando la nuova autonomia altoatesina diventa operante l’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) è stata impostata definitivamente ma deve ancora sostituire formalmente la vecchia IGE. In fase di passaggio anche le imposte sul reddito delle persone fisiche e giuridiche, con la nascita di IRPEF e IRPEG. Un vero terremoto che avrebbe prodotto notevoli conseguenze anche nei futuri rapporti tra Bolzano e Roma.
Per parecchi anni, anche con la nuova autonomia, il bilancio provinciale veniva supportato finanziariamente con una quota fissa e una quota variabile che veniva contrattata, anno dopo anno, sulla base delle esigenze e delle disponibilità.
Un meccanismo alquanto macchinoso, che aveva tra l’altro il difetto di non permettere alla Provincia di poter contare sino in fondo su risorse certe per programmare i propri investimenti e le proprie attività. Venne superato nel momento in cui fu escogitato e concordato il meccanismo di agganciamento del finanziamento statale al gettito fiscale raccolto in provincia di Bolzano. La riforma risale alla fine degli anni 80 ed è quella che aggancia le finanze provinciali ai 9/10 di tutti i tributi statali riscossi in Alto Adige e riferiti ai redditi delle persone fisiche, giuridiche ed altri soggetti pubblici e privati.
Una situazione che pareva essere fissata nel tempo ma che fu messa in forse dalla grande crisi economica di fine millennio e dalla necessità per lo Stato di rivedere i propri capitoli di spesa.
Il contributo delle due Province al riequilibrio della finanza statale si è strutturato in diversi modi. Al di là delle cifre ci sono due elementi di metodo politico assai rilevanti che hanno finito per prevalere: in primo è quello secondo il quale si è giunti ai risultati via via consolidati attraverso una trattativa, senza imposizioni centralistiche. Il secondo è quello per cui a quantificare il contributo complessivo si è arrivati anche con la devoluzione da parte dello Stato di nuove competenze alle Province che, esercitandole in autonomia, hanno sgravato Roma dai relativi costi.
Il nucleo di questa architettura politica è stato espresso, nel 2009, dal cosiddetto Accordo di Milano, poi modificato e rivisto un quinquennio dopo.
La materia, però, come si diceva, è in eterno movimento e ci si muove, anche in tempi molto particolari come quelli che stiamo vivendo, al ritmo di strappi e ricuciture, con la speranza di arrivare, come sempre è avvenuto in passato, ad una sintesi politica che mette assieme esigenze diverse quando non opposte.
Interessante, ma è solo un sorvolo molto superficiale. Non entra nel fulcro della delicatissima questione.