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“C’è solo da rimboccarsi le maniche”

L’innovazione culturale è nelle mani dei giovani, in Alto Adige come nel resto d'Italia. Ne è convinto Bertram Niessen, uno dei maggior esperti in materia.

Bertram Niessen, tutti sanno che l’Italia è strapiena di cultura ma nello stesso tempo continua a perdurare lo stereotipo che recita ‘con la cultura non si mangia’. Che fare con questa contraddizione di fondo?
Bertram Niessen - A dire il vero in questi anni ci siamo divisi tra due stereotipi collegati tra loro. Dopo ‘con la cultura non si mangia’ è saltata fuori infatti l’altra forma retorica ‘con la cultura si mangia’ che per molti versi è altrettanto perniciosa. In realtà questi due assoluti sono entrambi falsi.
Che l’Italia abbia una quantità esorbitante di beni culturali, materiali e immateriali, naturalmente è assolutamente vero. Però è altrettanto vero che manca ancora completamente una visione d’insieme che sappia bilanciare l’investimento dal punto di vista della ricerca e quindi dell’approfondimento di nuovi modi possibili di mettere a valore questo patrimonio da un lato, e invece un discorso molto più imprenditoriale e di mercato dall’altro.

Cosa vuol dire innovazione culturale? E, soprattutto, in che modo la cultura può oggi dare da vivere in Italia in una prospettiva di costruzione del futuro?
Innovazione in cultura è un termine che ci siamo un po’ inventati noi operatori del settore negli ultimi anni. E con innovazione culturale in realtà noi intendiamo due cose distinte che però sono poi collegate tra loro. Innanzitutto si parla di innovazione del ’settore’ culturale, quindi delle industrie culturali e creative. Stiamo parlando di tutto quello che ha a che fare con le arti performative e il mondo museale. Ma anche allo stesso tempo con la comunicazione, il design, i media, eccetera. Questo aspetto è molto importante perché chiaramente il modo in cui si progetta, distribuisce e produce cultura, negli ultimi 10/15 anni è cambiato tantissimo per via di una serie di trasformazioni tecnologiche da un lato e sociali dall’altro. C’è dunque bisogno di trovare nuovi strumenti che innovino il settore.
Un secondo aspetto riguarda il mondo del lavoro in senso stretto e quindi con le necessità di chi è all’interno di una carriera nel settore della cultura di trovare una sostenibilità vera e propria e di lungo periodo.

C’è poi la questione generazionale. Quale può essere il ruolo oggettivo dei più giovani in questa prospettiva?
Esiste tutto un mondo di bandi, sia di finanziamento diretto che di formazione, accelerazione, incubazione, che danno la possibilità ai più giovani di sperimentarsi nell’organizzazione culturale. Poi c’è tutto un proliferare di ‘residenze’, non solo per artisti ma anche per curatori, manager culturali e ricercatori, che consentono di inserirsi in un contesto spesso anche internazionale e di approfondimento, riorganizzando in prospettiva il proprio lavoro. Particolarmente interessanti sono i bandi europei che hanno cambiato decisamente la loro natura negli ultimissimi anni e che ora mirano più all’efficacia del processo, piuttosto che alla soddisfazione di semplici criteri intesi come parole d’ordine o anche mode.
Insomma: c’è un sacco da lavorare e da rimboccarsi le maniche, proprio perché viviamo in un mondo in velocissima trasformazione in cui spesso chi detiene le leve delle risorse non ha idea della direzione che si sta prendendo. Oppure semplicemente non è particolarmente interessato alle conseguenze.
In questo senso i più giovani devono essere in grado di osservare le trasformazioni in atto per quanto riguarda le relazioni di potere. E poi di essere in grado di reagire prontamente, non solo come singoli individui ma anche in modo organizzato e con una logica di rete.

Con ogni probabilità necessita anche una revisione del sistema di finanziamento della cultura. E molto spesso capita che sia pubblico che privato chiedano aiuto nel tentativo di ridefinire le della modalità da adottare, alla luce delle trasformazioni che avvengono.
Occorre ripensare in modo articolato all’impatto delle attività culturali. Molto spesso si tende a vederlo esclusivamente sotto il profilo economico, ma sono altri indicatori a prevalere come ad esempio la coesione sociale, oppure con la capacità di mettere in condizione i gruppi di immaginare qualcosa per sé stessi o per la società che hanno intorno.

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Questo articolo è stato originariamente realizzato da Luca Sticcotti ed è stato pubblicato sulla prima edizione dell'annuario del Servizio Giovani della Provincia autonoma di Bolzano.