Economia | Il personaggio

Diavolo di un Thun!

In un’intervista concessa al quotidiano “Il Giornale”, il presidente dell’omonima azienda rivela il suo pensiero politico.

Di solito non leggo “Il Giornale”, quotidiano della famiglia Berlusconi e quindi monotono assertore del Verbo (verbo oggi abbastanza balbuziente). Ieri però l’ho fatto perché volevo capire che interpretazione avevano dato alla flaccida apparizione del boss in piazza Maggiore. Una volta espletato questo compito circoscritto, ho continuato pigramente a sfogliare “Il Giornale” e mi sono imbattuto in un paginone curioso, firmato da Piera Anna Franini. Titolo: “Per produrre angeli serve una come Angela”. Siccome gli angeli in questioni erano quelli prodotti dalla famosa (e altoatesina) ditta Thun, ho deciso di leggere l’articolo, consistente in un’intervista a Peter Thun, presidente dell’azienda. E ho scoperto così il suo pensiero politico.

A questa premessa ne faccio però seguire un’altra. Non ho mai capito perché la gente (un mucchio di gente) apprezzi i prodotti della Thun, e segnatamente l’oggetto che ne identifica il marchio: gli angioletti di ceramica. Ovvio, il kitsch ha un suo mercato, ma le proporzioni del successo attribuito alla Thun rasentano l’apocalisse del buon gusto. Gli angioletti, a quanto si legge, albergano ovunque, soprattutto in Italia, e possono planare su un tavolo o una mensola senza che l’occupante dell’abitazione manco se ne accorga. Visto l’argomento si potrebbe parlare di un miracolo. E ogni miracolo ha sempre qualcosa di diabolico.

Sono bisogni oscuri, ferite profonde, paure antiche.

Sulla mia pagina Facebook ho lanciato così un’inchiesta: perché quella robaccia (mi permetto di definirla così in base al mio personale gusto estetico) riscuote tanto successo? L’esimio professor Simone Marchesi (Università di Princeton) l’ha messa giù così: “Sono bisogni oscuri, ferite profonde, paure antiche”. E di rimando, però senza ironia, il critico gastronomico Angelo Carrillo, ha affermato: “La signora Thun ha ricreato non solo l'immagine, ma la sensazione [di una messa tirolese, ndr]. L'innocenza, l'estasi mistica e spirituale. La felicità dei visi paffuti. La salute nelle gote rosse”. Ma il punto, a mio avviso, è stato centrato dal Barone Sigmund Kripp (collega nobile di Peter, visto che quest’ultimo si fregia del titolo di Conte), che riecheggia in sostanza l’opinione di Marchesi (quest’ultimo non nobile, nonostante il nome): “Sie sind schlicht und einfach Kitsch. Und Kitsch dient immer der Befriedigung von Ursehnsüchten nach Heiler Welt” (traduco all’impronta: sono puro e semplice Kitsch. E il Kitsch serve sempre a soddisfare il bisogno primordiale di un mondo incorrotto).

Dato per inspiegabile ciò che è inspiegabile (e lo è davvero, anche per chi, come me, ha letto e meditato il saggio di Hermann Broch), vengo ora alla parte più interessante dell’intervista a Thun, quella, per l’appunto, di tenore politico.

A un certo punto, infatti, la giornalista affonda la sua lama nella carne dell’attualità etnografica e chiede: “Lei è altoatesino fino all’ultima fibra anche nell’approccio professionale. Corretto?”. Ed ecco la risposta di Thun:

Credo di sì. Qui a Bolzano si guarda molto al mondo anglosassone. Faccio un esempio. Nel dopoguerra, il tedesco si rimboccò subito le maniche. L’italiano, pur dotato di una creatività invidiata dal tedesco, e senza gli enormi danni avuti dal tedesco, non ha raggiunto la solidità della Germania. (…) Puoi avere tutto il talento che vuoi, ma se non viene incanalato, se non si procede ad analisi e a strategie orientate a obiettivi misurabili, tutto si disperde. La sola creatività non produce crescita. La sistematicità nel pensare le cose aiuta, aiuta anche a compensare una creatività minore. E poi ci vuole massima dedizione e rispetto del prossimo. In Germania si è votata Angela Merkel e la si lascia lavorare. In Italia, ogni primo ministro viene messo sotto processo, si ridiscutono le regole”.

Prendiamo per buona e mettiamo da parte l’ammissione involontaria sulla propria mediocre creatività (corretta dalla teutonica pianificazione del lavoro), il frammento sociologico dell’intervista ci conforta nella supposizione che, ad essere Kitsch, non siano solo gli angioletti di Thun, ma anche tutto l’impianto cognitivo che ci sta dietro.

Ed infine il pezzo forte. “A che punto è – chiede Franini – il dialogo fra italiani e tedeschi a Bolzano”? La domanda è di quelle da un milione di euro e perciò conviene che vi segnate la risposta e la trascriviate su un foglietto da riporre, eventualmente, nella boccuccia sempre aperta di uno degli angioletti che anche voi, ne sono certo, avrete messo a prender polvere da qualche parte della vostra casa.

Abbiamo bisogno di un ulteriore cambio generazionale perché questo rapporto sia naturale. È un processo lungo. A mia madre venne cambiato il nome, dal tedesco all’italiano. Io sono stato battezzato Peter e tale sono rimasto, quindi è stato fatto un passo in avanti. Ora mio figlio si chiede perché si discuta di questo: forse il processo si sta completando, ma ci vuole del tempo.

Ci vuole del tempo, dice Thun. È un processo lungo. Ora no, ma domani sicuramente sì, o comunque forse. Praticamente le stesse parole che ripetono tutti da sempre. Del resto, perché mai mettere in crisi un modello che più o meno sta bene a tutti? Maestro indiscusso del Kitsch, anche nel caso del cosiddetto “problema della convivenza” l’imprenditore opta per il Kitsch dell’attesa. Sembra di leggere le evoluzioni statiche di Arno Kompatscher lettore di Langer: “Langer aveva ragione, ma noi avevamo più ragione di lui a dargli torto, e comunque i tempi non sono ancora maturi per…”. Inconsapevolmente (molto inconsapevolmente) l’interpretazione angelicata del Thun politico fotografa il lento spostamento che dal “gegeneinander” ha condotto all’attuale “nebeneinander”, comunque sempre più prossimo ad un pigro “ohneeinander” che al millantato (ma in realtà ben più arduo da raggiungere) “miteinander”. Evidentemente, aveva proprio ragione il professor Marchesi: “Sono bisogni oscuri, ferite profonde, paure antiche…”.

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Wilfried Meraner Mar, 11/10/2015 - 22:18

Du kannst ja Deutsch, und ich tu mich leichter.
Also ich kann nicht nachvollziehen, was an den Ansichten von Peter Thun schlimm sein soll. Willst du etwa sagen, es ist alles perfekt in unseren Beziehungen, und alle die nicht glücklich sind (und die gibt es!) sind einfach Ewiggestrige? Ja, so ist es natürlich sehr einfach.
Fühlen sich wirklich die meisten SüdtirolerInnen deutscher Muttersprache
als echte ItalienerInnen? Würde es den meisten nichts ausmachen, z.B. eine italienische Fahne auf ihr Auto zu kleben? Oder auf ihr Haus? Wenn du z.B. Willi heißt, fühlst du dich mit Guglielmo gleich gut angesprochen?
Das kann jeder an sich selber testen.
Ich bin jedoch der Meinung: die Beziehungen sind NICHT wirklich bereinigt.
Entweder weicht man aus, oder manche sind ziemlich verzweifelt (wenige, zugegeben)
Ich muss hinzufügen: auch ich halte es für eine Bereicherung, dass bei uns zwei verschiedene Kulturen zusammen leben.
Und viele andere "eroberte Gebiete" könnten glücklich sein,wenn es ihnen so gut ginge.
Aber die Problematik, dass Menschen von anderen Menschen etwas aufgezwungen wurde, ist keinesfalls aufgearbeitet.
Ich fürchte, das machen sich die meisten viel zu einfach.
Wer hat das Musical "Die drei Kreuze" gesehen? Dann könnten wir vielleicht besser diskutieren.
Und hiermit setze ich mich wohl offiziell zwischen zwei Stühle.

Mar, 11/10/2015 - 22:18 Collegamento permanente
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Gabriele Di Luca Mar, 11/10/2015 - 23:22

In risposta a di Wilfried Meraner

Ciao Wilfried, confesso che non ho capito bene cosa vuoi dire. Le considerazioni politiche di Thun (per quel poco che se ne può capire dall'intervista de "Il Giornale", e su quella io mi sono basato) sono abbastanza Kitsch perché non vanno in profondità e si limitano a replicare quello che è ormai diventato pieno common sense (qui abbiamo avuto dei problemi, adesso non si sta malaccio, comunque prima di intraprendere qualche passo nuovo è meglio aspettare). Personalmente non ho troppi problemi con una visione del genere (ripeto, si tratta di banale common sense), ma a volte rimpiango una posizione un po' più coraggiosa, anche nel senso di coraggiosamente onesta (avrebbe potuto dire: io mi occupo della mia azienda, di politica ne capisco poco e non mi sembra ci siano grandi problemi). Oggi il Kitsch politico ha due lati: quello à la Sven Knoll (autodeterminazione, Volk im Not, doppio passaporto e tutte le altre puttanate völkisch) e quello di una fantomatica interculturalità "che ci sarebbe negata" (non "ci è negata", siamo "noi" che non abbiamo la minima idea su come progettarla). Quello che faccio io è solo questo: descrivere con ironia l'assoluta mancanza di idee imperante.

Mar, 11/10/2015 - 23:22 Collegamento permanente