Ma ora buon riposo, presidente Durnwalder
Nell'immaginario collettivo sudtirolese Durnwalder è sinonimo di lavoro lavoro lavoro. Si ricorderanno le polemiche sul suo stipendio, nella vulgata superiore a quello della Merkel e di Obama, dunque proverbialmente spropositato. Una somma, nel suo caso, però sempre giustificata col superlavoro, le responsabilità, i risultati raggiunti. Nel bene, qualche volta nel male.
La giornata di Durnwalder, testimoniano agiografi sinceramente ammirati, cominciava al canto del gallo, a causa delle mitologiche udienze alle sei di mattina, e finiva a notte inoltrata. Il primo ad alzarsi, l'ultimo ad andare a letto. In altri tempi, e per qualcun altro, si sarebbe detto: la lampada è sempre accesa nello studio. Mai abbastanza ubiquo e affaccendato, Durnwalder. Mai abbastanza “presente”. E' allora chiaro che appena una tale mole di lavoro ha cominciato finalmente a sfoltirsi (ovviamente, solo un po'), anche l'organismo si sarà sentito in diritto di cedere. Anche se purtroppo l'ha fatto di schianto. Come se l'infarto fosse insomma un campanello d'allarme al contrario, come se volesse dire che il presidente non stava facendo troppo, come ci si sarebbe aspettato da lui, ma non abbastanza. E infatti, apprese le sue condizioni, attonito il Sudtirolo al nunzio sta. Ma come reagisce, come può reagire il Sudtirolo, ammaccata l'immagine di colui che l'ha volontariamente o involontariamente spronato sulla via del fare e dello strafare? “Sta già telefonando”, dicono, intanto. Perchè chi si ferma è perduto. Chi si ferma non è Durnwalder.