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Per un patriottismo mite

Secondo Gian Antonio Stella, firma del Corriere della Sera, l'antidoto allo scontro sulla toponomastica – così come alla crisi dell'Europa – è "un'idea sana di patria".
Gian Antonio Stella
Foto: web

Salto.bz: Da molti anni lei segue con una certa assiduità le vicende trentine e sudtirolesi, con il pregio dello sguardo da “esterno”. Come vede la situazione in Alto Adige, ora che si è riacceso lo scontro sulla “never ending story” toponomastica?
Gian Antonio Stella: Qualche giorno fa, Michele Ainis su Repubblica sosteneva che oramai la lingua italiana rischia di essere difesa dai magistrati in una funzione di supplenza. Conosco troppo bene Ainis per immaginare che chieda l'intervento della magistratura: lui pone un problema, la sua è una posizione in po' più complessa. Il tema c'è, e dico in fretta come la penso: ci sono carte antiche che tutti possono visionare – una su tutte, quella dello straordinario cartografo olandese Joan Blaeu – dove Bolzano è chiamata Bolzano, e siamo nel Seicento. Ed è giusto che si chiami bilingue. Se si chiama “Bozen” e poi “Bolzano” non è una questione fondamentale. Poi ci sono degli altri casi, cito Egna, in cui (se ben ricordo) è chiara la derivazione latina: accendevano i fuochi quando doveva essere giorno di mercato, in modo tale che lo venissero a sapere sulle montagne. Dove c'è una radice storica, è bene tenere le due denominazioni. E così vale in posti dove ormai s'è insediato l'italiano. A Vipiteno, dopo un secolo di permanenza, gli italiani si sono mischiati sposandosi con sudtirolesi e avendo figli “misti”: è ovvio che Sterzing debba chiamarsi Vipiteno.

Nessuno però mette più in discussione questi nomi. La questione ruota attorno a toponimi decisamente meno importanti.
Dove non c'è mai stato né ci ha mai vissuto un italiano, e dove nessuno ha mai chiamato quei posti con traduzioni letterali dal tedesco a volte un po' ridicole, capisco che lì si dica di cancellarle. Allo stesso tempo, devo dire anche che, con generosità, il gruppo linguistico tedesco potrebbe andarci cauto nel pretendere certe cose e lasciare dove è possibile il doppio nome: una lingua si mischia. Basta guardare dall'altra parte, all'Istria e al tuffo al cuore che può avere un italiano nel vedere i cartelli stradali dove Fiume è chiamata solo Rijeka, o a Cittanova, per secoli platealmente veneziana e per estensione italiana. Non sono uno che vuole difendere il doppio toponimo a tutti i costi. C'è una quota di nomi che si possono lasciare come erano originariamente? Va benissimo.

“Con generosità, il gruppo linguistico tedesco potrebbe andarci cauto e lasciare dove possibile il doppio nome”

La sua famiglia è originaria dell'altopiano di Asiago, un territorio di lingua cimbra. Come viene percepita la toponomastica di derivazione germanica nel Veneto di Zaia?
Asiago non è stata italianizzata dall'Italia dopo il 1866, come sostiene qualche leghista: già alla fine del Settecento i parroci non tenevano più la messa in tedesco, ma la facevano in italiano. Sono fenomeni storici, la storia prende percorsi che a volte non capiamo. La mia famiglia ha ancora tutti i campi con nomi tedeschi: Ebene è rimasto Ebene, Berga è rimasto Berga, nomi cimbri, e ne cito solo due. Per questo è sbagliato il fanatismo di chi vuole tenerli tutti, ed è sbagliato il fanatismo di Eva Klotz che pensa Bolzano sia stata italianizzata dopo il 1919, quando sta sulle mappe di Blaeu. Sono un acerrimo nemico dei fanatismi dell'una e dell'altra parte. Credo invece nel buon senso.

A un accordo di buon senso sembrava giungere la Commissione dei Sei, con la lista di nomi stilata dal senatore Francesco Palermo e corretta dal CAI. I mal di pancia italiani impediscono però un compromesso, per conservare tutto, anche quanto non è in uso.
Io sono favorevole al principio dell'uso. Vale per l'Istria e vale per l'Alto Adige.

“Sono un acerrimo nemico dei fanatismi, credo nel buon senso. Sulla toponomastica sono favorevole al principio dell'uso”

Siamo nel quarto anno di governo per Arno Kompatscher, presidente più “moderno” rispetto al predecessore Durnwalder. Di questa evoluzione non sembrano però beneficiare gli italiani del Sudtirolo: ritornano gli echi vittimistici del “disagio”, alla Vassalli, che a Bolzano si tramutano in un voto a CasaPound, dopo la crisi del centrodestra berlusconiano.
Facciamo una premessa. Dopo quanto è stato fatto non solo dal fascismo, ma anche nei primi decenni post-bellici – penso al piano Fanfani per le case popolari, quando l'Italia ha cercato di colonizzare l'Alto Adige – sono sempre stato favorevole alla scelta di Silvius Magnago, personaggio straordinario e indimenticabile, di forzare la proporzionale. Ha fatto bene. E io che sono un po' estremista sulla questione delle donne, credo che la quota rosa andrebbe forzata (ovvero forzando l'immissione di più donne rispetto agli uomini) finché non si ripristina una decente parità, esattamente come è stato fatto in Alto Adige. Detto questo, la proporzionale non può diventare un dogma, che se hai un oculista cretino e uno fantastico, scegli tra il tedesco o l'italiano. Anche qui ci vuole buon senso. Siamo dentro la stessa Europa, c'è il confine di seta invocato da Magnago.

Il confine del Brennero non è poi così “di seta”.
Il confine di seta è stato messo a rischio dai governanti austriaci, da un nazionalismo austriaco insensato e offensivo nei confronti dei sudtirolesi stessi. Se io fossi sudtirolese, mi sentirei offeso da questa posizione così estremista, presa per ragioni di pura bottega elettorale austriaca, per beghe politiche interne. Non sta né in cielo né in terra. Detto questo, l'estrema destra italiana ha torto, ma segnala un problema: non è un bene che la famiglia Ebner abbia comprato l'Alto Adige. Non ho dubbi che Michl Ebner sia un buon editore: per quello che riesco a leggere attraverso le traduzioni dal tedesco, il Dolomiten è un giornale serio, non ho obiezioni ideologiche. Ho obiezioni sul monopolio tedesco che arriva a gestire il più importante e storico giornale di lingua italiana.

“Non è un bene che gli Ebner abbiano comprato l'Alto Adige”

In questo modo però il quotidiano “Alto Adige” è sopravvissuto – con i suoi posti di lavoro. Non è una buona notizia, in tempi di crisi dell'editoria?
Il contrario non sarebbe mai successo. Il punto è proprio questo: come ha detto giustamente Luis Durnwalder da me interpellato sull'argomento, l'inverso non è possibile. Se ai tempi buoni Carlo Caracciolo (primo editore de La Repubblica e L'espresso, ndr) avesse cercato di comprare il Dolomiten, sarebbe successa la rivoluzione. E, posso dirlo? Una rivoluzione giusta. Io sono per un patriottismo mite, sono sempre stato di quest'idea. Credo di avere un'idea sana della patria. Amo la mia patria che è l'Italia, la mia piccola patria che è Asiago – non sempre coincide con l'Italia, ma sicuramente a largo spettro coincide con l'Italia. Ho il mio patriottismo mite, non sono un fanatico, non voglio esserlo. Qualcuno non ha fatto bene il suo mestiere per difendere un patriottismo mite italiano in Alto Adige.

Di chi è la responsabilità?
Di una classe politica spesso scadente, che ha dato l'impressione di mettersi d'accordo con la SVP solo sulle quote di potere che toccavano agli italiani. Senza entrare nel merito dell'egemonia culturale consegnata giorno dopo giorno alla SVP. Dopodiché, grazie a dio, la SVP è un partito conservatore che guarda a sinistra più che a destra: persino Durnwalder arrivò a dire “meglio comunisti che fascisti”. Detto ciò, i rigurgiti di Casa Pound segnalano un malessere vero, da non sottovalutare. Anch'io so che la percezione delle cose, a volte, è sbagliata. Gli italiani sono convinti che gli immigrati stranieri siano il 30%, invece sono meno del 10%. Però devi tenere conto che c'è un'insofferenza crescente del gruppo italiano, il quale si sente sempre più minoranza, con sempre meno influenza. Roma tratta con Bolzano, la SVP tratta direttamente con Roma, e questo–non–va–bene. Alla lunga, può far venir fuori le tentazioni sul “abbiamo fatto 30, facciamo 31” e sarebbe un errore gravissimo da parte della comunità di lingua tedesca.

“I rigurgiti di Casa Pound segnalano un malessere vero”

Il Sudtirolo potrà restare ancora a lungo un'isola felice? L'Austria vede una destra nazionalista sempre più agguerrita, così come la Germania, apparentemente immune al populismo xenofobo.
La Germania non è mai stata immune. Però è vero che l'egemonia culturale più ancora che politica di Angela Merkel – e prima di lei di un uomo formidabile come Kohl – è riuscita a contenere certi rigurgiti affermatisi soltanto nella Germania dell'Est, sulla scia del comunismo i cui danni ancora paghiamo. Questo è uno dei motivi per cui io sono sempre più rigido nella difesa di alcuni principi del “patriottismo mite”. Cosa me ne faccio di un'Europa in cui portiamo dentro Estonia, Lettonia e Lituania – per motivi geopolitici non nobilissimi, come sottrarre quei paesi all'influenza russa – e li copri di denaro per potersi riprendere, dopodiché questi si rifiutano di accogliere 150 profughi dalla Siria? L'Europa intera ha fatto il tifo per decenni per gli ungheresi. Non volete più stare in Europa? State fuori, tornatevene a casa vostra, se volete tornare da soli. Proprio perché sono un europeista convinto, sono favorevole a buttarli fuori. L'Europa ha un senso solo se i confini sono di seta – come invocava Silvius Magnago – e solo se serve per trovare dei denominatori comuni. Se invece l'Europa è un motivo di discordia e diventa un “ah, ma io sono diverso da te” non m'interessa.

“Non volete più stare in Europa? State fuori, tornatevene a casa vostra, se volete tornare da soli”

Quale ruolo gioca l'Italia in questo scenario?
Nonostante tutto, l'Italia resta un paese europeista. Certo, in qualche occasione, con Renzi siamo stati noi a fare i galletti. Su certe cose ci siamo sentiti traditi dall'Europa. Se scegli di superare il passato per cercare di stare insieme, non è possibile che per esempio sull'immigrazione la grande Europa si volti dall'altra parte. Devo dare atto ad Angela Merkel di essersi comportata in modo magnifico nel caso dell'emergenza dei profughi dalla Siria, di aver tenuto la barra dritta nonostante i sussulti che aveva all'interno. Ma il resto dell'Europa dov'è? So anch'io che è più facile sbarcare a Lampedusa che a Marsiglia o a Nizza. Solo per questo hanno diritto di girarsi dall'altra parte? Mi facciano capire: i guai nel Medio Oriente li ha creati la Gran Bretagna oppure no? I britannici hanno spaccato il mondo arabo, messo da parte i curdi riducendoli in tre stati diversi perché potevano dare fastidio, dopodiché sono cavoli nostri se ci arrivano i profughi? È una cosa vergognosa.

Difatti il Regno Unito, con la Brexit, ha tagliato l'angolo.
La Gran Bretagna ha fatto un errore a uscire. Vuole andarsene? Se ne vada, però deve beccarsi tutte le contraddizioni interne. L'Irlanda del Nord chiede il referendum? Glielo devono dare. La Scozia idem. Non si possono fare i giochetti con l'autonomia e l'autodeterminazione soltanto dove ci fa comodo. Non funziona così.