Il SAI, un trampolino verso l'autonomia

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Per la prima volta da quando è arrivato in Alto Adige, R. è seduto nella sala d’attesa del suo medico di base a Chiusa. Quando arriva il suo turno, il 46enne iraniano entra in ambulatorio e spiega al dottore che la sera, quando legge, distinguere le parole gli costa sempre più fatica. Il medico controlla rapidamente la sua scheda anagrafica e con garbo gli spiega che alla sua età l’insorgere di un principio di presbiopia è perfettamente normale. “Le prescrivo un’impegnativa per una visita oculistica, ma considerando i tempi di attesa piuttosto lunghi nel frattempo le consiglio di andare da un ottico per effettuare una misurazione della vista e provare degli occhiali da lettura”, gli dice. R. annuisce, ritira l’impegnativa e ringrazia il medico. Uscito dall’ambulatorio, si dirige verso la stazione, perché per tornare a casa deve prendere l’autobus. Da novembre, infatti, R. vive a Velturno, in uno degli appartamenti del progetto SAI della Comunità comprensoriale Valle Isarco.
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Una storia lunga più di vent’anni
Le prime tracce del Sistema di accoglienza integrata (SAI) risalgono al 2001, quando il Ministero dell’Interno, l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e l’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) siglarono un protocollo d’intesa per la realizzazione del Programma Nazionale Asilo, il primo sistema pubblico per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, diffuso su tutto il territorio italiano, con il coinvolgimento delle istituzioni centrali e locali. Un anno più tardi il governo Berlusconi promulgò la legge n.189/2002, che istituzionalizzò le misure di accoglienza diffusa, attraverso la costituzione del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). Questo modello formalizzò l’accoglienza di piccoli gruppi di persone in appartamenti, accompagnate da équipe multidisciplinari chiamate a operare in diverse aree di intervento: dall’apprendimento linguistico all’assistenza legale, dalla tutela psicologica e sanitaria all’orientamento lavorativo e abitativo.
Nel 2018, il cosiddetto “Decreto Salvini” escluse dal sistema SPRAR – ribattezzato SIPROIMI – i richiedenti asilo.
Negli anni successivi il sistema di accoglienza diffusa andò incontro ad alcune riforme: nel 2018, il cosiddetto “Decreto Salvini” escluse dal sistema SPRAR – ribattezzato SIPROIMI – i richiedenti asilo, riservando l’accoglienza esclusivamente a titolari di protezione e minori stranieri non accompagnati; in seguito, nel 2020, il decreto legge 132 del governo Conte II reintrodusse le condizioni originali dello SPRAR, ora denominato SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione). Il sistema prevede due livelli di servizi di accoglienza: al primo livello accedono i richiedenti protezione internazionale, al secondo livello i titolari di protezione e i minori stranieri non accompagnati.
Nel 2014, l’aumento degli arrivi dalla rotta del Mediterraneo – circa 170.000 persone – evidenziò i limiti di questo sistema, che allora contava su 20.752 posti e 432 progetti. Vennero quindi istituiti i Centri di accoglienza straordinari (CAS). Queste strutture, che uno studio di MEDU ha definito “luoghi ri-traumatizzanti”, si impongono ancora oggi come il modello di accoglienza privilegiato a livello nazionale e locale. I dati del Ministero dell’Interno rivelano che al 15 marzo 2025, erano 137.846 le persone in accoglienza sul territorio nazionale: 99.638 sono inserite nei CAS, quasi il triplo di quelle che beneficiano dei progetti SAI, che si attestano a 38.207 unità. Situati spesso ai margini delle città, i CAS ospitano un gran numero di persone in edifici – spesso alberghi, fabbriche e caserme in disuso – in molti casi fatiscenti.
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Anche in Alto Adige, negli ultimi dieci anni l’accoglienza dei richiedenti asilo è stata gestita come un fenomeno emergenziale e transitorio. A fine 2017 i CAS erano 30 e ospitavano 1642 persone, poi dal 2018, complice il temporaneo calo degli arrivi dal Mediterraneo, molti centri sono stati progressivamente chiusi. Secondo i dati diffusi lo scorso ottobre dall’assessora provinciale Rosemarie Pamer, i Centri di accoglienza straordinaria oggi sono undici, distribuiti in otto comuni, e ospitano 567 persone. La prima partecipazione all’allora progetto Sprar a livello locale risale, invece, appena al 2017, quando sei Comunità Comprensoriali – Valle Isarco, Val Pusteria, Salto Sciliar, Burgraviato, Val Venosta, Oltradige Bassa Atesina – aderirono al modello di accoglienza diffusa con 223 posti per il triennio 2018-2020. Alla scadenza del bando solo tre Comunità proseguirono l’esperienza e, attualmente, le iniziative in corso fino alla fine del 2026 contano 105 posti. Tra i progetti che hanno puntato con convinzione sul modello SAI c’è quello della Comunità comprensoriale Valle Isarco.
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Il lavoro del SAI Valle Isarco
“Al centro del nostro lavoro ci sono i diritti di richiedenti asilo e rifugiati, con i quali instauriamo una relazione basata sulla coerenza e la trasparenza al fine di costruire percorsi verso la loro completa autonomia”. Ennio Formisani, educatore, descrive così focus e obiettivi del progetto SAI Valle Isarco. L’iniziativa ha sede a Bressanone e conta 27 posti per titolari di una protezione – 23 uomini e 4 donne – suddivisi in quattro comuni del territorio: Villandro, Velturno, Luson e Sciaves. “I tempi di permanenza all’interno degli appartamenti sono di sei mesi, prorogabili per altri sei mesi”, spiega l’educatore. Aderendo al SAI ciascun beneficiario sottoscrive un Piano di autonomia individuale (PAI), che si concentra sul potenziamento di sei aree specifiche: formazione, integrazione abitativa e lavorativa, salute, lingua, situazione legale.
“Al centro del nostro lavoro ci sono i diritti di richiedenti asilo e rifugiati, con i quali instauriamo una relazione basata sulla coerenza e la trasparenza.”
Le persone inserite hanno esperienze e traiettorie diverse – alcuni hanno vengono da anni di accoglienza in un CAS, altri si trovavano invece in strada –, così come differenti sono anche le loro situazioni di vita: c’è chi ha un’età piuttosto avanzata, chi soffre di problemi di dipendenza, chi deve ancora acquisire buone competenze linguistiche. “Va detto, però, che la difficoltà più grande che incontrano i nostri beneficiari è legata all’abitare, anche in presenza di un contratto di lavoro stabile”, precisa Formisani. Un problema che si fa ancor più pressante quando ci si avvicina all'uscita del progetto. È questa la situazione in cui si trova D., la cui accoglienza a Villandro terminerà tra poco più di un mese. Nonostante il lavoro a tempo indeterminato presso una rinomata azienda dell’Alta Valle Isarco, la sua costante ricerca di un appartamento in affitto non ha prodotto alcun risultato. “Ho inviato tantissime richieste e la risposta è sempre la stessa: ‛abbiamo già trovato’ – racconta –. È difficile pensare che questi riscontri non siano legati anche a pregiudizi nei confronti di noi stranieri”.
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Va riconosciuto, quindi, che molto spesso il modello di accoglienza diffusa diventa suo malgrado una soluzione tampone per evitare che le persone finiscano – o continuino a vivere – in strada. “In questo senso la sicurezza di un tetto sopra la testa dà ai beneficiari un po’ di respiro e permette loro di concentrarsi sul futuro”, aggiunge l’educatore. Tipo W., che lavora come addetto alle pulizie e alla mensa nel cantiere del Brenner Basis Tunnel (BBT), ma vorrebbe ritornare a fare l’operatore socio-sanitario, professione che svolgeva prima di lasciare il suo Paese. “Ho lavorato tutta la mia vita come Oss, ma in Italia non ho alcuna certificazione – spiega –. Per questo ora vorrei iscrivermi a un corso preparatorio del Fondo sociale europeo, sostenere l’esame e ottenere così il fatidico attestato.” Per raggiungere questo obiettivo W. frequenta il corso di italiano del SAI, concentrandosi in particolare sul lessico specifico della professione. “Noi lavoriamo affinché il SAI sia soprattutto un trampolino di lancio per le persone accolte – dice Formisani –, un’occasione per spiccare il volo e provare a realizzare le loro aspirazioni”. Uno dei percorsi che rappresenta bene questa visione è quello intrapreso da R.
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In cerca di futuro
Il viaggio di R. è iniziato 15 anni fa – quando è dovuto fuggire dal suo Paese, l’Iran – e ha toccato il Nord Europa, la Germania e, infine, l’Italia. “I primi anni li ho vissuti in Norvegia, dove ancora oggi abita mia sorella”, racconta. In Iran R. faceva il cuoco e, grazie alla sua esperienza non ha difficoltà a trovare lavoro. Quando, però, le autorità del Paese non gli rinnovano il permesso di soggiorno si vede costretto a spostarsi in Svezia. dove, dopo una lunghissima attesa, gli viene negata la protezione internazionale. Vive per due anni da invisibile: senza documenti può lavorare solo in nero per sopravvivere. “Molto spesso non venivo pagato, tanto sapevano che se avessi sporto denuncia, da irregolare, avrei rischiato il rimpatrio”. Appena ne ha la possibilità, R. si sposta verso la Germania, ma anche qui il copione è lo stesso: due anni di attesa e asilo negato.
Il viaggio di R. è iniziato 15 anni fa dall'Iran e ha toccato Norvegia, Svezia, Germania e Italia.
Nel 2019 l’arrivo in Italia, a Catanzaro. “In Calabria non c’erano molti sbocchi – continua –, il lavoro era quasi sempre ai limiti dello sfruttamento”. Un amico da anni residente in Alto Adige lo convince a partire di nuovo, direzione Bolzano. “Mi diceva che avrei avuto maggiori possibilità, ma anche qui le prime esperienze non sono state positive”, confessa R. Anche in Sudtirolo, infatti, i primi tempi lavora in nero e non sempre gli viene corrisposto lo stipendio. “Le cose sono cambiate dallo scorso anno, quando finalmente ho ottenuto l'asilo politico e a novembre sono stato accolto all’interno del progetto SAI della Valle Isarco”. Dopo tanti anni di incertezza ed eterno peregrinare, ora R. può iniziare a pensare di nuovo al futuro.
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Con il supporto del team del SAI, R. da qualche settimana ha iniziato un tirocinio professionale di 500 ore presso il Seeburg di Bressanone, una struttura per persone in situazione di handicap. Qui ha ritrovato il suo mestiere di cuoco e, soprattutto, la fiducia che negli anni di incertezza e lungo peregrinare era andata un po' persa. “Ogni giorno prepariamo un centinaio di coperti per gli ospiti della struttura e per le persone che beneficiano del servizio pasti a domicilio”, dice con orgoglio. Quando stacca dal lavoro, nel primo pomeriggio, R. frequenta il corso di tedesco e italiano offerto dal SAI per prepararsi all’esame di bilinguismo B1. Al contempo si sta già muovendo per trovare un posto di lavoro in vista della fine del tirocinio, prevista per la fine dell’estate. Di questi tempi, quindi, le giornate del 46enne iraniano sono costellate di impegni. “Praticamente a Velturno torno solo la sera – confessa R. –, ma devo ammettere che anche prima di questo periodo intenso le occasioni di contatto con la popolazione del paese sono state rare”.
R. ha ritrovato il suo mestiere di cuoco e, soprattutto, l’autostima che negli anni di incertezza e lungo peregrinare era andata un po’ persa.
“Come per tutti, anche per le persone che accompagniamo non sempre l’integrazione lavorativa procede di pari passo con un inserimento nel tessuto sociale nel territorio”, riprende Ennio Formisani. Per questo il team del SAI Valle Isarco intende riprendere l’attività di informazione e sensibilizzazione, come era stato fatto con profitto all’inizio del progetto, nel 2018, quando i paesi della Valle Isarco si confrontarono per la prima volta con la questione migratoria. Allora il SAI fu capace di coinvolgere le comunità locali nel processo di accoglienza. A Villandro, per esempio, si era creata una rete di volontari su cui operatori e beneficiari possono contare ancora oggi. “Per il prossimo anno e mezzo lavoreremo alacremente su questo fronte – conclude Formisani –, perché siamo convinti che solo attraverso la condivisione possano nascere relazioni significative tra gli abitanti dei paesi coinvolti e i loro ‛nuovi vicini di casa’”.
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Il team SAI Valle Isarco
L’équipe multidisciplinare del progetto SAI Valle Isarco, coordinato da Markus Frei, è composta dagli educatori Ennio Formisani e Stefania Giacoppo (ritratti nella foto di apertura, ndr), dalla pedagogista Wally Klapfer, da Deborah Fiorini, collaboratrice amministrativa, e da Jacob Mureda, insegnante di italiano e tedesco. Fernando Biague e Corrado Finocchiaro si occupano, invece, rispettivamente della consulenza psicologica e di quella legale in qualità di collaboratori esterni.
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