Società | Notti fuori / 6

Contro la povertà

I dispositivi repressivi utilizzati dalle istituzioni del territorio spingono le persone più fragili nell’invisibilità: sgomberi, fogli di via e retorica del "degrado" sono strumenti di un potere che, quasi sempre, schiaccia i più deboli.
sgombero novembre 2024
Foto: Comune di Bolzano
  • “Sgomberate nove tende posizionate abusivamente sotto il viadotto autostradale nei pressi di ponte Palermo. L’intervento, programmato da tempo, è stato effettuato questa mattina”. Con queste parole, lo scorso 8 novembre, il Comando della Polizia Municipale di Bolzano ha annunciato lo sgombero di tende e giacigli di alcune persone senza dimora nell’area Sud del capoluogo. A questa prima operazione ne sono seguite altre due, l’11 e il 18 novembre, confermando l’approccio repressivo che l’amministrazione comunale di Bolzano attua ormai da tempo nei confronti di chi vive ai margini.

  • Tra sgomberi e criminalizzazione

    “Sgomberando le persone senza dimora, buttando via le tende e, spesso, anche i loro effetti personali, si vuole mandare loro un messaggio chiaro: ‛in questo territorio non vi vogliamo e ve ne dovete andare’”. Non usa mezzi termini Federica Franchi, attivista di Bozen Solidale, per descrivere il “pugno duro” dell’amministrazione comunale di Bolzano nella gestione del fenomeno della grave emarginazione, che “colpisce soprattutto cittadini stranieri lavoratori, spesso richiedenti asilo o titolari di protezione, che tengono in piedi una buona parte dei settori produttivi locali – edilizia, agricoltura turismo”. 

    Un approccio che il Comune porta avanti con costanza dal 2015 ad oggi. “L’ultimo corto circuito è avvenuto quest’anno – spiega Franchi – quando, dopo il 1° novembre e l’apertura dei Ricoveri Notturni Invernali, erano ancora centinaia le persone in strada”. In seguito all’ultimo intervento di polizia locale, A22 e Seab, lo scorso 19 novembre gli attivisti di Bozen Solidale si sono presentati in Consiglio comunale, dove hanno chiesto e ottenuto lo stop agli sgomberi e l’aggiunta di almeno 20 posti letto nel Ricovero notturno Invernale cittadino, passato così da 95 a 115 posti letto.  “Attraverso quell’azione abbiamo voluto mostrare che una società accogliente esiste e, soprattutto, ribadire che se un’altra persona fosse morta assiderata, la responsabilità sarebbe ricaduta sulle istituzioni comunali e provinciali”. L’attivista bolzanina fa riferimento alla vicenda di Mostafa Abdelaziz Mostafa Abouelela, 19enne morto di freddo la notte tra l’8 e il 9 dicembre 2022, mentre dormiva sotto i piloni del viadotto autostradale a Bolzano Sud. Il decesso del giovane avrebbe dovuto segnare uno spartiacque nell'approccio alla grave emarginazione in provincia di Bolzano, “ma ancora oggi la gestione dell’homelessness poggia sempre e solo su strategie di breve respiro”, afferma Franchi, che sottolinea come “in occasione degli incontri in Comune tra l’assessore alle politiche sociali e le realtà del terzo settore e della società civile abbiamo chiesto più volte l’inizio di un percorso strutturato di accoglienza per i diversi target che vivono in strada – senza dimora e lavoratori stranieri – così da lasciarci alle spalle l’emergenzialità, ma dopo due anni siamo sempre punto e a capo”. 

     

    “Intervenendo in Consiglio comunale abbiamo voluto mostrare che una società accogliente esiste.”

     

    Uno scenario da anni immutabile, quindi, all’interno del quale Bozen Solidale si muove a sostegno delle persone in condizioni di marginalità. L’organizzazione di volontariato bolzanina garantisce, tra le altre cose, un supporto nella ricerca lavoro e il disbrigo di pratiche burocratiche e un aiuto pratico e immediato a chi è costretto in strada, con la distribuzione di tende e sacchi a pelo. Quest’attività di solidarietà, in particolare, non si scontra solo con l’assenza di una visione a livello politico, ma anche con la criminalizzazione da parte da alcuni esponenti politici locali. È il caso del consigliere della circoscrizione di Aslago-Oltrisarco Angelo Liuzzi, che il 9 novembre in un post su facebook ha invitato il sindaco di Bolzano, Renzo Caramaschi, a vietare con un’ordinanza la distribuzione di materiale da campeggio alle persone in strada. “Le intimidazioni via social ai gruppi solidali per sono specchio del momento storico in cui viviamo – commenta Franchi –, ma noi questi attacchi li superiamo facendo squadra: è l’unico modo che conosciamo per provare a tenere la barra dritta e arginare la deriva securitaria che stiamo vivendo”. 

  • Uno dei giacigli sgomberati a novembre sotto il viadotto autostradale a Bolzano Sud. Foto: Bozen Solidale
  • La sponda della questura

    La stretta “anti-degrado” dell’amministrazione comunale di Bolzano, soprattutto nell’ultimo anno, ha trovato una sponda efficace nella questura, che colpisce con solerzia i soggetti marginalizzati attraverso decreti di espulsioni, fogli di via e il Divieto di accesso ad Aree Urbane (Dacur). “Il foglio di via e il Dacur sono misure di natura amministrativa che limitano la libertà di movimento e operano preventivamente rispetto alla commissione di reati”, spiega l’avvocata Francesca De Angeli. Diffusamente utilizzato durante il fascismo nei confronti di chi si opponeva al regime, oggi questo dispositivo è previsto dall’articolo 2 del decreto legislativo 159/2011, noto come “Codice Antimafia e delle misure di prevenzione”. Amnesty International Italia riporta che “la sua applicazione non prevede la convalida di un giudice, ma è sufficiente che il questore ritenga, sulla base di elementi di fatto concreti e univoci, che un soggetto manifesti con il suo comportamento atteggiamenti riconducibili al concetto di pericolosità sociale”. Sebbene questo strumento dovrebbe basarsi su fatti connessi a motivazioni che sottolineino la concreta e reale pericolosità della persona, l’avvocata De Angeli fa notare che “a Bolzano le misure di prevenzione sembrano essere più che altro la ricetta per allontanare i soggetti sgraditi: i fogli di via rilasciati lo scorso anno appaiono spesso ciclostilati, in alcuni casi non viene menzionato il luogo di residenza o di dimora abituale – presupposto giuridico per la sua applicazione – in cui la persona dovrebbe fare ritorno e, spesso, sono carenti nelle motivazioni”. 

     

    “A Bolzano le misure di prevenzione sembrano essere la ricetta per allontanare i soggetti sgraditi.”

     

    Dallo scorso 1° marzo, con l’insediamento di Paolo Sartori al vertice della questura del capoluogo, si assiste a un utilizzo piuttosto disinvolto di questi dispositivi. I dati rilasciati a luglio dalla questura di Bolzano, in questo senso, sono emblematici: nei soli primi sette mesi del 2024 le operazioni di “prevenzione generale” in materia di “contrasto all’immigrazione” hanno fatto registrare 162 espulsioni e ordini di allontanamento (erano state 134 in tutto il 2023) e la revoca di 92 permessi di soggiorno. Sebbene il questore abbia rivendicato come un successo la quantità di provvedimenti adottati, approfondendo le vicende di chi queste sanzioni le subisce appare, però, appare evidente come l’azione della questura – riprendendo per molti aspetti la nota “teoria delle finestre rotte” (v. infobox) – assuma in molti casi i contorni di una “pesca a strascico”. Paul Tschigg, volontario di dormizil, per esempio, è ancora incredulo quando rievoca quanto successo a M., originario del Veneto e ospite della casa su invio del Ser.D e di Binario 7, un servizio specialistico della Caritas per persone con dipendenza. “Un pomeriggio è stato fermato dalla polizia al parco di fronte alla stazione e, dato che in passato aveva avuto dei guai con la giustizia, ha ricevuto seduta stante un foglio di via”. Nonostante l‘uomo avesse dichiarato di essere seguito dai servizi specialistici, le forze dell’ordine non hanno sentito ragioni, né tantomeno hanno considerato il percorso terapeutico avviato. “Quel giorno stesso M. ha fatto i bagagli e ha lasciato l’Alto Adige. Di lui non abbiamo avuto più notizie”, afferma con amarezza Tschigg. 

  • Nei soli primi sette mesi del 2024 le operazioni di “prevenzione generale” in materia di “contrasto all’immigrazione” hanno fatto registrare 162 espulsioni e ordini di allontanamento. Foto: Questura di Bolzano
  • Colpiscono poi i decreti di espulsione “cumulativi” – come quello comminato a otto persone senza dimora sebbene solo uno di loro fosse stata trovata in possesso di 11 grammi di hashish –, così come la richiesta da parte del questore della revoca della protezione internazionale a un cittadino pakistano, colpevole di un tentativo di furto in un supermercato e di non aver osservato le prescrizioni del foglio di via a cui era soggetto. Altrettanto paradigmatico il caso di O., sanzionato da Dacur lo scorso aprile perché “consumando alimenti e bevande sul marciapiede adiacente il cantiere WaltherPark” avrebbe tenuto “un comportamento lesivo del decoro della quiete pubblica”. Va detto che contro questi provvedimenti – fogli di via, “daspo urbano” – è possibile presentare ricorso al TAR. Lo ha fatto, per esempio, O., con il supporto dell'avvocata De Angeli e di Bozen Solidale. A metà novembre l’uomo ha visto accolto il suo ricorso, e con esso il rimborso delle spese processuali e la restituzione del contributo unificato, per difetti nella motivazione – definita dal TAR "del tutto generica e apodittica" – circa la pericolosità della sua condotta. È però altresì vero che un procedimento amministrativo può arrivare a costare anche diverse migliaia di euro e, quindi, non tutti hanno le medesime possibilità di accesso alla giustizia. Chi non ha diritto al gratuito patrocinio – per il 2024 tutti coloro che avevano superato la soglia di reddito annua di 12.838 euro – deve versare 650 euro solo per il contributo unificato, a cui poi bisogna aggiungere le spese legali. "Una strada lunga e costosa che pochi percorrono”, sottolinea De Angeli. 

  • La retorica di molti partiti politici si fondano sulla lotta al cosiddetto degrado. Foto: Alessio Giordano/SALTO
  • Chi resta fuori

    “Sono sempre le persone più ‛deboli’ dal punto di vista economico e sociale quelle che patiscono maggiormente il ‛pugno duro’ delle istituzioni”. Ad affermarlo è Andres Pablo Pietkiewicz, 68 anni, che dopo una carriera nel settore della moda tra Spagna, Portogallo, Francia e Italia, dal 2015 al 2022, in Sudtirolo, è stato coordinatore di alcuni Centri di accoglienza straordinari (CAS) per richiedenti protezione internazionale e di strutture notturne per persone senza dimora. Sono anni di intensa attività, in cui Pietkiewicz mette al centro del proprio operare il profondo rispetto verso le persone accolte e pone grande attenzione nel rapporto con le istituzioni. In questo senso, l’ex-operatore ricorda come molto positiva la sua esperienza al CAS Schenoni di Bressanone dal 2019 al 2021: “Il team era competente e motivato, la popolazione coinvolta e attiva, avevamo instaurato una buona collaborazione con i servizi del territorio”. Complici i tagli ai servizi trasversali del Ddl Sicurezza del 2018 e la politica dei grandi centri di accoglienza perseguita dalle istituzioni del territorio – spesso capannoni industriali o edifici da tempo disabitati situati ai margini delle città –, però, la possibilità di strutturare percorsi virtuosi e supportare gli ospiti che ne hanno maggiore bisogno si riduce sempre di più. Pietkiewicz, in quegli anni impiegato presso il Comitato Croce Rossa Italiana della Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige, si trova a fare i conti con il drastico abbassamento della qualità del lavoro sociale: “Era venuto meno il senso del nostro agire, visto che sostanzialmente ci veniva chiesto di fare da guardiani e monitorare solo che nel centro non succedesse niente”. Non riconoscendosi nel carattere emergenziale dell’accoglienza – “una gestione incapace di rispondere in maniera adeguata alla sofferenza delle persone” –, ottiene il trasferimento al Comitato di Bolzano della Croce Rossa Italiana e, negli ultimi anni di servizio prima della pensione, opera a bordo delle ambulanze in qualità di autista soccorritore. 

     

    “I soggetti più fragili sono costretti ad arrangiarsi in sistemazioni di fortuna, perché nella nostra società per gli ‛scomodi’ non c’è posto.”

     

    Anche se stanco e disilluso per la “mala-gestione” istituzionale, però, l’impegno di Pietkiewicz a fianco di chi è costretto ai margini non è mai venuto meno. Un impegno che continua ancora oggi da “battitore libero”. “Insieme agli attivisti di Bozen Solidale, seguiamo anche le persone che si ritrovano lasciate a loro stesse, una decina di uomini che il percorso migratorio prima e gli anni in strada come ‛fuori quota’ poi hanno frantumato e per i quali adattarsi alla vita di comunità delle strutture oggi è praticamente impossibile”. Per provare a recuperarle, secondo lui, sarebbe opportuno “investire con decisione su un modello di sostegno che ricalchi quello della ‛Casa Famiglia’”, ovvero realtà strutturate in unità abitative, che offrono alle persone accolte la possibilità di vivere in contesti familiari e ritrovare così, al loro interno, sicurezza e punti di riferimento fondamentali per ricostruire il proprio presente o provare a immaginare un futuro. Pietkiewicz parla per esperienza: qualche anno fa, infatti, insieme a sua moglie ha aperto le porte della loro abitazione a un ospite considerato “difficile” da tutti i centri in cui era stato inserito – e allontanato – fino a quel momento. “Si trattava in realtà di un giovane uomo estremamente fragile, che abitando con noi in un ambiente sano, col tempo è lentamente rifiorito: oggi è inserito nel tessuto sociale ed economico del territorio e vive in piena autonomia”. A differenza dei dispositivi repressivi, dunque, questa potrebbe essere una strada da percorrere per rispondere in maniera efficace ai bisogni dei soggetti più fragili, che “ad oggi – conclude Pietkiewicz – sono costretti ad arrangiarsi in sistemazioni di fortuna, perché all’interno della nostra società per gli ‛scomodi’ non c’è altro posto. Ma se ci dovesse scappare la disgrazia cosa diremo? Che se la sono andata a cercare?”

  • La teoria delle finestre rotte

    Sviluppata dal criminologo James Q. Wilson e dal sociologo George L. Kelling in un articolo pubblicato su The Atlantic nel 1982, la “teorie delle finestre rotte” afferma che gli atti di disordine urbano e vandalismo sarebbero causa di un aumento della criminalità e di altri comportamenti anti-sociali. Secondo i due autori il controllo degli ambienti urbani attraverso la repressione di piccoli reati, atti vandalici e la deturpazione dei luoghi, favorirebbe e un clima di ordine e legalità e ridurrebbe il rischio di crimini più gravi. Questa teoria, rilanciata con convinzione negli anni Novanta dalla “Tolleranza zero” dell’allora sindaco di New York Rudolph Giuliani, è stata confutata da Christopher M. Sullivan e Zachary P. O'Keeffe in uno studio pubblicato sulla rivista Nature nel 2017. Secondo la loro ricerca, la repressione di piccoli crimini e gli interventi preventivi nel periodo da loro preso in esame sarebbe in realtà causa di un incremento dei crimini maggiori. Il loro studio rileva, tra le altre cose, che la polizia proattiva “distoglie risorse e attenzione dalle unità investigative, interrompe la vita comunitaria, che può svuotare il controllo sociale della violenza di gruppo, crea maggiore stress per le persone già ai margini”.