Bisogna affrontare l’evasione
Il cuneo fiscale è la differenza fra il costo totale sostenuto dal datore di lavoro e la paga netta percepita dai lavoratori dipendenti ed è calcolata come il rapporto percentuale fra le trattenute totali e il costo totale del lavoro.
Per il cuneo fiscale l’Italia è al quinto posto tra i paesi che adottano la moneta unica europea (con una media del 41,7).
Il cuneo fiscale in Italia è del 46,7, potrebbe sembrare che si tratti di un valore alto, ma va considerato che è più alto sia in Germania (48,1) che in Francia (47%), paesi con i quali siamo in competizione.
Questo vale anche per quanto riguarda il costo del lavoro: in Germania 63 mila euro, in Francia il 54.500 euro, mentre in Italia si aggira attorno al 45 mila euro. Uguale discorso anche per il netto (in Germania sui 32.500, in Francia sui 29.000 e in Italia sui 24 mila euro).
Il cuneo fiscale è costituito dalle imposte sul reddito a carico del lavoratore, dai contributi previdenziali a carico del dipendente e da quelli a carico del datore di lavoro. Il 67 per cento del cuneo fiscale è rappresentato dalle trattenute a favore della previdenza. Si tratta quindi di un risparmio forzoso che ritorna poi al contribuente con l’erogazione della pensione Inps.
In molti paesi dell’eurozona, la pensione pubblica è relativamente bassa e i dipendenti devono devolvere contribuzioni aggiuntive per le pensioni integrative (che non sono contabilizzate nella definizione Ocse come cuneo fiscale). In teoria andrebbero considerati quando si fanno paragoni con l’ammontare del cuneo fiscale tra i diversi paesi.
Tagliare i contributi previdenziali a carico dei lavoratori avrebbe certamente effetti positivi sulla busta paga, ma ridurrebbe le già magre future pensioni. Diminuire gli oneri alle imprese non avrebbe invece effetti in automatico sul netto in busta perché non è sicuro il trasferimento ai salari.
Sono comunque temi delicati che si possono affrontare eventualmente nella discussione sulla riforma delle pensioni che purtroppo non decolla. Ma i margini su questo terreno sono comunque alquanto risicati e il sindacato deve semmai allargare in maniera solidaristica le prestazioni previdenziali alle future generazioni.
Sul fisco invece si può e si deve ragionare, visto che la gran massa di danaro viene versata da coloro che sono tassati alla fonte.
Sono anni che chiediamo una riduzione del carico fiscale per i dipendenti e i pensionati, ma con l’attuale situazione dei conti pubblici questo significa dover allargare la base imponibile per non alterare le entrate in negativo.
Va preservata la progressività del sistema, prevedendo però che a parità di reddito – a prescindere dalla fonte – corrisponda una tassazione uguale.
Oggi abbiamo regole diverse tra reddito di lavoro, redditi finanziari e così via. Su questo punto, la riforma in discussione a livello nazionale purtroppo è ambigua. Noi lavoreremo anche in futuro di redistribuire il peso fiscale in modo da renderlo meno discriminatorio. Gli effetti positivi sulla busta paga sarebbero sicuramente ben evidenti.
Il vero scandalo rimane però l’evasione fiscale. Soprattutto da lì si devono recuperare risorse da investire, anche sul cuneo fiscale.
La tesi dello shock fiscale è suggestiva ma qualcuno dovrà pure pagare prima o poi il conto. Per questo gli imprenditori invece di rivendicare solo riduzioni alle tasse, dovrebbero sostenere con noi la lotta all’evasione per essere credibili.
Nella situazione data un taglio alle imposte non serve neppure ai meno facoltosi - sono quelli che hanno maggiormente bisogno della mano pubblica -, che in questo caso, oltre alla beffa ne avrebbero un danno. Ci vuole infatti poca fantasia per capire cosa significa tagliare la spesa pubblica e a chi toccherebbe anche questa volta.
Purtroppo già sull’utilizzo delle banche di dati da incrociare ci sono resistenze da parte di alcune forze politiche. Ma a prescindere, lo Stato neppure di fronte alle somme evase e accertate non è in grado di recuperare il dovuto in barba allo stato di diritto. Questi soldi vanno invece recuperati e certamente non con i condoni che sono uno schiaffo ai cittadini onesti nonché una misura altamente diseducativa.
Si potrebbe invece bloccare il “fiscal drug” congelando le imposte sui futuri aumenti dei salari erogati per recuperare l’inflazione.
Anche gli aumenti dell’Iva legati alla crescita dei prezzi si possono utilizzare riducendo le aliquote o meglio ancora finalizzando quanto incassato in più per prestazioni sociali rivolte a chi ne ha veramente bisogno. Non dovrebbe neppure risultare un tabù prevedere una tassazione ulteriore per i superprofitti di quelle aziende che a causa dell’attuale situazione godono di condizioni particolarmente favorevoli.
La problematica è complessa e ognuno di noi si deve assumere le proprie responsabilità. Anche a livello locale bisogna aprire un confronto tra tutte la parti in causa. Sono convinto però che non si potrà derogare dagli aumenti contrattuali dei salari e delle pensioni, cercando ovviamente di limitare la rincorsa tra salari e prezzi.
La proposta di scaricare il problema sulla collettività è di facile presa – tutti vogliamo più soldi – ma difficilmente potrà essere attuata senza incidere negativamente sullo stato sociale.
Alfred Ebner