“Voglio restituirgli la libertà”
Creare una società aperta, porosa, capace di accogliere i “dannati della Terra” accantonando i toni da roboante apocalissifilia e paraboloni enfatici, trucchetti retorici notoriamente abusati quando si parla di integrazione in un’Italia dove, a dirla con Ezio Mauro, il sentimento umanitario è finito in minoranza. Il compito, appare sempre più chiaro, spetta al generoso zelo dei singoli. Tiziana Boari, romana ma bolzanina d’adozione, giornalista di Rai Alto Adige, già addetta stampa per ONU e OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), e da sempre sensibile alle questioni legate all’immigrazione, fa parte di questo esercito della salvezza in miniatura. Circa 5 mesi fa ha deciso di prendere da sola in affido (l’ufficializzazione non è ancora avvenuta ma è avviata verso una risoluzione positiva) un ragazzo della Guinea-Bissau, Daren (nome di fantasia), al motto di “lo aiuto a casa mia”, controcanto ai latrati razzisti. Circa 600 euro al mese il contributo che passa la Provincia per il mantenimento del ragazzo. Proprio in questi giorni, peraltro, l’Azienda servizi sociali di Bolzano ha lanciato un appello a famiglie e single perché prendano in affido questi minori che rischiano, altrimenti, di finire sulla strada.
"Quello che noi affidatari facciamo è restituire loro la libertà e questo è possibile se a questi ragazzi vengono date le stesse opportunità di cui possono beneficiare anche gli altri"
Infrangibile volontà
Prima di Daren la reporter aveva ospitato per 3 mesi una coppia sposata, marocchina lei egiziano lui, proveniente dalla Libia e che rientrava nella cosiddetta schiera degli invisibili, i “fuori quota”, quelli che non hanno diritto (anche se ne avrebbero eccome) all’accoglienza perché non rientrano nel contingente che lo Stato ha assegnato all’Alto Adige. Una sera di febbraio Daren entra nella vita di Tiziana, è uno di quei minori stranieri non accompagnati (Misna) arrivati, dopo lunghe peripezie, a Bolzano. Al momento della registrazione, tuttavia, una volta messo piede sul suolo italiano, qualcosa va storto. “C’è stato un problema relativo alle sue generalità, risultava maggiorenne quando era chiaro che non lo fosse”, racconta Boari che immediatamente si rimbocca le maniche per cercare di sanare una situazione palesemente anomala. “Ero di fronte a due possibilità - spiega -, lo abbandonavo oppure cercavo una soluzione, e ho fatto una scelta di coscienza. L’Ufficio immigrazione ha dimostrato di essere molto attento e disponibile, mi ha permesso di fare tutte le ricerche del caso e contattare le autorità del paese d’origine di Daren per procurarci i certificati che potessero provare la sua minore età”. La Guinea-Bissau non ha un’ambasciata in Italia ma solo un consolato onorario. Questo complica le cose, Daren, va da sé, non può lasciare il Paese, e la priorità è quella di ottenere il passaporto. Attraverso alcuni provvidenziali contatti la giornalista riesce a farsi mandare un documento di identità anagrafica dal console onorario sulla base di un certificato di nascita giunto dalla Guinea-Bissau, la minore età viene riconosciuta e quindi la pratica dell’affido parte, grazie alla solerte collaborazione di Procura, Questura e Servizio Integrazione Sociale (SIS).
"Ero di fronte a due possibilità, lo abbandonavo oppure cercavo una soluzione, e ho fatto una scelta di coscienza"
La procedura è lunga, occorre capire come muoversi correttamente all’interno del circuito legale, la legge Zampa, che conferisce più tutele e inclusione per i minori stranieri non accompagnati, è stata approvata in Parlamento, del resto, solo lo scorso aprile. “L’affido famigliare è sempre meglio della permanenza in una struttura - afferma Boari -, avevo molto da dare e Daren aveva bisogno di una guida e di un punto di riferimento affettivo, sapere di poter contare su qualcuno. È un’esperienza di arricchimento reciproco, siamo continuamente messi a confronto sia con ciò che si dà per scontato, come la propria cultura, sia con il bagaglio che loro si portano dietro”.
Nuovomondo
Nelle prime settimane tutto è improntato sulla conquista della fiducia. Daren è un orfano con alle spalle una serie di vicende drammatiche su cui, per motivi di privacy, sorvoleremo. All’inizio non dice molto, studia la situazione, cerca di capire quale grammatica delle immagini rimanda alla parola “casa”. Poi, lentamente, si scopre. “Quando è arrivato a Bolzano era un giovane spaventato e disorientato ed è stata una grande soddisfazione vederlo letteralmente rifiorire, quello che noi affidatari facciamo è restituire loro la libertà e questo è possibile se a questi ragazzi vengono date le stesse opportunità di cui possono beneficiare anche gli altri, Daren doveva potersi muovere liberamente su questo territorio, costruirsi un’esistenza, e desidero anche dargli possibilità, un giorno, qualora lo volesse, di tornare nel suo paese, non voglio che tagli alcun ponte dietro di sé”, osserva Boari mentre un velo di commozione le adombra gli occhi.
Daren, che già masticava un po’ di italiano - oltre a parlare il dialetto africano del suo paese d’origine e il portoghese - ha frequentato un corso intensivo di lingua italiana all’associazione Scioglilingua, “anche quando tornava a casa apriva i libri e studiava, è un ragazzo sveglio, intelligente, volenteroso, e molto determinato”, sottolinea la giornalista che Daren chiama ormai “Mama”. A marzo viene accettato in una classe di didattica inclusiva al liceo Galilei di via Cadorna, e fa da apripista per altri ragazzi; da quel momento, infatti, Caritas e Volontarius, cominciano a mandare a scuola alcuni giovani migranti, e ben presto si forma una classe di 20 persone. Nel frattempo Daren fa nuove amicizie, e non solo “umane”, Misko, il cane di casa diventa un grande compagno di giochi. Il ragazzo inizia a studiare chitarra classica, partecipa al laboratorio teatrale del regista Nicola Benussi, “Power”, entra nel gruppo di calcio misto, curato dall’associazione Donne Nissà (la rete sociale che parte dal basso, come sempre, c’è e batte forte) che ogni pomeriggio si dà appuntamento ai prati del Talvera, va in vacanza con Mama Tiziana in Toscana. E a luglio compie 17 anni.
"Il concetto di prendere in mano la propria esistenza risulta loro estraneo, dal momento che le loro vite sono state sempre gestite da terzi, perciò appropriarsene diventa una scoperta del tutto nuova"
Esperimenti di futuro
Un esempio di integrazione da manuale se non fosse che la scelta di Boari di prendere in affido un minore non accompagnato non viene condivisa dalla sua padrona di casa, motivo per cui fra qualche mese la piccola famiglia dovrà lasciare l’appartamento. Effetti collaterali di un’intolleranza sclerotizzata. Ma Boari non demorde e già pensa al futuro: “L’affido è limitato alla maggiore età, ma per me, moralmente e affettivamente, l’impegno non finisce quando Daren compirà 18 anni, vedremo se sarà possibile fare un rinnovo del permesso di soggiorno per studio e lavoro poi si deciderà, ma la mia idea è quella di adottarlo, se lui lo vorrà, intanto ho seguito il corso per diventarne tutore volontario”. Per la giornalista i migranti “meriterebbero un premio Nobel solo per essere arrivati fino a qui, hanno attraversato il deserto, sono finiti nelle mani dei trafficanti, hanno affrontato un lungo e tortuoso viaggio nel Mediterraneo e sono sopravvissuti, fino ad arrivare in un paese, l’Italia, che certamente non crea loro le condizioni ottimali per vivere, insomma i traumi si sprecano. E il concetto di prendere in mano la propria esistenza risulta loro estraneo, dal momento che le loro vite sono state sempre gestite da terzi, perciò appropriarsene diventa una scoperta del tutto nuova”. E l’immagine di Daren si incastona negli occhi, “non ho avuto figli - afferma Boari -, lui è arrivato così, quasi per caso e mi ha cambiato la vita”, poi un pensiero fugace solleva gli angoli della bocca all’insù, in un sorriso: “Ci sono già delle manifestazioni di insofferenze adolescenziali e poi, di tanto in tanto, mi prende in giro… Daren è una bella persona, può fare molto di sé, se decide di impegnarsi”. Quando siete felici, fateci caso, è la ricetta di Kurt Vonnegut. E in questa storia nessuno, date retta, si è mai distratto.