Società | L'intervista

Niederkofler: “Langer, un modello per le scuole”

La preside dell’Istituto Bolzano-Europa spiega che la scuola appena inaugurata è un esperimento di condivisione, ma parlare di plurlinguismo è ancora presto.

 “Pare che li faccia tutti uguali e tutti amici la scuola”, scriveva Edmondo De Amicis nel celebre libro Cuore. Un’affermazione che potrebbe - e il condizionale è d’obbligo - diventare il manifesto della nuova struttura scolastica intitolata ad Alexander Langer, inaugurata appena qualche giorno fa nel quartiere Firmian. Del resto gli scetticismi fanno presto a spuntare fra le pieghe dell’entusiasmo quando i tentativi di integrazione fra le due entità linguistiche, tedesche e italiane – che spesso hanno preferito restare rintanate nella propria confortante oasi identitaria -, sono spesso inciampati sui loro stessi passi.
L’istituzione scolastica, va da sé, costituisce un patrimonio di valore educativo che innesca un sentimento di condivisione assai prezioso, per cui la speranza a questo punto è che quegli entusiasmi siano realmente in grado di oltrepassare la cortina fumogena della diffidenza, poiché nulla è più avvilente dei cambiamenti fatti solo per dire di averli fatti.

Preside Niederkofler, l’inaugurazione della Langer è stata salutata positivamente da tutti, ma costituirà davvero un punto di svolta? Insomma, più che una scuola plurilingue non saranno piuttosto due scuole monolingue che coesisteranno nello stesso edificio?

È un po’ tutte e due le cose. Questo è un tentativo di trasformare un edificio scolastico dove ci sono due gruppi etnici sotto lo stesso tetto che collaborano in alcune aree prestabilite, nello specifico in termini di organizzazione pratica: per quanto riguarda l’orario scolastico, le proposte pomeridiane extracurriculari facoltative, progetti sull’interculturalità, alcune regole di base. L’abolizione del campanello scolastico, ad esempio, è stata una decisione che abbiamo preso insieme. Sui vari piani, inoltre, le classi tedesche e italiane sono distribuite insieme in maniera omogenea con la possibilità di incontrarsi quotidianamente e di condividere tutta una serie di attività nei luoghi di apprendimento comune come l’aula di matematica o quella di lingue.

In cosa consiste concretamente questa integrazione?

C’è una programmazione precisa sull’educazione alla convivenza, alla pace, inoltre potenzieremo l’italiano per alcune materie, come la ginnastica e le scienze, e l’inglese attraverso musica e arte. I ragazzi si incontreranno in mensa, nei corridoi e durante le attività pensate per loro. La festa del primo giorno di scuola, ad esempio, l’abbiamo fatta insieme.

E gli insegnanti saranno interscambiabili?

Questo no, ognuno avrà il suo ruolo nella propria classe linguistica di riferimento.

Sono tutti bei progetti ma vorrei replicare con una domanda realistica: in quale misura è possibile svilupparli?

Avere a disposizione una struttura nuova, in un quartiere nuovo con delle culture nuove è sicuramente un incentivo per fare bene, valeva la pena progettare una scuola fatta in questo modo. Cosa riusciremo a sviluppare lo scopriremo strada facendo. Stiamo lavorando al progetto pedagogico con gli insegnanti da tre anni, niente è stato lasciato al caso.

C’è secondo lei la volontà o meglio il desiderio reciproco da parte degli scolari di interagire fra loro?

Credo che saranno curiosi di conoscersi, vorremmo insegnare ai bambini che queste barriere nelle lingue e nelle amicizie possono essere abbattute imparando l’uno dall’altro, includendo anche uno spazio civile dove potersi confrontare serenamente. Abbiamo fatto anche un esperimento nel refettorio sul giusto comportamento da tenere durante la pausa pranzo, una simulazione, ecco, così che gli studenti avessero ben chiare le regole di convivenza.

Se i benefici sembrano essere così fruttuosi perché non si è pensato di introdurre prima questo modello nelle scuole?

La Langer ha dato l’input per realizzare una scuola del genere esattamente dove serviva, costruire un istituto a Sarentino o in centro storico non so quanto sarebbe stato utile. Il quartiere Firmian, al contrario, raccoglie culture abitative e linguistiche diverse e il concetto di multiculturalità ha senz’altro più senso in un luogo come quello.

E perché questo schema scolastico funzioni davvero non sarebbe opportuno esportarlo anche in altri istituti?

Per il momento ci concentriamo sulla Langer, poi ovviamente se è un modello che funziona e altre scuole vorranno adottarlo ci guadagneremo tutti.

In questo processo di avvicinamento linguistico è prevista anche una maggiore attenzione verso i bambini di culture diverse da quelle tedesche o italiane?

Assolutamente sì, sono tutti inseriti all’interno di un programma di interculturalità - con elementi che possono essere introdotti nel curriculum scolastico in corso d’opera - per dar modo ai bambini di esplorare anche la conoscenza di altri paesi sotto più aspetti possibili.

Gira voce che fra Lei e il preside Lorenzi, dirigente dell’istituto comprensivo in lingua italiana Bolzano II-Don Bosco, con cui condivide la direzione della scuola Langer, ci sia della tensione, è così?

Il confronto è sempre utile, è un’illusione pensare di poter essere d’accordo su tutto, ma siamo sulla stessa linea d’onda dal punto di vista pedagogico. Per il resto ben venga che ci siano discussioni fra noi, è un arricchimento reciproco, soprattutto tenendo conto della vastità delle attività da disciplinare.