L’America in mezzo al guado
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Il primo weekend dell’era Trump II (o Musk I) è trascorso, dal mio minuscolo osservatorio, senza visibili scossoni (almeno non del tipo di quelli che hanno scosso Amsterdam). Visto quello che ci si aspettava se Trump avesse perso, o se solo alcuni stati fossero stati fortemente contesi, sembra già un buon risultato. Io ho approfittato del caldo estivo di questo splendido autunno per visitare un luogo simbolo della mitologia americana: il punto dove, nel giorno di Natale del 1776, il generale George Washington, a capo di un esercito rivoluzionario di uomini malnutriti e male equipaggiati, attraversa il fiume Delaware, tra la Pennsylvania (ancora oggi tanto contesa) e il New Jersey, cogliendo di sorpresa l’esercito coloniale e andando a vincere le prime significative battaglie della Rivoluzione americana. Il password di quella notte, Vittoria o Morte, è impresso sui gadget in vendita al gift shop obbligatorio del centro visitatori.
Questo e molti altri simboli della storia americana vengono necessariamente alla mente ora che la realtà si delinea con sempre maggiore chiarezza: è stato eletto democraticamente un presidente che solo quattro anni fa aveva cercato di sovvertire lo stesso voto popolare che oggi, ovviamente, si guarda bene dal mettere in discussione.
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È vero che sembra che gli americani abbiano trascorso questo primo weekend post elettorale facendo quello che fanno di solito: centri commerciali, football o basketball in TV, partite di calcio dei figli. Il tutto condito da angoscia o gioia, a seconda di come avevano votato, ma senza aver subito uno choc al sistema come era successo nel 2016. La sorpresa della prima vittoria di Trump era stata enorme (probabilmente anche per lui) ed era stata vissuta come una anomalia - anche perché Hillary Clinton aveva vinto il voto popolare con quasi tre milioni di voti, permettendo ai dem di consolarsi con la consapevolezza che la maggioranza aveva votato per loro. Questa volta la vittoria è netta sia in termini di collegi elettorali (la più grande vittoria per il partito repubblicano in oltre 30 anni) che di voto popolare - che rimane ancora diviso praticamente a metà - secondo il New York Times Trump è al 50.5 per cento - ma con un significativo spostamento di voti a destra in quasi tutti i gruppi demografici.
Resta ancora qualche seggio delle a camera dei deputati, ma anche quella sembra che vada alla maggioranza repubblicana, togliendo anche l’ultima speranza democratica di poter bilanciare l’enorme potere che gli americani hanno consegnato a Trump - senza neppure il beneficio del dubbio: questa volta sapevano benissimo per chi votavano. L’anomalia forse è stata nel 2020, quando era stato Joe Biden a battere Trump.
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Dalla notte di mercoledì scorso fiumi di inchiostro e di parole sono stati usati da giornalisti, analisti, dai comici dei talk show notturni e dai conduttori di quelli politici della domenica mattina per elencare le colpe della leadership del partito democratico - dall’aver abbandonato i lavoratori all’aver fatto quadrato intorno a Biden quando già si sapeva che non sarebbe stato in grado di fare una campagna elettorale; dall’aver preferito politiche identitarie a politiche di sostegno agli strati più deboli della popolazione e al non aver capito quanto l’inflazione stava colpendo i salari medi. Non mancano i mea culpa, primo fra tutti quello di Bernie Sanders: “Non dovrebbe essere una grande sorpresa il fatto che un partito Democratico che ha abbandonato la classe lavoratrice ha scoperto che le classi lavoratrici lo hanno abbandonato.”
Ci sta tutto questo, nel grande algoritmo che determina il risultato di una elezione in un Paese vasto come questo. Ma penso anche a Elon Musk e ai suoi milioni, ai Tech Bro e ai bitcoin che schizzano di valore, al voto dei giovani maschi che ascoltano Joe Rogan. E mentre guardo scorrere il pacifico fiume Delaware mi chiedo se prima di flagellare i dem e condannare Kamala Harris non dovremmo chiederci se ci sono forze cosi fondamentali in gioco da chiedersi se gli americani non si siano raccontati bugie: I miti che l’America si è creata, a cominciare proprio da quello di quel Generale che attraversa il fiume in piedi sulla barca, insensibile alle intemperie, per andare a conquistare la Libertà, sono tutti fasulli? Non è forse chiaro che la netta vittoria di Trump indica “che i suoi messaggi toccano corde che in qualche modo con il “credo americano” c'entrano, eccome” - come mi ha scritto un amico dopo aver letto la mia prima cartolina?
Oppure, più semplicemente ma anche più tragicamente, indica che un sistema scritto sulle pergamene del 1700 non è all’altezza della realtà dell’era digitale?
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Circa quindici giorni prima delle elezioni sul Mall, la grande spianata di Washington dove si affacciano i monumenti che celebrano i suoi miti fondanti (i memoriali a Washington, Thomas Jefferson e Abraham Lincoln) e i soldati morti per difendere gli ideali che quei miti hanno sigillato, era apparsa una strana aggiunta: una scrivania sulla quale campeggiava un emoji riconoscibilissimo - gli mancavano solo gli occhi.
Sulla scrivania, ben visibile dal Campidoglio, il nome di Nancy Pelosi, l’allora presidente della Camera dei deputati; sul marmo che sosteneva lo strano nuovo monumento questa iscrizione:
Questo monumento onora gli uomini e le donne coraggiosi che hanno fatto irruzione nel Campidoglio degli Stati Uniti il 6 gennaio 2023 per saccheggiare, urinare e defecare in quelle sale consacrate per sovvertire un'elezione. Il Presidente Trump celebra questi eroi del gennaio scorso come "patrioti incredibili" e “guerrieri". Questo monumento testimonia il loro audace sacrificio e la loro duratura eredità.
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Al momento della sua misteriosa apparizione in molti avevano preso questa arte come un boutade, per alcuni utile memento, per altri di carrivo gusto. Il monumento ora è scomparso (non prima che i creatori offrissero delle mini repliche come souvenir, come in ogni gift shop di ogni monumento).
Forse dovrebbe trovare un posto permanente proprio in questo luogo, come specchio della nuova realtà e dei nuovi miti che metà America si sta ora raccontando.