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L'antimovimento a 5 stelle

Come l'autoritarismo ha spento la rivoluzione dal basso: Paolo Ceri e Francesca Veltri presentano il libro "Il movimento nella rete" a Trento. L'intervista al sociologo.
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Foto: Salto.bz

“L’antimovimento – precisa Paolo Ceri nel volume scritto assieme a Francesca Veltri – non è un soggetto, piuttosto una logica di comportamento guidata da strategie e interessi elettorali”. Definizione che secondo il sociologo, studioso della partecipazione e dei fenomeni politico-sociali, già professore ordinario all’università di Firenze e autore di numerosi volumi, calza a pennello per il movimento 5 stelle. Realtà nella quale – con buona pace del sogno della rivoluzione dal basso degli albori – l'affermazione di un gruppo di potere interno “ha impedito l’esprimersi delle innovazioni spontanee tipiche dei movimenti”. Ed è proprio “Il movimento nella rete. Storia e struttura del Movimento 5 Stelle” (Rosenberg & Sellier, 2017) il titolo del libro che gli autori presenteranno a Trento, giovedì 18 gennaio alle 18. Il luogo è la Bookique, dove prosegue il ciclo di incontri dedicato alla sociologia. “Insieme a Club Alpbach Trentino ci interroghiamo sulle nuove forme della politica” si legge nella presentazione. Oltre a Ceri e Veltri, che lavora per l’università della Calabria, partecipano Domenico Tosini, sociologo, dell’ateneo di Trento, e Alessandra Lorini, storica, università di Firenze. Ceri ha aggiornato per i lettori di salto.bz la sua riflessione sulle ultime evoluzioni dei grillini (“Ormai un partito” dice), impegnati nella campagna per le elezioni politiche del 4 marzo.

Salto.bz: Il punto centrale della ricerca contenuta nel libro è la definizione data alla configurazione attuale dei 5 stelle. Cos’è in sociologia un antimovimento?

Paolo Ceri: Anche se gli ultimi passaggi configurano una situazione un poco oltre e visto che il libro è aggiornato fino all’aprile 2017, si può dire, osservando la logica di comportamento dei cosiddetti vertici, che il M5s si è andato configurando come un antimovimento. Rispetto a quanto è nato, nel periodo 2005-2007, si è assistito in crescendo alla “repressione” delle istanze di base tipiche del movimento. Ecco perché questa definizione.

Qual è stata la fase determinante per l’evoluzione, o “involuzione”, della galassia pentastellata?

Il periodo tra il 2009 e il 2014. Il primo è l’anno della fondazione del movimento come tale, sull’esperienza degli Amici di Beppe Grillo e delle liste collegate. Poi si arriva alle elezioni politiche del febbraio 2013. In questa fase gli incontri organizzativi trasversali tra i diversi meet up vengono ostacolati, quando non delegittimati, con la pratica dei post scriptum censori sul blog di Beppe Grillo. Come nel caso dell’espulsione di Valentino Tavolazzi, consigliere carismatico per la lista civica collegata “Progetto per Ferrara”. Tutti i tentativi di coordinamento dal basso per azioni comuni ricevono l’accusa di essere modalità di azione analoghe a quelle dei partiti. Questa è l’accusa tipica. È l’antimovimento: un agire caratterizzato da comportamenti più o meno strategici che ostacolano o impediscono il dibattito collettivo aperto, fisico, non virtuale.

La nascita di una classe parlamentare ha un effetto sulla configurazione “antimovimentista” dei 5 stelle?

Con la formazione dei gruppi parlamentari si assiste in un crescendo alla perdita del riconoscimento politico reale dei gruppi territoriali, dei meet up. Infatti, oggi, non sono pochi quelli che pensano di essere stati usati come una massa di manovra di tipo elettorale.

Il baricentro in questa fase non resta però alla Casaleggio Associati, l’agenzia di servizi per il web di Gianroberto, fondatore del movimento assieme al comico genovese?

Non posso affermare se alla Casaleggio come tale, ma di certo a Milano. Oggi il baricentro è l’associazione Rousseau costituita da Davide Casaleggio.

Per i critici verso i 5 stelle quella messa in atto dal figlio del fondatore è stata una presa di potere: costituendo la piattaforma, che per le nuove regole interne tutti i parlamentari eletti a marzo dovranno utilizzare per i voti e le funzionalità online, avrebbe di fatto accentrato il controllo sul movimento. Condivide?

Più che una presa di potere, è il controllo della comunicazione che è stato esercitato prima da Casaleggio padre e poi da Casaleggio figlio. E parte fin dall’inizio. Per lungo tempo si presenta come un ausilio tecnico al movimento di base e poi “Movimento 5 stelle” quando viene fondato.

Ed è rimasto solo un ausilio?

È un interrogativo contestato, problematizzato da tanti osservatori, me compreso. Non posso asserire che la piattaforma Rousseau sia un centro di potere, non ne ho gli elementi. Mi sembra però poco realistico affermare che si tratti solo di una struttura di servizio tecnico. Casaleggio figlio è presidente della Casaleggio Associati e dell’associazione Rousseau, di cui è anche tesoriere (e anche amministratore unico, ndr). Nei nuovi documenti (lo Statuto, il Codice etico e il regolamento) dell’associazione Movimento 5 stelle ci sono articoli che precisano che tutte le consultazioni online e le funzioni digitali devono passare per la piattaforma. Quindi di fatto un elemento di potere interno c’è. A seconda delle prospettive lo si può guardare come strumento del movimento, oppure come un mezzo per controllarlo e dirigerlo.

Lei nel libro scritto con Veltri insiste sul carattere “elettoralistico” dei grillini.

Sì, il carattere è presente ormai da tempo. Progressivamente si è intensificata la finalità elettorale. A ben vedere si è rivelata l’obiettivo strategico di tutto l’agire dal 2009 in avanti.

Il sogno dal basso di un cambiamento reale del Paese e della politica in senso di maggiore legalità, giustizia, partecipazione e di rimando di un governo pentastellato ha finito per far cambiare pelle alla realtà grillina?

Non so, ma si è manifestato un evidente opportunismo elettorale. Si può definire a tutti gli effetti un partito. Oggi il M5s combina le caratteristiche di vari tipi di partito, per dirla con la scienza politica: del partito pigliatutto (catch all party), del partito di opinione e del partito personale, anche se Grillo sta ormai nel retroscena e Di Maio non ha una grande personalità.

Trova che Luigi Di Maio abbia scarso peso politico reale?

Non mi pare abbia una grande levatura politica, per averne occorre mostrare una personalità autonoma. Tra l’altro, è stato eletto candidato premier con un’alta percentuale dei voti ma da un terzo degli iscritti soltanto.

A lui il movimento ha dato carta bianca per centrare il risultato nelle urne e inseguire la possibilità di un governo almeno a guida 5 stelle. Flessibile, se non mutevole, sul profilo dell’offerta programmatica, il movimento nella leadership di Di Maio appare come una formazione fluida che cambia ancora veste per adattarsi – cercando di ottenerne il consenso, anche con cambi di linea clamorosi come sull’euro – di un’ampia fascia di elettorato moderato. A urne chiuse si aprirà un’ulteriore nuova fase secondo lei?

Naturalmente il risultato elettorale non si può sapere ed è difficilmente prevedibile. Non so se possa venirne fuori un governo a guida pentastellata o meno. Ma nell’eventualità arrivassero nella stanza dei bottoni, certamente lo farebbero con una composizione dei gruppi parlamentari diversa dall’attuale e con ministri in parte significativa estranei rispetto alla storia del movimento. Senza fare futurologia, mi aspetto una discontinuità forte rispetto al movimento 5 stelle così come si è visto finora.

Potrebbe diventare irriconoscibile?

Non so, ma la dimensione sarà diversa da come si è presentata nel passato, un po’ ecologista, di opposizione al mondo finanziario. L’istanza di critica alternativa al sistema verrà inevitabilmente a ridursi. La politica estera poi è la grande incognita. Vedremo.