Nulla è perduto
Proprio quando tutto sembra perduto, niente è perduto. Nel 1940 Winston Churchill parlava alla sua nazione sull’orlo del baratro. Anche allora, proprio come oggi, l’Europa viveva un’ora di buio. Nel suo discorso quest’uomo di «ridente coraggio», come lo definiva Hannah Arendt, propagò speranza in un mondo disperato. La sua inattesa, irrazionale e ridente sfrontatezza fu determinante per sollevare gli animi e per resistere. Churchill dichiarò di avere «piena fiducia che se tutti faranno il loro dovere, se nulla verrà trascurato, e se saranno prese le decisioni migliori», allora si sarebbe stati in grado di «cavalcare la tempesta». Disse al suo popolo stremato che occorrevano sacrifici, che la minaccia era grande, che la guerra poteva durare anni. Fino allo sfinimento. Il primo ministro esortò ad aiutarsi a vicenda «come buoni compagni con il massimo delle forze». «Noi andremo avanti fino alla fine», disse. Combatteremo. E non ci arrenderemo mai.
Churchill suscitò molti eroi, sollevandoli dallo spirito della disfatta che aveva sopraffatto l’Europa intera. Non so se il Presidente del Consiglio italiano sia in grado di suscitare eroi con i suoi discorsi. Nell’ultimo egli era visibilmente e comprensibilmente sfinito.
Di certo, nella dolorosa ora presente, di eroi noi ne abbiamo molti.
Io vedo in Italia molti eroi. Sono eroiche le cassiere e i cassieri dei nostri supermercati. Nella nostra città è impressionante come restino al loro posto di combattimento. Mentre molti di noi indugiano persino a mettere piede in un supermercato, loro compiono il proprio dovere con una dignità che infonde coraggio. Sono eroici i farmacisti. Sono eroici gli infermieri, i medici, gli inservienti, tutti coloro che hanno speso la loro esistenza per la salute del prossimo, anche a rischio di compromettere la propria. Sono eroici medici e infermieri che mettono a repentaglio la loro vita per gli altri, nella consapevolezza di essere i più esposti.
Sono eroici coloro che non si fanno prendere dal panico. Sono eroici gli edicolanti che garantiscono quel bene incommensurabile che è la libertà di stampa. Sono eroici gli autisti dei bus. E tanti, tanti altri ancora.
Questi eroi sono oggi la risorsa più preziosa che abbiamo. Non «vacillano» e non «cadono». Sono i combattenti contro il virus, senza curarsi del prezzo da pagare.
Agli altri, ai non eroi, è chiesta solo una cosa: restare a casa. È chiesto loro di non esporsi al rischio del contagio, di pazientare e – soprattutto – di non rendersi complici inconsapevoli del nemico senza volto che ci attanaglia. Complici del virus. Non si chiede loro di rischiare, ma di non veicolare il pericolo, per sé e per gli altri.
In questa ora buia, proprio mentre la causa sembra persa, occorre ricordare a noi stessi che «le cause perse sono le uniche che vale la pena combattere»
Alcuni Paesi europei hanno compreso con troppo ritardo la lezione italiana. Tardano nell’adottare le misure necessarie, come noi, forse, abbiamo tardato prima di loro. Fermare un Paese ha conseguenze gravi nel lungo periodo e le resistenze a provvedimenti drastici si possono comprendere, ma non accettare. La vicina Austria ha occluso la frontiera del Brennero e lo ha reso noto a tutto il mondo, ma fino a ieri i caffè austriaci erano gremiti così come i pubs e i ristoranti. Ci siamo così abituati al virus nazionalista da pensare che persino quello coronato potesse essere recintato. Mezza Europa si è illusa che il Covid-19 riguardasse solo l’Italia. Sappiamo che si tratta di una folle illusione. Si attende l’espansione del contagio nell’Europa centrale entro i prossimi 8 giorni. Anzi, il virus è già altrove. Cova.
Da Ginevra i vertici dell’Oms hanno pronunciato la parola che non avremmo mai voluto udire. Pandemia. E hanno anche aggiunto che i governi europei non stanno facendo abbastanza per contenerla. Non è il momento di chiederci se anche il nostro governo non abbia tardato e sprecato tempo. Forse le misure drastiche prese nei giorni scorsi sarebbero state da prendere prima: oggi, ci tocca tralasciare e rimandare al futuro questo dubbio.
Quando Churchill sollevò la nazione contro il nazifascismo al grido di «victory!», la sua nazione non aveva nessuna voglia di combattere. Prima di Churchill, a Londra dominava la linea degli «appeasers», di coloro che caldeggiavano una illusoria pace con Hitler. Churchill convinse un’intera nazione e poi il mondo intero che non si può fare pace con una bestia. Occorre debellarla. Parlò onestamente, disse che non ci si poteva illudere di continuare a vivere nella pace e nella sicurezza. Bisognava sconfiggerla.
Mutando ciò che vi è da mutare (e io so bene che ciò è molto: allora il “virus” aveva un volto banalmente umano) anche oggi siamo chiamati a combattere. A rinunciare a uno stile di vita al quale siamo affezionati. A prendere la pandemia sul serio. Ad attenerci strettamente a regole che non ci sono imposte da un governo o da un Parlamento, ma dalla scienza e dal buon senso. Non abbiamo alternativa. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri cari e ai silenziosi eroi che sono ogni giorno sotto i nostri occhi. In questa ora buia, proprio mentre la causa sembra persa, occorre ricordare a noi stessi che «le cause perse sono le uniche che vale la pena combattere». E che proprio quando tutto sembra perduto, niente lo è davvero.