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“Le maggiori soddisfazioni? Sempre dalle sfide più difficili”

Maria Lo Russo è un’educatrice di lungo corso al centro giovanile Vintola 18 di Bolzano: “Negli anni i ragazzi sono cambiati, oggi prioritaria è l’integrazione”.

Maria Lo Russo di storie ne può raccontare infinite. Difficile trovare un punto di partenza in un’esperienza di lavoro con i giovani che è partita nel 1999, quando Maria ancora frequentava i corsi di pedagogia all’Università di Padova. Lo studio l’aveva portata ad occuparsi proprio delle realtà educative extrascolastiche: ed è con questo profilo che, ancora studentessa, approda al Vintola18. Dal dialogo con Maria una cosa emerge su tutte: l’esperienza conta. Non solo la sua di operatrice e oggi coordinatrice pedagogica, che ha visto passare dal “suo” centro generazioni di ragazzi in continua evoluzione. Anche l’esperienza dei ragazzi stessi, quella che possono raccogliere attraverso la frequentazione del centro, diviene un pilastro fondamentale nella loro formazione umana, civile e nella loro capacità di essere esempi e promotori anche nei confronti dei coetanei. Maria porta l’esempio di Scampia, dove ha accompagnato un gruppo di ragazzi delle superiori di Bolzano a partecipare ad una settimana di lavori nell’ambito dell’iniziativa “(R)esistenza anticamorra” di Ciro Corona. 

“Molti dei ragazzi sono partiti con dei pregiudizi. Lì la mattina lavoravano nei campi confiscati alla camorra e nel pomeriggio assistevano a incontri di formazione e informazione sulla tematica delle mafie. Quando sono tornati, tutti avevano compreso cosa significasse vivere a contatto con la camorra e molti pregiudizi erano scomparsi”.

Aiutare i ragazzi a sviluppare un senso civico e di partecipazione è uno degli intenti principali di Maria. Negli anni i ragazzi sono cambiati, è cambiata la composizione dei gruppi, e oggi è il tema dell’integrazione a farla da padrone. Nel ’99, l’emergenza era la seconda ondata migratoria dall’Albania. Tra i “suoi” ragazzi c’erano anche alcuni albanesi.

“Erano arrivati tutti in condizioni precarie, ma avevano un’energia incredibile e un forte spirito di affermazione: volevano una vita migliore e lo dimostravano anche a livello scolastico. Molti di loro hanno seguito un importante percorso culturale e oggi sono laureati o all’università. Allora per noi furono una novità. Ma per loro il confronto era unicamente con la cultura di arrivo, mentre i ragazzi che arrivano oggi devono confrontarsi con culture diverse, a volte anche molto distanti fra loro e in piena contraddizione. Per questa realtà non siamo ancora pronti. Ciò che manca a noi operatori è una conoscenza approfondita delle diverse culture, per comprendere come poterle far convivere.” 

Mediatori non ce ne sono, racconta Maria, quindi riuscire a superare le incomprensioni dipende anche in larga parte dal lavoro degli operatori. Queste differenze culturali si riflettono ovviamente anche nella realizzazione di progetti, che sempre di più devono tenere conto di differenze nella percezione del tempo, di identità di genere, di pregiudizi che le nuove culture hanno l’una verso l’altra.
Tuttavia, un miglioramento generale è percepibile e il merito va probabilmente in primo luogo alla scuola. 

“Queste nuove generazioni miste vivono il confronto su un piano anche molto fisico, e i naturali pregiudizi, di cui tutti abbiamo esperienza, nell’adolescenza sono amplificati e lo scontro a volte è inevitabile. Lavorare sui pregiudizi è estremamente difficile. Molto dipende anche dal background famigliare, sia dei ragazzi locali che dei migranti. E i centri giovani non possono fare tutto. La collaborazione con le scuole è fondamentale. Ma è anche indispensabile fare un percorso culturale, non solo assistenziale.” 

E alla necessità di integrare cultura e centri giovani Maria crede fortemente. È una delle sfide cui, a suo parere, gli operatori oggi non possono sottrarsi. E un’altra sfida è certamente quella di riuscire ad attivare ragazzi che non hanno mai avuto alcuna esperienza sociale. E sono molti, soprattutto fra gli stranieri: “Sono ragazzi che spesso, per via del loro vissuto precario, non hanno potuto sviluppare una propria identità, ed è quindi estremamente difficile integrarli nel nostro vissuto”. 
Ma le sfide più complesse sono anche quelle che riservano poi le maggiori soddisfazioni. 

“Dal centro sono passati ragazzi con storie di vita estreme, su cui sembrava impossibile scommettere. Vederli dopo anni, vedere che ce l’hanno fatta, che sono arrivati al termine di un loro percorso, hanno sviluppato competenze trasversali e si sono integrati nel mondo, questa è la soddisfazione maggiore. Il centro ha dato loro un’opportunità, responsabilizzandoli e dando loro spazi di espressione, e loro hanno saputo usarla, contando sulle proprie forze.”

 

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Questo articolo è stato originariamente realizzato da Giorgia Lazzaretto ed è stato pubblicato sulla prima edizione dell'annuario del Servizio Giovani della Provincia autonoma di Bolzano.