Società | kalašnikov&valeriana

Solidarietà maschile

La riproduzione di pratiche misogine si nasconde spesso dietro la maschera della solidarietà tra uomini, una postura paternalistica atta a difendere i propri privilegi.
Sessismo, patriarcato
Foto: the conversation

L’altro giorno mi ha scritto un amico che non sento da anni. Ha chiesto di potermi mettere in contatto con un suo conoscente che desiderava parlare con me di questioni private con la moglie che si era rivolta a GEA, la cooperativa che presiedo.
La questione mi ha lasciato perplessa. Uno, perché come Centro Antiviolenza offriamo un servizio basato su anonimato e qualsiasi informazione è coperta dal segreto professionale, nonché soggetto alla normativa Privacy. Due, perché il focus del lavoro di un Centro Antiviolenza è proprio l’ascolto senza giudizio della donna. In una società che a parole si esprime contro la violenza maschile sulle donne, ma nei fatti continua a riprodurla, noi ci schieriamo incondizionatamente proprio con coloro che spesso non vengono né ascoltate né credute in altri luoghi. Le operatrici del Centro Antiviolenza offrono uno spazio sicuro in cui le donne si possono confrontare con esperte formate. Contrariamente a ciò che implicitamente intendeva il mio conoscente, non esiste nulla di tanto privato che non possa essere discusso con le operatrici di riferimento in un Centro Antiviolenza se la donna lo desidera.

Mi è saltata all’occhio anche un’altra questione fondamentale per la riproduzione di pratiche misogine e sessiste: la solidarietà maschile.


Mi è saltata all’occhio anche un’altra questione fondamentale per la riproduzione di pratiche misogine e sessiste: la solidarietà maschile. La solidarietà femminile e quella maschile hanno due valenze diverse, date da storie diverse. Mentre per le donne è stato fondamentale riunirsi per prendere consapevolezza della propria situazione e difendere i propri diritti, la solidarietà maschile si riassume nel “cerchio degli uomini”, il “fare gruppo tra pari” in base alla classe sociale, appartenenza ecc. Conferisce agli uomini identità e mescola solidarietà con gerarchia e competizione, dalla partita di calcetto alle più alte istituzioni. Si tratta di una postura paternalistica e compiaciuta, atta a difendere un privilegio.
Ne risulta una solidarietà che comunica chiaramente alle donne: “oltre qui non vai (a meno che tu non abbia interiorizzato molto bene le regole del patriarcato), perché da qui il controllo e il potere sono nostri”. Queste barriere si manifestano in tutti gli ambiti della nostra società e le donne ci sbattono contro, dal soffitto di cristallo al muro da scavalcare nell’uscita da una relazione violenta. Nel caso del mio amico, un uomo che desidera assumere il controllo di ciò che sua moglie racconta in un Centro Antiviolenza, sente la necessità di interferire sulla visione che le operatrici avranno di lui e di raccontare la sua verità, ha deciso di contattare un suo pari, perché prorogasse la sua causa, implicando l’alleanza maschile nella difesa del privato (fra moglie e marito…).

 


Se ci riflettiamo, troviamo la solidarietà maschile ovunque, quando sul luogo di lavoro si preferisce l’assunzione di un uomo, perché con idee più simili, quando dei colleghi si danno man forte nel declassare l’unica donna presente a “portatrice di caffè”, quando l’opinione di una donna viene ridicolizzata o banalizzata da un gruppo di uomini o la sua professionalità va in secondo piano rispetto al suo modo di vestire o portare i capelli, quando un gruppo di uomini ci racconta che in fin dei conti, se avevi bevuto, lo stupro te lo sei andata a cercare. C’è poi chi non attua direttamente in modo così spudorato la solidarietà maschile per difendere la dominazione mascolina nella quotidianità, ma consapevolmente o inconsapevolmente, appoggia questa pratica. Lo fa tollerandola, evitando di schierarsi apertamente o di prendere una posizione scomoda fra i suoi pari. In questo caso il mio amico ha mancato di rimandare al suo conoscente “se tua moglie si è rivolta ad un Centro Antiviolenza, è un suo diritto e tu non devi interferire. Saranno le esperte che ci lavorano ad accertare i suoi bisogni. Se invece è a te che serve sostegno, rivolgiti a un servizio dedicato”. 
Invierò queste righe al mio amico, sperando possano essere spunto di riflessione sulla propria responsabilità.