Quel che resta di un eroe
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***1/2
Raccontare una storia così, rappresentata un mucchio di volte, e farne oggi un prodotto di mercato era, sulla carta, un’impresa. È riuscita a Uberto Pasolini, regista di The Return (Itaca – Il Ritorno), film che narra l’approdo del veterano di guerra Odisseo nella sua terra natale, dopo vent’anni di lontananza. Per dieci anni l’uomo “dal multiforme ingegno” ha guidato il suo esercito nell’assedio di Troia, alla fine distruggendola. Ma un altro decennio passerà prima che il re torni a Itaca, dove la sua assenza ha creato un vuoto di potere.
Cos’è
Il film si concentra sulla seconda metà dell’Odissea di Omero: dopo dieci anni di peripezie Odisseo (Ralph Fiennes) fa finalmente ritorno nella sua isola. Nel frattempo i Proci, un’orda di pretendenti di Penelope (Juliette Binoche), regina e presumibilmente vedova dell’eroe greco inventore dell’inganno del cavallo di legno che mise fine alla guerra fra achei e troiani, gli hanno occupato la casa e dilapidato i beni.
Odisseo, stanco e invecchiato, deve prepararsi ad affrontare, riluttante, una nuova guerra, domestica stavolta, ma si prende un bel po’ di tempo prima di rivelarsi e affrontare questi intrusi. Finisce come tutti ce la ricordiamo: in un bagno di sangue.
Com’è
The Return è un dramma storico piuttosto classico con un approccio essenziale. Siamo lontani dalle spettacolari produzioni iper-costose che ci si aspetterebbe per un film epico. Nel suo adattamento Pasolini toglie ogni intervento divino, gli elementi mitologici e non fa menzione di tutte le disavventure che ritardarono il ritorno di Odisseo dalla guerra di Troia per un decennio. Il regista di Still Life si concentra piuttosto sul ritratto umanista di un eroe ormai senza gloria, sfinito, tormentato, a malapena vivo, che arriva sulle rive di Itaca temendo che sua moglie e suo figlio Telemaco (Charlie Plummer) non accettino più l’uomo che è diventato.
Fiennes è gigantesco nella sua interpretazione di Odisseo: il suo corpo segnato da anni di guerra e traversie è scolpito, con i muscoli tesi e la pelle bruciata dal sole, come in un dipinto antico. È irriconoscibile, inizialmente scambiato per un mendicante, e si accontenta di passare per tale mentre recupera le forze e trama per eliminare gli invasori e riconquistare il regno e sua moglie. Binoche è perfetta nel restituire con grande regalità tutta la tensione di una donna che continua a onorare un marito che sospetta possa averla abbandonata mentre è messa alle strette da prepotenti ruffiani che bivaccano in casa sua incalzandola perché scelga tra loro il futuro sposo. Penelope gioca una partita strategica e, per guadagnare tempo, dice che non prenderà marito finché non avrà finito di tessere il sudario per l’anziano suocero.
Pasolini si prende tutto il tempo per raccontare questa vicenda, bisogna perciò scendere a patti con un ritmo dell’azione lento che abbassa il volume dell’impatto emotivo, sobrio anche quando il conflitto inevitabilmente si amplifica fino all’esplosione di violenza durante la catarsi finale. Il regista è interessato ad altro: attraverso un poema vecchio di tremila anni fa affiorare temi ancora molto attuali come la protervia del potere, i traumi di guerra e il tributo psicologico e umano che quest’ultima richiede. Sta poi a noi riconoscere quello che possiamo ancora imparare da queste storie.
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(c) Foto
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