Il principe della notte è tornato
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In principio fu Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, film di Friedrich Wilhelm Murnau del 1922 e pietra miliare del cinema muto. Nel 1979 il conte Dracula, impersonato da un indimenticabile Klaus Kinski, tornò nel Nosferatu: Phantom der Nacht di Werner Herzog, omaggio all’originale e all’espressionismo tedesco. Ed è a questa tradizione che guarda anche l’ultimo film incentrato sul leggendario vampiro ideato dallo scrittore irlandese Bram Stoker, il Nosferatu di Robert Eggers, autore statunitense che con il suo The VVitch si è affermato come alfiere dell’“elevated horror” (“horror sofisticato”), sottogenere dei film dell’orrore.
Cos’è
Questa versione di Nosferatu attinge oltre che dal film di Murnau (l’opera da cui Eggers più trae ispirazione) e di conseguenza dal romanzo “Dracula” di Stoker, anche dall’adattamento di Tod Browning del 1932 nonché dalla pellicola di Francis Ford Coppola del 1992 Bram Stoker’s Dracula. Da quest'ultima opera Eggers ripropone in particolare il rapporto ossessivo fra il Conte Orlok (Bill Skarsgård) ed Ellen (Lily-Rose Depp), giovane moglie di Thomas Hutter (Nicholas Hoult), che viene inviato dal suo capo Friedrich (Aaron Taylor Johnson) in Transilvania, nei Carpazi, per sbrigare un affare immobiliare con il nobile solitario.
Nel frattempo i sogni e la veglia di Ellen, ospite di Friedrich e di sua moglie Anna (Emma Corrin), vengono disturbati con sempre più invadenza dalla mostruosa creatura e lasciano la donna in preda a perturbamenti notturni e deliri mistici. Per poter raggiungere Ellen a Wisborg, in Germania, e agire indisturbato Orlok diffonde una piaga nell’immaginaria cittadina tedesca. Gli Hutter, il professor Albin Eberhart Von Franz (Willem Dafoe) e il dottor Wilhelm Sievers (Ralph Ineson) dovranno trovare un modo per combattere il crescente potere del non-morto prima che sia troppo tardi.
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(c) Focus Features
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Com’è
Potenza visiva e meticolose capacità di worldbuilding sono i segni distintivi del remake di Eggers, un horror gotico solenne che lavora accuratamente sulle atmosfere, con una fissazione per i dettagli. Il regista di The Lighthouse e The Northman mette in scena lo stesso, invariato racconto popolare ottocentesco, rispettando l’estetica espressionista e incorporando gli elementi folkoristici del mito di Dracula, ma ne rielabora lo sguardo, ne attualizza la prospettiva, costruendo un’esperienza sensoriale originale. Nosferatu è prima di tutto un film bello da guardare.
Al centro della storia il cineasta mette Ellen, una donna in conflitto con il proprio inconscio, immersa in contraddizioni emotive, mossa dal desiderio carnale, dalla fame del piacere e al contempo dalla vergogna poiché una parte di lei brama il tocco di Orlok, incarnazione fisica della sua repressione che vuole essere risveglio e liberazione sessuale. In questo mondo crepuscolare, fotografato abilmente da Jarin Blaschke che infonde a luce e ombra grande personalità, Eggers riporta il vampiro alle sue origini più animalesche, svelandone gradualmente i dettagli del corpo decrepito e scheletrico, a cui la performance vocale di Skarsgård (sia in termini di interpretazione che di sound design) aggiunge punti-inquietudine.
Nosferatu è un film che si diverte con la sua malvagità. E se è vero che confrontarsi con i classici è sempre un’operazione rischiosa per la sacralità che spesso viene loro attribuita, la declinazione di Eggers è rispettabilissima e particolarmente ispirata, e ha un finale mozzafiato. L’oscurità vi reclama.
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