Ai tempi del mio primo viaggio da Bolzano al Brennero avrò avuto sei o sette anni. Ricordo la puzza di fumo stantio nei vagoni e le panche di legno della terza classe. Per superare il dislivello di oltre mille metri fino al passo servivano due locomotrici. Il treno si fermava ogni cinque minuti nelle piccole stazioni in legno. Al Brennero il treno si fermava per circa venti minuti. Non solo per i controlli doganali, ma per il necessario cambio delle locomotrici, perché Austria e Italia avevano e hanno tuttora sistemi diversi di alimentazione elettrica.
Ricordo il vento gelido tra i binari e le montagne innevate intorno. Ero deluso da quel posto di cui mio padre parlava così spesso. Allora, negli anni cinquanta, sul passo a 1.370 metri, oltre ai binari e alla statale si trovava un triste agglomerato di caserme e chioschi che offrivano i prodotti più gettonati dai viaggiatori: vino, prosciutto e tagliatelle sul lato italiano; sigarette, cioccolato, caffè e banane su quello austriaco. Ogni sabato sul lato italiano si teneva un mercato molto frequentato dai visitatori della vicina Innsbruck.
Certo: il Brennero è un luogo inospitale e cupo, incastrato tra ripide rocce. Spesso si presenta innevato. È ovvio che nessuno dei viaggiatori si accorge di passare lo spartiacque delle Alpi, da dove nascono fiumi che per una differenza di pochi metri finiscono nel mar Nero o nell’Adriatico.
Re e imperatori
Questo luogo inospitale, per secoli difficilmente accessibile, offre un unico vantaggio: è il valico meno alto per attraversare la barriera innevata delle Alpi. Tra quelle rocce nere hanno transitato le legioni romane di Druso e Tiberio e una sessantina di imperatori tedeschi diretti a Roma per farsi incoronare dal papa. Era un viaggio faticoso e pieno di insidie attraverso le gole strette dell’Isarco popolate da briganti. Goethe ci arrivò il 10 settembre 1786 e dopo aver disegnato l’osteria della stazione di posta, con la stalla per i cavalli di cambio, verso sera ripartì in carrozza per Bolzano, avvertendo già “l’aria mite e soleggiata” dell’amata Italia.
Nel 1867, sul Brennero, la vera rivoluzione arrivò con la ferrovia costruita sotto la monarchia asburgica, superando le Alpi con trafori e viadotti arditi. E l’era delle carrozze a cavalli tramontò in pochissimi anni. Nel 1919 la divisione traumatica del Tirolo portò la linea del confine proprio lì dove nel corso dei secoli non c’era mai stata: il Brennero diventava la frontiera tra l’Austria e l’Italia. L’Alto Adige fu annesso e pochi anni dopo cominciò l’italianizzazione forzata della regione voluta dal fascismo. Nel 1940 al Brennero s’incontrarono Hitler e Mussolini per rinforzare l’asse Roma-Berlino.
Come tutte le frontiere anche il valico era zona di contrabbandieri che si muovevano agili sui sentieri di montagna intorno al passo. Per portare persone senza documenti da un paese all’altro si pagavano delle tariffe distinte per adulti e bambini. Da questi sentieri, dopo la guerra, arrivarono in Italia parecchi criminali di guerra nazisti come Mengele, Eichmann e Priebke, che trovarono rifugio in alcuni conventi altoatesini in attesa dei documenti contraffatti per proseguire il viaggio per Genova; da dove si imbarcarono per l’America Latina.
Per oltre mezzo secolo l’Alto Adige e l’Austria hanno fatto di tutto per cancellare quel confine di alto valore simbolico che è il Brennero.
Nei primi anni sessanta quello del Brennero diventò un confine molto caldo. Alle bombe in Alto Adige il governo italiano reagì con l’invio di ventimila soldati. I rapporti tra Vienna e Roma erano talmente gelidi che l’Italia, nel luglio del 1962, decise di introdurre l’obbligo del visto. I controlli al confine erano rigidissimi. Senza visto non si poteva neanche andare da Innsbruck a Vipiteno. Bisognava affidarsi di nuovo ai contrabbandieri. Nel 1964 furono due socialdemocratici a introdurre la normalizzazione dei rapporti: il cancelliere Bruno Kreisky e il presidente italiano Giuseppe Saragat.
Solo un anno prima sul Brennero, con il completamento dell’autostrada, si era verificata la seconda rivoluzione. Quell’opera, allora celebrata come “strada alpina dei sogni” portò il turismo di massa sul varco alpino. E quella strada dei sogni, percorsa da due milioni di Tir ogni anno, nel frattempo si è trasformata in un incubo ambientale.
Dopo lo statuto di autonomia, per oltre mezzo secolo l’Alto Adige e l’Austria hanno fatto di tutto per cancellare quel confine di alto valore simbolico che è il Brennero. E non poteva esserci immagine più simbolica di quella del 1998, quando il ministro dell’interno dell’epoca, Giorgio Napolitano, e il suo collega austriaco, Karl Schlögl hanno rimosso le barriere del Brennero sotto i flash di decine di fotografi. Era l’inizio dell’era Schengen, la realizzazione del sogno di viaggiare senza confini. Napolitano tuttora insiste: “Non è immaginabile che si torni indietro da quella storica decisione”.
Il 12 aprile, sul lato austriaco del Brennero, è stato aperto un cantiere per la costruzione di un centro di identificazione di migranti. Sull’inizio dei controlli annunciati in Austria, dove tra poco ci saranno le elezioni presidenziali, si tace. I lavori saranno seguiti con occhio critico da troupe televisive di mezza Europa. Il Brennero, che da anni sembrava sparito dalle cronache e che migliaia di turisti attraversano senza neanche notarlo, è tornato sulle prime pagine.
Per l’Europa è una pessima notizia. Per Matteo Salvini è un motivo per complimentarsi con Vienna. Il chiosco dove da bambini compravamo il cioccolato, da molti anni non esiste più. E gran parte dei viaggiatori che si fermano per fare shopping nel nuovo grande centro commerciale, della lunga e travagliata storia di quel passo non sa nulla. E ancora meno sul suo incerto futuro. E nessuno sul bordo della statale nota quel cippo di marmo del 1919 che ricorda il punto esatto del confine.
Questo articolo è apparso il 12 aprile su Internazionale.