Cultura | Salto Afternoon

River to River 2020

Sei giorni di cinema indiano dalla sala virtuale del cinema La Compagnia di Firenze per vivere e rivivere impressioni dal mondo colorato del subcontinente 
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Foto: River to River Florence Indian Film Festival

La fotografia “cattura” un momento indimenticabile e non “crea” un momento memorabile grazie a filtri e colorazioni disponibili sulle diverse app dei social media che permettono di modificare a piacere ogni immagine scattata. Roland Barthes, semiologo e filosofo francese, aveva scritto che una foto era “la rappresentazione di un tempo che fu”. Se volessimo usare questa espressione oggi forse dovremmo dire “rappresentazione di un tempo che vorremmo ci fosse stato” o “che sia eternamente presente” in quanto siamo inondati da immagini. Ovunque.

Questa riflessione per altro molto filosofica sulla differenza tra ieri e oggi persino nel guardare il mondo, l’abbiamo tratta dal film indiano Karwaan di Akarsh Khurana, del 2018, presentato alla ventesima edizione del River to River Florence Indian Film Festival andato in scena online – come tanti festival di questo periodo – tra il 3 e l’8 dicembre. È un festival privo di concorsi che ha come mission far conoscere il cinema d’autore del subcontinente in Italia (e nel mondo, visto che quest’anno si vantano connessioni in giro per l’Europa e persino dal Vietnam e dagli Usa…), e la cui direttrice artistica Selvaggia Velo va ogni anno alla ricerca di opere di finzione e documentari nonché di corti e serie interessanti da mostrare e che forniscano informazioni e riflessioni critiche sulla società indiana in continua evoluzione.
Vi vogliamo parlare di tre opere che narrano bene la convivenza di antiche tradizioni e il continuo aggiornarsi dei modi di vivere e di percepire le proprie esistenze per migliorare la conoscenza di quell’universo che da sempre vanta una gran biodiversità – in tutti i sensi. 


Il già citato Karwaan è una commedia on the road che non disdegna ingredienti tipici dei noti drammi bollywoodiani, ossia le canzoni che riassumono presente e futuro in testi fortemente emotivi e qui non privi di ironia. L’on the road è dovuto al fatto che una salma è stata consegnata alla persona sbagliata, per cui si innesca un quasi pirotecnico giro in mezzo alla burocrazia indiana e ovviamente alle campagne del sud dell’India. Punto di partenza è Bangalore, centro del mondo informatico indiano. Karwaan è stato inserito nel programma del festival essendo stato interpretato da un grande e inarrestabile talento sul grande schermo come Irrfan Khan, morto nello scorso aprile 2020, e a cui, non solo perché era già stato ospite a Firenze qualche anno fa, è stato dedicato un Focus. Chi ha visto Lunchbox di Ritesh Batra del 2013, Premio Oscar come miglior film straniero, (anche questo ripresentato al festival) si ricorderà il personaggio dell’impiegato cui arrivano inattese leccornie nella sua lunchbox che si scoprirà essere stata scambiata… e di qui nasce una delicata storia d’amore platonico. Fu un grande successo al botteghino. Qui possiamo dire che l’equivalente della lunchbox è la bara… con tutt’altro impeto e percorso narrativo, però. Protagonista è il giovane Avinash - poi affiancato dall’amico Shaukat (nelle sembianze di Khan) – raggiunto da una telefonata che gli annuncia la morte del padre in un incidente di autobus. Avinash non aveva contatti con lui da molti anni, avendo quest’ultimo ostacolato la sua passione per la fotografia e quindi una eventuale carriera come fotografo. Nuclei tematici sono dunque la relazione padre-figlio, ma anche madre-figlia, entrando in scena Tahira, la donna alla quale era stata spedita la salma del padre mentre ad Avinash era stata recapitata quella della madre di Tahira, conflitti e amore che non si limitano alle storie personali, anzi vengono ampliate a livello intergenerazionale tout court: “quando un figlio riconosce che il proprio padre aveva ragione, mediamente c’è già qualcun altro più giovane che gli dice che ha torto…”. Karwaan dunque disegna incontri/scontri generazionali di ieri e oggi con ritmo alternato tra scene (quasi) romantiche e inseguimenti mozzafiato, matrimoni andati a monte e funerali improvvisati. Il tutto immerso nel coloratissimo mondo indiano dove non mancano battute indirizzate a tradizioni tuttora perpetuate riguardo alle donne maltrattate da mariti spesso molto più grandi di loro, comportamenti che vengono stigmatizzati nel giro di poche inquadrature. Che questi film abbiano una simile influenza delle grandi commedie bollywoodiane in cui il numeroso pubblico amava identificarsi? 

Il regista Akarsh Khurana è intervenuto nel quotidiano ChaiTime su Youtube, gli incontri live organizzati da River to River per ottemperare alle assenze in presenza degli ospiti, e oltre a parlare brevemente del suo lavoro con Irrfan Khan ha raccontato il fare cinema in India ai tempi della pandemia e di come Netflix e le altre piattaforme in rete abbiano “liberato” la creatività di registi e autori a favore di una maggiore sperimentazione in campo visivo e drammaturgico rispetto alle rigorose regole sempre necessarie per i film su grande schermo.


La seconda opera riguarda il Focus sull’Himalaya: Buddha of the Chadar di Sean Whitaker, coproduzione inglese-italiana-indiana, in cui si narra il viaggio di un padre col figlio lungo il fiume ghiacciato che conduce da Leh a Zanskar, per portare una dorata statua del Buddha in dono al monastero ivi situato. Canti di monaci buddisti, le parole dei due che raccontano le difficoltà da superare e i suoni minimi della natura spesso immersi nel totale silenzio attorno accompagnano questo tuffo in un altro mondo, sul tetto del mondo, nel Ladakh. Pare un film monocolore, da un lato le diverse sfaccettature dal marrone della terra al bianco del ghiaccio, e dall’altro quelle bordeaux degli abiti, interrotto unicamente al momento dell’ingresso nel monastero annunciato dalle classiche bandierine colorate svolazzanti nell’aria tersa di un cielo blu.

 

La terza tocca un tema che sta tornando di grande attualità: il khadi. Che cosa significa questa parola? Ce lo spiega Gaia Franchetti lungo i settanta minuti del suo documentario realizzato nel 2019, La ruota del Khadi, grazie a tante immagini raccolte in giro per i centri di produzione più importanti di questo tessuto, filato e tessuto rigorosamente a mano, e incontrando anche Tara Gandhi, la nipote del grande Mahatma Gandhi, che aveva creato persino un movimento centrato sul tessuto. Ancora una volta tradizioni intergenerazionali che fungono anche da collante nella società rurale di alcune zone, soprattutto nell’Andar Pradesh (la produzione del cotone) e nel Bengala (la produzione della seta). Gandhi aveva fatto dell’arcolaio il simbolo del suo movimento per la non violenza, infatti aveva accettato la produzione della seta unicamente dopo aver appurato che i bachi di quel tipo di seta sarebbero morti comunque. Nel film si alternano brani di intervista con immagini spesso anche ravvicinate di donne che filano o preparano i boccioli di cotone appena raccolti e di uomini che tessono ai grandi telai, nonché di stradine di villaggi occupate da metri e metri di fili colorati che devono essere stesi in modo da poter poi essere lavorati sul telaio. Queste sequenze a colori che raccontano l’oggi sono intervallate da brani d’archivio che narrano le esperienze del passato in un tremolante bianco e nero. Abbiamo parlato di “collante della società”, in quanto la lavorazione del khadi dà da mangiare a tante persone nei villaggi, nelle attività, è un tessuto non più considerato “povero”, benché a suo tempo ci fossero laboratori appositi per le famiglie nobili, e che è entrato nel tempio della moda. Dove “moda” – ci rivela Tara Gandhi – di fatto si rifà al concetto di “modo di vestire/vivere/essere” per cui al contrario di altre tradizioni il khadi viene tuttora ampiamente coltivato e indossato da schiere sempre più ampie di uomini e donne.

 

River to River Florence Indian Film Festival 2020 vuole fare un regalo a tutti gli appassionati di cinema indiano: tra i film del pacchetto di Natale di “Più Compagnia” (la piattaforma o meglio la sala virtuale del cinema La Compagnia di Firenze, su cui era andato in onda l’intero programma del festival in collaborazione con Mymovies), visibili dal 24 dicembre, ci saranno due presentati al festival: The Two Lovers di Ranjan Ghosh, pellicola di chiusura dell’edizione online 2020 (sullo sfondo di Calcutta, una storia d’amore coinvolgente che racconta come il cibo possa unire i paesi, le religioni e le anime) e The Last Color dello chef e regista Vikas Khanna, storia di amicizia tra una bambina e una vedova di nome Noor a Varanasi. I registi saranno ospiti dei Chai Time a loro dedicati in diretta sui canali sociali del festival, il 28 e il 30 dicembre alle ore 18.