Di stelle, nonostante tutto
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Il sipario è già alzato, quando si entra a teatro per lo spettacolo Cose che so essere vere, in scena fino a domenica 17 novembre al Comunale di Bolzano per la stagione del Teatro stabile di Bolzano. Sul fondale del palcoscenico, aperto così verso la platea, un astratto cielo stellato che ricorda un dipinto di Van Gogh, e una scritta: Hallett Cove, che è il nome di un sobborgo residenziale della città di Adelaide, nell’Australia meridionale.
Il dramma si apre e chiude sullo squillo di un telefono...
La scritta chiarisce che siamo nell'emisfero meridionale del globo, e le stelle, se sono stelle quelle sullo sfondo, non possono essere quelle viste da Van Gogh, perché in Australia le costellazioni che si vedono in cielo sono altre. Sulla scena alcuni arredi che spuntano da una selva di vasi e piante verdi di ogni genere a rappresentare il ģiardino di una villetta di periferia, la casa-rifugio per la famiglia Price: la coppia di genitori, Bob e Fran, e quattro figli grandi, Pip, Ben, Mark e la più piccola Rosie. È con gli occhi della diciannovenne Rosie, che torna inattesa e prima del previsto a casa, disillusa da un viaggio con lo zaino in spalla intrapreso in Europa, che anche noi spettatori cerchiamo rifugio in un quadro familiare consueto, dove il padre Bob, operaio metalmeccanico in pensione, si dedica al giardino, più o meno maldestramente, ma ne è appagato. Allo stesso modo Bob dispensa abbracci ai figli e alle figlie, affidando a quel gesto più la propria illusione di amore che la risposta alle esigenze concrete di chi ha messo al mondo. Al suo fianco la moglie Fran, infermiera ancora in servizio, che ha invece costantemente presente le esigenze e i problemi dei figli, tanto che sembra conoscerli meglio di loro stessi. Anche da parte di Fran si mostra una distorsione di una pratica di amore familiare, che si traduce in un costante, disperato e oppressivo tentativo di imposizione di felicità, necessariamente destinato a fallire. Fran stessa ha sepolto la propria felicità individuale nella routine di un amore familiare nei confronti di Bob e dei figli, autoimposta come unica prospettiva di vita. Salvo accumulare e mettere da parte segretamente negli anni, un gruzzolo consistente di denaro, che rappresenta una potenziale via di fuga, un orizzonte di emancipazione. E che finirà invece fagocitato sull’altare della famiglia, che tutto sovrasta, e servirà a rimediare a un grave ammanco finanziario del figlio Ben, quello a cui Fran fa trovare le camicie stirate e che lei rifornisce di cibo non richiesto, e che da parte sua insegue invece il lusso e una vita mille volte più veloce e più appagante dell’esempio modesto del padre. -
Il gioco teatrale del drammaturgo Andrew Bovell, risulta convincente, anche nella inflessione mediterranea che acquisisce nella messa in scena di Valerio Binasco. Il regista Binasco interpreta nello spettacolo anche il ruolo di Bob a fianco di Giuliana De Sio, nei panni di Fran. Il dramma di Bovell equivale a una istantanea, che copre l’arco di un anno, di un gruppo familiare, in cui emergono le incapacità dei singoli di adeguarsi a un modello fittizio, mentre il nucleo familiare tradizionale in cui ciascuno è cresciuto si mostra quotidianamente inadatto a venire incontro ai cambiamenti e agli stimoli a cui sono esposti i singoli individui in una società che non è immobile, come forse vorremmo. Le scelte da fare per ciascuno dei figli, la decisione di separarsi dal marito e le sue due bambine della figlia Pip per realizzarsi in un nuovo amore, il percorso radicale e difficile di Mark per cambiare sesso e vivere apertamente la propria anima femminile a costo di disilludere pesantemente i genitori, la scelta di una prospettiva di vita incerta come può essere un corso di scrittura creativa per Rosie, si scontrano contro il cristallo inviolabile delle convenzioni, che rendono tutti prigionieri delle proprie e altrui ferite. L’infelicità nasce dal continuo confronto dei rapporti umani reali con un modello ideale di famiglia che dovrebbe regolarli e finisce per rinchiuderli in una gabbia. Perché l’emancipazione è possibile solo in un orizzonte più ampio. Resta spazio nel dramma per gli aneliti e le maldestre, imperfette eppure irrinunciabili manifestazioni d’amore dei singoli personaggi, in cui ciascun spettatore può scegliere di riconoscersi. Dopo qualche titubanza iniziale, anche il pubblico bolzanino si ritrova trascinato nel viaggio dentro ai sentimenti, espressi con talento da tutti i sei attori. E applaude e ride nelle scene madri, commosso a un certo punto anche dalle note delle canzoni di Leonard Cohen. Accanto a Binasco e De Sio recitano, nei ruoli dei quattro figli della coppia, Fabrizio Costella (Ben), Giovanni Drago (Mark/Mia), Giordana Faggiano (Rosie) e Stefania Medri (Pip).
Come le verità intime date per scontate si dileguano, così la stessa àncora che potrebbe essere rappresentata dalla casa sparisce, grazie alla azzeccata scenografia di Nicolas Bovey, che lascia ruotare continuamente gli arredi scenici. Non c’è mai staticità nelle scene, non ci sono appigli che fingano una solidità e di conseguenza una stabile gerarchia familiare, sia per i personaggi che per gli spettatori, che si trovano a confrontarsi così, senza sconti, con le proprie personali manchevolezze e, come irrisolvibile residuo, con la propria indefessa voglia d’amore. Il dramma si apre e chiude sullo squillo di un telefono, che cambierà per tutti la prospettiva su quello che accade e il giudizio sui sentimenti di ciascuno descritti nel lungo flashback di 100 minuti, tanto è la durata di uno spettacolo decisamente riuscito. Anche a ricordarci che siamo stelle, fragili e immense, ciascuna di noi, nonostante tutto, persino quando siamo invisibili agli altri.
Fino al 17 novembre al Tentro comunale di Bolzano
(Things I Know to Be True)
di Andrew Bovell
traduzione Micol Jalla
regia Valerio Binasco
con Giuliana De Sio, Valerio Binasco
Fabrizio Costella, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Stefania Medri
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Alessio Rosati
suono Filippo Conti
video e pittura Simone Rosset
assistenti regia Fiammetta Bellone, Eleonora Bentivoglio assistente scene Francesca Sgariboldi
assistente costumi Rosa Mariottitirocinante dell’Università di Torino/D.A.M.S. - Beatrice Petrella
tirocinante dell’Accademia Teatro alla Scala - Marina BassoProduzione di
Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale