Eutanasia, la battaglia continua
Quesito inammissibile. Lo ha stabilito ieri sera la Corte costituzionale con una breve nota, alla fine di una giornata di consultazioni. La sentenza verrà depositata tra pochi giorni e solo allora si potranno leggere le motivazioni complete, ma nel breve comunicato rilasciato dalla Consulta si legge che l’abrogazione, seppur parziale, dell’art.579 del codice penale, creerebbe una carenza di tutela della vita umana, soprattutto verso i soggetti più fragili. Una decisione che, secondo le voci di corridoio, risultava abbastanza scontata e proprio per questo avevano destato stupore, durante il saluto agli assistenti di studio, le parole di Giuliano Amato, neo-eletto presidente della Corte: “È banale dirlo ma i referendum sono una cosa molto seria e perciò bisogna evitare di cercare ad ogni costo il pelo nell’uovo per buttarli nel cestino. Dobbiamo impegnarci al massimo per consentire, il più possibile, il voto popolare.” Le associazioni promotrici avevano esultato e sembrava serpeggiare un cauto ottimismo verso la possibilità di indire il referendum in primavera, poi ieri lo brusca frenata.
Già nella sentenza del 2019 i giudici si erano rivolti al Parlamento, perché legiferasse finalmente su un tema così importante: da anni si attende infatti che quest’ultimo si esprima sui diritti civili, ma sempre da anni il Parlamento disattende le aspettative
Il referendum sull’eutanasia mirava ad abrogare in parte l’omicidio del consenziente, lasciando però in vigore la parte che prevede la punibilità per chi provoca la morte di un minore, di chi è affetto da deficienza psichica e per chi estorce il consenso con violenza o inganno. Un’apertura quindi, solo per coloro che, nel pieno possesso delle loro facoltà mentali, vorrebbero porre fine alle loro sofferenze e decidere di morire con dignità. Il percorso verso una legge sull’eutanasia subisce quindi una battuta d’arresto, ma nel tempo si sono susseguite alcune piccole aperture, che avevano fatto sperare in un nuovo orientamento dell’ordinamento. La legge sulle DAT (direttive anticipate di trattamento), conosciute come testamento biologico, o la sentenza Cappato (n.242/2019), proprio da parte della stessa Corte costituzionale, lasciavano intravedere un nuovo approccio verso questi temi. Già nella sentenza del 2019 i giudici si erano rivolti al Parlamento, perché legiferasse finalmente su un tema così importante: da anni si attende infatti che quest’ultimo si esprima sui diritti civili, ma sempre da anni il Parlamento disattende le aspettative. Per recepire le aperture della sentenza 242/2019, negli ultimi mesi è intervenuto anche il Ministro della salute, Roberto Speranza, che ha emanato un decreto ministeriale per provare a stabilire, almeno in parte, alcune regole sul suicidio assistito, cercando di ridisegnare i comitati etici regionali, che dovrebbero occuparsi di esaminare le richieste di eutanasia, ma il decreto é ora fermo all’esame delle regioni.
Questa grande partecipazione dimostra come la compagine sociale sia molto reattiva verso i diritti civili di nuova generazione e la pronuncia di ieri ha provocato un’ondata di delusione, mentre le associazioni si sono già espresse, ribandendo la loro amarezza ma anche la volontà di proseguire la lotta
Il referendum rimaneva quindi uno dei pochi strumenti per opporsi a questo ostruzionismo politico, e la campagna di raccolta firme ha avuto un successo enorme, con oltre 1,2 milioni di firme raccolte, a fronte delle 500 mila necessarie. Questa grande partecipazione dimostra come la compagine sociale sia molto reattiva verso i diritti civili di nuova generazione e la pronuncia di ieri ha provocato un’ondata di delusione, mentre le associazioni si sono già espresse, ribandendo la loro amarezza ma anche la volontà di proseguire la lotta. Il promotore bolzanino del referendum Diego Laratta ha dichiarato: “La notizia ci ha lasciati sorpresi e delusi. Delusi perché si è persa una buona occasione per far accorciare la distanza tra cittadini e istituzioni, tra realtà e leggi. Credo inoltre sia una brutta notizia soprattutto per coloro che subiscono e dovranno subire ancora più a lungo sofferenze insopportabili contro la loro volontà. Siamo stufi perché noi, all’eutanasia clandestina, chiediamo l’eutanasia legale.” Diversi studi dimostrano infatti che dove non c’è una normativa a regolare il fenomeno, le pratiche eutanasiche siano comunque presenti, ma devono essere compiute in clandestinità o tra le maglie della legge, aumentando il dolore di coloro che vi si sottopongono, dei loro cari e lasciando proliferare il rischio di derive criminali. Per questo motivo continua Laratta: “Noi non ci fermeremo qui. Abbiamo perso un appuntamento con la storia, sì è vero, ma ormai, lo sappiamo tutti, è solo questione di tempo e bastava vederlo anche dall’età, spesso giovanissima dei nostri firmatari, che il futuro è dalla nostra parte. Presto dovrebbe essere indetta una riunione con tutti i soci dell’Associazione Luca Coscioni per capire i prossimi passi”. Il dibattito infatti resta vivo, anche alla luce dei recenti sviluppi nell’Unione Europea, in cui sempre più Stati si trovano ad affrontare il tema dell’eutanasia; conclude Laratta: “ Un rapido cambio di passo sta avvenendo in tutta Europa, chiediamo quindi alla politica che si dia voce alle oltre 1 milione e 200 mila firme in Parlamento.”