La lunga ombra nera

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“Hate Nazis”. A un ragazzo di quindici anni è bastata questa scritta sui capelli per ritrovarsi vittima di un pestaggio da parte di tre estremisti di destra tra i quaranta e i cinquantacinque anni. L’aggressione è avvenuta un pomeriggio di fine settembre in un locale della zona industriale di Bolzano. Mentre il giovane stava assistendo a un concerto insieme a familiari e amici, i tre si sono avvicinati chiedendogli il significato della scritta e, senza lasciargli il tempo di rispondere, lo hanno afferrato, gettato a terra e colpito alla testa con pugni e schiaffi. Solo grazie all’intervento delle persone presenti il quindicenne è riuscito ad allontanarsi e mettersi in salvo. “Aggressioni di questo tipo sono l’ennesima dimostrazione di quanto siano privi di scrupoli e inclini alla violenza gli estremisti di destra”, ha commentato in una nota pubblicata sui social il collettivo Antifa Meran. Questo, infatti, è solo l’ultimo episodio di violenza di matrice fascista accaduto in provincia di Bolzano negli ultimi venticinque anni.
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SALTO change in ottobre
“La democrazia e il pericolo proveniente dalla destra” è il tema di SALTO change in ottobre.
Tutti gli articoli della serie SALTO change sono disponibili all'indirizzo www.salto.bz/change.
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L’omicidio di Fabio Tomaselli
Nella notte tra il 29 e il 30 novembre 2003 Fabio Tomaselli, 26enne originario di Pergine, stava festeggiando un compleanno insieme ad alcuni amici al Saugaut, un locale di Bolzano ormai chiuso da anni. Nello stesso bar si trovava anche un gruppo di neofascisti – due bolzanini e due militari paracadutisti – poco più che ventenni. Secondo uno degli amici presenti, Fabio stava discutendo di politica con uno di loro. Quando fece per andarsene gli rivolse una battuta, sufficiente a scatenare la brutale violenza degli skinhead. I quattro si avventarono su di lui dando vita a un pestaggio che una giudice, durante il processo, descrisse come un atto “estremamente vile e violento”.
Durante il processo una giudice descrisse il pestaggio subito da Tomaselli come un atto “estremamente vile e violento”.
Colpito con pugni e calci al torace anche mentre era a terra, Fabio riuscì a raggiungere la sua auto e a partire, nel tentativo di mettersi in salvo. La macchina, però, percorse solo poche centinaia di metri e, dopo aver urtato più volte il guardrail, terminò la sua corsa contro le barriere della rampa d’accesso della Mebo. Trasportato d’urgenza in ospedale, il giovane morì poco dopo per un’emorragia polmonare causata dai traumi delle percosse. La mattina successiva, alla notizia della tragedia, Ulrike Tomaselli, madre di Fabio, si recò a Bolzano per raggiungere il suo secondo figlio Ricki e gli amici del ragazzo, tutti profondamente sconvolti. “È stato come se la terra si fosse aperta sotto di me”, ricordò la donna in un’intervista rilasciata alcuni anni dopo l’omicidio.
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In un primo momento, gli inquirenti sembrarono avvalorare l’ipotesi di una morte da incidente stradale. Solo in seguito, grazie alle pressioni della famiglia, alle testimonianze e agli accertamenti medico-legali, emerse la verità. L’indagine che seguì portò all’identificazione degli aggressori: i quattro neofascisti furono accusati di omicidio volontario con dolo eventuale, poi derubricata in omicidio preterintenzionale, poiché la procura riconobbe la morte come conseguenza di un pestaggio violento, ovvero senza una volontà diretta di uccidere. Due anni dopo, al termine del primo grado di giudizio, il tribunale di Bolzano condannò tre dei quattro imputati a pene detentive: i primi due a dodici anni di carcere, il terzo a sette anni con rito abbreviato, mentre il quarto membro del gruppo fu assolto per insufficienza di prove. I condannati, inoltre, dovettero versare 150.000 euro di risarcimento alla famiglia Tomaselli. Nel 2007 la Corte di Appello di Trento confermò le condanne, sottolineando in particolare la natura politica e violenta dell’aggressione. La vicenda processuale si chiuse definitivamente nel 2009 con la sentenza della Cassazione, che confermò le pene e l’assoluzione per il quarto imputato.
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“start.klar. all'UFO a Brunico
“La democrazia in pericolo - Cosa rende seducente l'estremismo di destra?” È questa la domanda che la serie di dialoghi “start.klar.” affronterà il 22 ottobre all'UFO Brunico, invitando oltre a Natascha Strobl anche Thomas Kobler, educatore sociale di Merano e fondatore dell'OstWestClub.
La serata di dibattito, moderata da Markus Lobis, sarà trasmessa in diretta streaming su SALTO.
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Anfibi e Lederhosen: un connubio pericoloso
Allargando lo sguardo oltre il capoluogo va evidenziato come nei primi anni Duemila l’ombra della violenza nera avesse trovato terreno fertile anche nel Burgraviato. Proprio quel periodo è al centro di Springerstiefel und Lederhosen, opera multimediale realizzata nel 2023 da Mara Stirner e Alexander Indra. Attraverso testi, fotografie, suoni e video, i due autori ricostruiscono una stagione segnata da botte, intimidazioni, paura e resistenze, articolando il racconto in quattro capitoli: Violenza, Strutture, Conseguenze e Resistenza. A emergere è il ritratto di un territorio attraversato da una tensione costante in cui punk, skater e giovani “alternativi” erano il bersaglio della violenza naziskin. “Non si trattava di risse – racconta una delle persone intervistate – ma di episodi organizzati. Cercavano di costruire strutture di destra ed entrare in conflitto con i gruppi alternativi che esistevano, occupare e conquistare gli spazi”.
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La serie di operazioni delle autorità che portò a perquisizioni, sequestri e arresti di neonazisti di lingua tedesca culminò nel 2008 nell’“Operazione Odessa”. L’inchiesta mise a nudo una rete strutturata, in contatto con ambienti dell’estrema destra tedesca legati al Nationalsozialisticher Untergrund (Nsu), gruppo neonazista attivo in Germania tra il 2000 e il 2011, responsabile di una serie di omicidi, attentati e rapine a sfondo razziale. Nonostante i colpi inferti, però, l’estrema destra locale non scomparve del tutto. Già nel 2009 emerse la cosiddetta “Gioventù hitleriana di Naturno”, mentre sul blog Etschlichter – oggi non più attivo – venivano diffusi contenuti intrisi di ideologia fascista e antisistema, rielaborati in chiave sudtirolese. L’“Operazione Odessa”, dunque, spense in parte i riflettori su una stagione di violenza organizzata, ma non eliminò il sostrato ideologico e culturale che l’aveva alimentata. Quella stessa matrice, mutata nei simboli e nei linguaggi, sarebbe tornata a manifestarsi nel decennio successivo, con l’ascesa – politica e sociale – di CasaPound.
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L'ascesa di CasaPound a Bolzano
E una delle figure di riferimento di quel nuovo movimento sarebbe stata proprio “il quarto uomo” dell’omicidio Tomaselli. Nella legislatura 2015-2020, infatti, fu uno dei tre consiglieri comunali eletti tra le fila di CasaPound, distinguendosi più che altro per le sue “provocazioni”. Tra queste, la felpa con la scritta “Charlemagne” – nome della divisione francese collaborazionista delle SS durante la Seconda guerra mondiale – e la sfilata insieme agli altri due consiglieri e una ventina di militanti, in marcia verso il Municipio: un richiamo alla celebre foto che ritrae la squadra fascista guidata da Achille Starace lungo via Portici il 24 aprile 1921, il Blutsonntag, primo apice della violenza fascista sul territorio. Negli anni Dieci del Duemila, tuttavia, i cosiddetti “fascisti del terzo millennio” si resero protagonisti di azioni ben più gravi. In particolare, nel 2015 e nel 2016 le cronache locali raccontano due pestaggi ai danni di giovani da parte di esponenti di CasaPound.
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Il primo risale al marzo 2015. Durante la sera di San Patrizio, in Corso Libertà a Bolzano, tre giovani militanti di Rifondazione Comunista vennero accerchiati e picchiati fuori da un bar della zona. Grazie alle immagini delle telecamere di sorveglianza, fu accertato che il gruppo di picchiatori era composto da “simpatizzanti della sezione locale di Casapound”. In tutto furono quattro i militanti neofascisti denunciati per l’aggressione. Uno di loro, più tardi quella stessa sera, aggredì senza motivo anche una persona senza dimora. Lucio Carluccio, al tempo questore del capoluogo, definì l’episodio una “vile aggressione”.
A Bolzano tra il 2015 e il 2016 i militanti di CasaPound aggredirono almeno quattro ragazzi, tra cui un minorenne.
Nemmeno un anno più tardi, nel gennaio 2016, a Bolzano ebbe luogo un'altra violenza. Un ragazzo minorenne fu vittima di un violento pestaggio - la prognosi fu di venti giorni per la gravità delle lesioni - nei pressi della sede di Casapound, in via Cesare Battisti. Secondo la ricostruzione degli inquirenti l’aggressione sarebbe stata causata dalla canzone partigiana “Bella Ciao”, che il giovane stava ascoltando dal telefono. In primo grado il neofascista, consigliere di circoscrizione del quartiere Don Bosco, fu assolto per insufficienza di prove. L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (Anpi) espresse “incredulità e inquietudine” per l’esito giudiziario. Casapound, invece, parlò di “una campagna diffamatoria orchestrata dai media e da certa sinistra locale”, chiedendo scuse per il “fango vomitato sui militanti innocenti”. Peccato che nel 2021 la Corte di appello ribaltò la sentenza – confermata poi anche dalla Cassazione – e condannò l’aggressore a sei mesi di reclusione con pena sospesa, nonché a una provvisionale di 6.000 euro. La parte lesa, però, non ricevette alcun risarcimento, poiché il picchiatore neofascista risultò nullatenente.
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Alle elezioni del 2020 Casapound non riuscì a confermare il risultato ottenuto cinque anni prima, segnando la fine della sua rappresentanza istituzionale in città. Ancora oggi, però, il movimento neofascista è presente nel tessuto sociale e politico del capoluogo e beneficia di forme di legittimazione anche attraverso le dichiarazioni e i comportamenti di alcuni esponenti della destra in consiglio provinciale. È il caso, per esempio, del consigliere provinciale Jürgen Wirth Anderlan, sostenitore della cosiddetta “remigrazione” e legato a personaggi come Martin Sellner, leader dell’Identitäre Bewegung Österreich (IBÖ), noto per essere stato bandito da alcuni Stati per le sue posizioni xenofobe e identitarie. O del vicepresidente provinciale Marco Galateo (Fratelli d’Italia), che a febbraio di quest’anno, in occasione del Giorno del ricordo, ha preso parte a un corteo accanto a rappresentanti di Casapound.
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Alla medesima legittimazione degli estremisti di destra contribuisce anche una certa postura delle forze dell’ordine. In un post sui social, la sorella del quindicenne aggredito il mese scorso ha sottolineato, per esempio, che la polizia “chiamata subito dopo l’aggressione, constatato che [il ragazzo] fosse ‛relativamente’ in piedi, ha detto solo di presentarsi l’indomani in questura. Nessun agente inviato sul posto. Nessuna urgenza”. Un atteggiamento che contrasta con la solerzia mostrata solo qualche giorno dopo nei confronti di un attivista antifascista, fermato, perquisito e condotto in questura mentre distribuiva volantini per promuovere il corteo in solidarietà al quindicenne, previsto sabato 4 ottobre. Quel pomeriggio, centinaia di persone hanno sfilato per le vie di Bolzano esprimendo il netto rifiuto dell’ideologia e della violenza fascista. In testa uno striscione bianco con una scritta nera e inequivocabile: “We all hate Nazis”. Un messaggio che, in Alto Adige come altrove, ancora oggi è più che mai necessario ribadire con forza.
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