Politica | Jimmy Milanese

Jihadisti meranesi: analisi dell'Ordinanza della Procura

Dopo gli arresti degli jihadisti meranesi, si passa alle aule del tribunale, con il serio pericolo che tutto si risolva con un nulla di fatto.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

Dagli atti giudiziari della Procura di Roma che hanno portato all'arresto dei membri della cellula “terroristica” italiana e meranese, si evince che il tutto parte dalla disfatta dell’organizzazione terroristica Ansar al Islam, avvenuta nel 2003 grazie all'azione militare congiunta delle forze irachene ed internazionali nel nord dell’Iraq, supportata dal prosciugamento dei canali di reclutamento e finanziamento per via di diverse iniziative giudiziarie susseguitesi in Europa e concluse con l'arresto del Mullah Krekar in Norvegia.

Questi fatti, verificatisi negli ultimi anni, hanno prodotto una ristrutturazione delle compagini islamiche afferenti a Ansar al Islam, con l'aggregazione di membri precedentemente dispersi ad altre persone residenti in Europa ed in Medio Oriente. In questo modo si è strutturata l'organizzazione terroristica denominata Rawti Shax o Didi Nwe, che all'incirca significa “il nuovo corso” e “verso la montagna”. Diversi i paesi coinvolti dalle attività di questa organizzazione transnazionale, che operava in particolare in Germania, Svizzera, Inghilterra, Finlandia, Italia, Grecia, Svezia, Norvegia, Iraq, Iran e Siria, con l’obiettivo finale del rovesciamento dell’attuale governo del Kurdistan iracheno. Un rovesciamento cruento che avrebbe dovuto portare alla sostituzione del governo con uno stato teocratico fondato sulla applicazione della sharia islamica. Almeno questo si evince dalle 1198 pagine dell'Ordinanza del GIP che ha portato all'operazione del 13 novembre scorso.

Quello che gli atti giudiziari non sembrano per nulla in grado di provare è il livello di pianificazione e organizzazione fattiva di atti di violenza sul suolo europeo o contro obiettivi occidentali. Invece, dalle intercettazioni è chiaro che diversi membri della cellula - come il “meranese” Eldin Hodza - abbiano partecipato alle operazioni nei teatri dello jihad, gestendo oppure operando a tale scopo in campi di addestramento paramilitari, come nel caso dell'altro meranese, Abdul Rahman Nauroz, che risulta essere il leader di questo commando.

Il leader meranese Narouz assieme al Mullah Krekar

Da questa premessa, il Gip di Roma Valerio Savio ipotizza per gli indagati la sussistenza della sola esistenza provvisoria del reato associativo, punito dal codice penale italiano con una condanna che va dai cinque ai quindici anni. Una accusa che dovrà certamente essere provata e sostenuta in aula, nonostante la corposa evidenza dell'attività, o meglio, di un attivismo di tipo terroristico transnazionale compiuto dagli indagati, sebbene a questo non sia mai stata associata la reale e fattuale pianificazione di un attentato sul territorio europeo. Manca, quindi, la pistola fumante per poter dire “ci stavano attaccando”, che sarebbe di un livello superiore solo al “dicevano di volerci attaccare”. Ad ogni modo, secondo gli atti esistono tutti i presupposti per supportare l'esistenza di una organizzazione che almeno nelle intenzioni pianificava attività terroristiche. Più complessa ancora, invece, è la questione della partecipazione di alcuni suoi membri – per loro stessa ammissione, in quanto emersa nel corso delle intercettazioni ambientali – alle attività di cooptazione e addestramento militare in territorio siriano. La complessità deriva dal fatto che, a quanto emerge dagli atti, l'attività di intelligence si rallenta proprio quando i membri della cellula “meranese” partono per la loro missione in terra siriana, creando un vacuum conoscitivo che viene riempito solamente dalle conversazioni captate dagli investigatori al loro ritorno nel corso delle telefonate di questi con membri della stessa organizzazione.

In tutti gli atti dell'Ordinanza d'arresto, si evince chiaramente lo sforzo investigativo da parte delle forze dell'ordine nel cercare di definire alcune caratteristiche salienti della cellula Rawti Shax, proprio al fine di collocare le sue attività nel quadro normativo definito dall'art. 270bis del Codice penale italiano, oltre ai reati collaterali e sussidiari che verranno definiti nel corso del dibattimento processuale. Fallire in questo, comporterebbe il paradosso della derubricazione di queste condotte personali sicuramente deplorevoli da parte degli indagati.

In particolare, nell'Ordinanza, il GIP spiega le caratteristiche dell'organizzazione in questione, giustificando i motivi per i quali si possa parlare di associazione terroristica transnazionale. In primis, la presenza di un radicalismo islamista e la volontà di utilizzo anche del martirio come strumento di violenza verso terzi col fine dell'instaurazione di un nuovo regime in Kurdistan. A questi si aggiunge il c.d livello pubblico di facciata, che secondo gli investigatori permetteva alla cellula di presentarsi come movimento religioso transnazionali, quindi, utilizzatore di strumenti elettronici per le comunicazioni, nella realtà dei fatti utilizzati per opere di proselitismo e reclutamento. Segue il livello di segretezza per il territorio in cui operava (Italia ed Europa in genere), ma identificabile come Rawti Shax nel contesto degli antagonisti curdi e dell’integralismo islamista militante internazionale. Questo è il punto più critico dell'indagine, lo ricordiamo, condotta in gran parte su intercettazioni di comunicazioni in lingua curda e araba tra membri di una associazione, peraltro residenti in diversi paesi. Quella che la Procura chiama “capacità d’elusione” dei meccanismi normativi europei ed internazionali, quindi, l'esistenza di una copertura ideologico-religiosa agli atti della organizzazione, dovrà essere tutta provata, assieme alla volontà di trasformare queste comunicazioni estremamente violente in atti pratici contrari al codice italiano. Altro fattore che sembra una pedina difficile da muovere nelle mani della Procura, è l'esistenza di una gerarchia significativa per il reato associativo, proprio all'interno all'organizzazione. Ruolo chiave è sicuramente quello svolto dal Mullah Krekar, da tempo recluso in Norvegia e vero e proprio riferimento di tutta l'organizzazione, sotto il quale, in stretto contatto con gli emissari del Mullah operava il meranese Narouz, in qualità di referente della cellula italiana, così come emerge dagli atti in modo definitivo. In che misura questa gerarchia ferrea, compartimentata, descritta dal materiale investigativo, possa essere utilizzata per provare l'esistenza di un tentativo di destabilizzazione del governo del Kurdistan è tutto da vedere.

Insomma, al gran lavoro di intelligence, con 1198 pagine di Ordinanza che dovranno essere interamente tradotte nelle diverse lingue degli indagati, oltre che nelle lingue dei paesi coinvolti dalle operazioni investigative, seguirà un altrettanto complesso lavoro da parte degli avvocati della difesa, proprio per tentare di smontare le accuse più pesanti per i propri indagati ed ottenerne la loro scarcerazione.