Società | Bilinguismo

Il diritto di essere bilingue

Il godimento di questo diritto è reso arduo dalla presenza di diglossia. Infatti la lingua sostanziale non è il tedesco standard che si impara a scuola, ma il sudtirolese
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

di Liliana Turri

Non sono pochi gli altoatesini di lingua italiana a rivendicare il diritto di essere bilingue.  Lo studio Kolipsi dell’EURAC ha dimostrato come le competenze nella seconda lingua degli studenti altoatesini fossero peggiorate, malgrado l’impegno profuso ed i costi affrontati. Quanto attuato finora non basta. Su questa piattaforma e stato scritto: “… il popolo continuava a chiedere tedesco-tedesco-tedesco come il pane, gli hanno allungato la brioche.” Interessante il riferimento storico, ma qui non dovrebbe essere necessaria una rivoluzione!

L’articolo 2 del nuovo Statuto di Autonomia sancisce la parità di diritti ai cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono e sono salvaguardate le rispettive caratteristiche etniche e culturali. Il rifiuto, più volte espresso in consiglio provinciale, della possibilità di una formazione paritetica bilingue, da un partito che detta legge dal secondo dopoguerra, relega il cittadino italiano in Alto Adige/Sudtirolo in una posizione inferiore. Con conseguenze sociali e culturali che pesano come piombo. Una di queste è la Todesmarsch degli italiani in Alto Adige. L’espressione nel lontano 2011 era ritenuta un po’ forte da Claudio Nolet, protagonista dell’autonomia; un’espressione politica che vuole far colpo, disse, ma che rileva una realtà. Bisognava d’altro canto rovesciare la politica fascista, aggiunse. Ritengo che l’istituzione a suo tempo di una scuola con insegnamento paritetico anche per il gruppo linguistico italiano, avrebbe creato le premesse per una convivenza pacifica alla pari nelle successive generazioni. L’insegnamento nelle due lingue principali della provincia a partire dalla scuola dell’infanzia è l’unica soluzione che possa portare il bilinguismo degli italiani ad un livello dignitoso, spendibile nella realtà locale. E’ il modello paritetico introdotto nella scuola ladina nel 1948, che deve essere esteso anche al gruppo linguistico italiano della provincia di Bolzano, con gli adeguamenti necessari. Infatti, se i ladini sono in provincia l’unica minoranza bilingue questo è proprio da attribuire all’insegnamento nelle due lingue, di cui dispongono fin dall’età di tre anni. Va da sé che alle discipline si aggiunga poi la lingua straniera secondo il metodo CLIL.

E’ vero, la scuola non può essere l’unico strumento per il bilinguismo. Ma il migliorato livello nell’uso orale del tedesco che produce lo studio, l’espressione orale dei contenuti, la lingua di classe nella lezione, oltre a quella scritta, porterebbe ad una naturale facilitazione nei rapporti con l’altro gruppo, alla comprensione e all’uso del dialetto con coetanei ed amici che lo parlano. Insomma all'abbattimento del muro che divide. Da qui in poi ad un arricchimento linguistico culturale di cui si può giovare la scuola stessa, a prescindere dall’insegnamento fra le sue mura.

Nel testo dell’articolo 19 dello statuto di autonomia va introdotto il principio che tutti i diritti in materia di insegnamento e formazione delle lingue e nelle lingue riconosciuti al gruppo linguistico ladino dell’Alto Adige, vanno estesi al gruppo linguistico italiano che è minoranza territoriale di una provincia autonoma in cui economia e politica sono in mano tedesca.

Con il terzo capo della legge omnibus, in questi giorni l’assessore all’istruzione tedesca Philip Achammer, ha di fatto chiuso l’accesso all’ultima spiaggia per il bilinguismo del cittadino italiano in Alto Adige.