“Popolo della libertà”?

“Qualcuno di voi ha ricevuto indietro l’IMU come ha promesso Berlusconi? Io no”. Lo grida, ironico, Elmar Thaler, comandante degli Schützen altoatesini, nel corso del comizio conclusivo. Applausi della piccola folla. Thaler vuole dire che di questo Stato non ci si può fidare. Vai a dargli torto. L’Italia è in crisi e “non può permettersi di finanziare le autonomie speciali”. L’Europa va a rotoli e non sa che pesci pigliare… Quindi? Le minoranze trovino la loro via d’uscita. Meglio: cerchino la porta per andarsene. Quella scorciatoia si chiama “libertà”, “indipendenza”, “autodeterminazione”.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Lavoro
Foto: Pexels

Un insolito Popolo-della-Libertà si concentra in piazza Rena a Merano e sulle passeggiate Lungopassirio. Si compone, dicono, delle “minoranze europee”. Minoranze? Baschi, catalani, fiamminghi, scozzesi. Ma anche bavaresi, veneti, friulani, triestini. A conti fatti l’unico gruppo che può vantare davvero la patente di etnia oppressa sono i tibetani. Tra gli europei presenti? Tutte minoranze/maggioranze (in casa loro). I fiamminghi sono persino maggioritari a livello statale. Non sarà che questa via d’uscita indipendentista, col rifiuto di cercare il modo di convivere con gli altri senza dover per forza creare nuove frontiere, avrà l’effetto di rendere ancora più debole la miriade di minoranze che sono davvero senza voce e si trovano sparse in Europa e nel mondo?

È ancora mezza mattina. Le rappresentanze dei gruppi di paese si avvicinano alla spicciolata. Mi cade l’occhio sulla scritta: “A echter Tiroler hot Lederhosen on”. Ahia! Io, vero tirolese, sono qui in blue jeans. Speriamo che nessuno se ne accorga. Gli stand vanno popolandosi. Al gazebo Svp c’è il sindaco di Merano, Günther Januth. Mi vede, si avvicina, mi dice: “Lei che è un meranese DOC, cosa ne pensa?” Wow, non si è accorto dei jeans. Del resto nemmeno lui porta i Lederhosen. “Una cosa così si poteva fare solo a Merano, la città sul confine”, rispondo. Molto bene organizzata. Sulla promenade si snodano le bancarelle della “Passeggiata dei sapori” (“Prodotti tipici e prelibatezze da tutte le Regioni italiane”). Proprio oggi. Dopo la Sicilia, la Sardegna e il Piemonte, ecco la Süd-Tiroler Freiheit e la Bürgerunion. Anche lì qualche assaggio di formaggio e Kaminwurz. Prima gli arancini di Sicilia e subito dopo i palloncini Los-von-Rom. Ben congegnato, signor Sindaco.
L’atmosfera è quella della festa. Formaggio, salsicce e politica. Birra e libertà. Allo stand dei belgi (pardon fiamminghi) una ressa inverosimile. Ecco la spiegazione: “Eine Unterschrift für die Selbstbestimmung = ein Flämisches Bier”. Tutto chiaro. Io non bevo alcolici di mattina. Perciò non firmo.

Alle fontane di corso Libertà sghignazzano le maschere dei Krampus venostani. Al piano superiore i gazebo dei partiti. Ghiotta occasione per raccogliere qualche voto? Pius Leitner si lascia immortalare “con i miei amici trentini, anzi Welschtiroler”, Martha Stocker sorride felice, Karl Zeller dà spiegazioni sulla Vollautonomie, Eva Klotz dispensa interviste. Allo stand del “popolo veneto” si fa cassa: persino i volantini costano 50 centesimi (!). “Se hai tempo porta la tua consorte a vedere le bocche del Po…” Boh!

Canti, musica, fruste, qualche danza. Nel pomeriggio sul palco in piazza Rena si alternano brevi comizi. Al microfono gli ospiti stranieri. La location è perfetta. Chiesa del Sacro Cuore ultracentenaria. Palazzo ottocentesco Esplanade. Statua ottocentesca della Madonna (un po’ in disparte). Risuona una parola: “nazione”. Idea ottocentesca, per l’appunto. “Il futuro appartiene a noi”, introduce Verena Geier in rappresentanza degli organizzatori. Seguono un coro islandese (radici vichinghe, spiegheranno poi), un Bossi fiammingo che infiamma la piccola folla (ad ascoltare e applaudire davvero ci sono duecento persone), i rappresentanti della Serenissima, quelli del Territorio libero di Trieste (?), i friulani, una brutta copia del Dalai Lama, l’inviato scozzese (che voterà yes al prossimo referendum per l’indipendenza dal Regno Unito), una bella catalana che parla un simpatico inglese, l’ex primo ministro del Liechtenstein e un rappresentante del popolo basco. Ad ulteriore illustrazione del “futuro” la squadra del reggimento di fanteria veneto in costume tardo settecentesco che ascolta sull’attenti a metà piazza (senza capire una parola). Chiude, tra gli applausi, il comandante Thaler che, spiegata la necessità dell’indipendenza che prima o poi arriverà,  lascia la piazza al gruppo musicale Volxrock.

Dopo giorni di pioggia torrenziale, una bella giornata quasi tutta di sole. Lo slogan più gettonato: “Südtirol ist nicht Italien”.
Il 25 aprile (festa della Liberazione, da queste parti), il giornalista Henning Klüver chiudeva con queste parole un suo servizio molto ben fatto, trasmesso alla radio germanica: “Heimat e identità culturale sono valori importanti. Però nella competizione delle regioni europee il Sudtirolo dovrebbe stare attento a non occuparsi sempre solo di se stesso. Badi a diventare piuttosto una regione moderna e orientata al futuro. Una realtà che supera i confini senza tracciarne di nuovi”.
Appunto.