Questa settimana mi permetto di proporre, nello spazio che Salto mi concede, uno scritto non di mio pugno. Si tratta di una riflessione che reputo interessante, in particolar modo nei tempi calamitosi che stiamo vivendo, su quelli che dovrebbero essere i fondamenti profondi sui quali basare l’esercizio della medicina. È un tema che non da oggi costituisce oggetto di riflessione da parte dell’Avvocato Bolzanino Arnaldo Loner, noto, tra l’altro, per la sua attività professionale e per il ruolo svolto tra l’altro nel processo contro i carnefici del lager di via Resia. Un testo sul quale vale la pena di soffermarsi.
L’etica con le con le regole morali che ne costituiscono l’essenza rappresenta un insieme di valori la cui presenza è necessaria nell’esistenza e nell’opera degli esseri umani.
Nella storia dell’uomo, in misura maggiore o minore a seconda dell’epoca storica, nella condotta delle persone e nelle loro relazioni i valori etici hanno costituito una esigenza non rinunciabile. Sono stati spesso trascurati o, peggio, calpestati e combattuti, ma sussistevano e venivano considerati.
L’uomo per stare al mondo con coscienza ed attenzione non può ignorare il bisogno, onde evitare una carenza del vivere, di avere nella sua mente e nel suo animo delle regole di carattere morale. C’è stata per millenni e c’è ancora la presenza della HUMANITAS tra i viventi secondo un antico concetto che risale al mondo greco come principio etico generale di solidarietà tra le persone con un fondamentale significato anche sociale. È un importante elemento di centralità.
Nel mondo moderno colpito e afflitto da gravissimi problemi, tra questi l’inquinamento atmosferico, terrestre e marino, la sorte di intere popolazioni che soffrono la fame e gravi privazioni, il ricorso a valori morali risulta anche sotto questo profilo doveroso e necessario.
Il filosofo della Sorbona Jean Guitton nella sua opera Il libro della saggezza e delle virtù ritrovate all’intervistatore che gli parla delle grandi mutazioni del mondo moderno e gli chiede cosa bisognerà fare, Guitton risponde “Ritornare all’etica; aggrapparsi ad essa come ad una zattera durante la tempesta“. In presenza di una crisi di valori, che oggi risulta spesso configurabile, l’impegno dovrebbe essere massimo e globale.
Vi è certamente un’attività umana, quella in materia sanitaria e di cura dalla salute, in cui i principi morali non possono non essere assolutamente necessari.
Esiste pertanto una figura tra le tante che agiscono e lavorano nel mondo che deve farne sicuramente tesoro e applicazione. Si tratta del medico che si trova ad operare a stretto contatto con le sofferenze e le angosce dei suoi pazienti. Il medico, i medici, sono fondamentali componenti e protagonisti della nostra vita. Non sono solo importanti. Sono indispensabili.
Un medico ungherese Michael Balint attorno agli anni Cinquanta nel suo libro “Medico, paziente e malattia“ ha testualmente scritto che quando un medico prescrive un farmaco prescrive se stesso. Il medico stesso quindi è un farmaco. Balint dice ancora che “il farmaco di gran lunga più usato in medicina generale è il medico stesso”.
La cura del medico nei confronti del malato non può essere solo applicazione di conoscenze scientifiche, il frutto di studi tecnici approfonditi, la somministrazione di terapie ben sperimentate. Nella cura di cui viene fatto oggetto il malato deve esserci qualcosa di più, deve esserci anche la personalità del curante con i valori in cui crede.
Questo concetto, questa indicazione non sono recenti. Sono molto antichi, risalgono agli albori della medicina.
Nel IV secolo aC nel giuramento di Ippocrate il giurante affermava espressamente “In qualsiasi casa andrò, io entrerò per il sollievo dei malati”. In questa promessa non si parla di cura o di terapia, non vi è una componente tecnica. Viene menzionato il sollievo quindi ci si riferisce ad un benessere psicologico che riguarda non tanto il corpo quanto l’animo.
Platone in un celebre brano ha scritto che la guarigione del malato mediante l’intervento medico risulta impossibile senza la cura dell’anima.
Sempre richiamando gli antichi grandi maestri va ricordato che il filosofo Seneca ci ha detto che “L’arte medica aggiunge alle cure consigli e che la cura dell’anima è necessaria come quella del corpo”.
Sono considerazioni che affondano nella notte dei tempi, ma che hanno durato e durano nella storia dell’arte medica.
I principi etici c’erano, ci sono stati, devono esserci. I due pilastri fondamentali nell’arte medica la conoscenza scientifica e l’abilità tecnica da un lato ed un comportamento ispirato a criteri di umanità dall’altro lato devono coesistere nel medico.
Il rapporto con il malato non può essere soltanto di natura tecnica, deve essere tra persone, interpersonale. Non va curata la malattia, ma il malato. Curare deve voler dire anche essere vicino, confortare. Nella lingua latina il vocabolo curans veniva usato sia per definire una terapia sia per indicare un aiuto. Sono concetti molto antichi ma sempre validi, sempre attuali.
Negli ultimi cento anni è avvenuta una vera e propria rivoluzione terapeutica. In campo medico vi è stato un enorme progresso tecnico-scientifico. È nata la tecno- medicina.
Le innumerevoli innovazioni, i nuovi strumenti e ritrovati tecnologici, i farmaci salvavita compresi gli antibiotici, lo sviluppo dei trapianti d’organo con una chirurgia che opera in settori un tempo impraticabili, costituiscono nel loro insieme un complessivo straordinario risultato. Noi siamo i figli, i beneficiari di questa rivoluzione. In questo alone di continuo avanzamento non tutto però è soltanto positivo. Si è celebrata una nuova virtù: l’efficienza.
I meccanismi devono funzionare. Spesso sono le macchine che visitano, i computer che analizzano e prescrivono. Il tutto consente, qualità questa molto apprezzata, di fare presto, di risparmiare tempo e denaro. I curanti nel loro attaccamento alle macchine rischiano a volte di diventare incuranti rispetto alle esigenze dei pazienti.
L’intervento del sanitario viene definito una prestazione. Non si usa il termine visita nella pratica clinica perché è un termine che indica una presa di contatto.
Nella nuova medicina e con la nuova medicina, va ribadito, in ragione anche della prevalenza delle indagini e applicazioni tecnologiche e informatiche si è verificato un certo distacco tra i pazienti e i loro sanitari con una diminuzione dell’aspetto umanitario.
Negli ultimi decenni i medici hanno avvertito un disagio, un senso di contrarietà per certi risvolti di una pratica medica essenzialmente tecnica. Hanno quindi cercato di instaurare con i malati un maggiore rapporto di dialogo e di vicinanza impiegando a questo fine non soltanto la loro scienza ma anche le loro capacità di comunicazione cercando di realizzare una pianificazione comune nella esecuzione delle terapie e nella loro programmazione.
Si è attuato così fra medico e malato un rapporto di natura paritaria, di collaborazione eliminando la antica sottomissione del paziente rispetto al medico che decideva praticamente da solo le scelte terapeutiche.
Questo desiderio di recupero dei criteri etici di concreta solidarietà ha portato non soltanto ad una positiva modifica nelle modalità di esercizio del lavoro sanitario professionale, ma ha certamente influito ed influisce nella gestione dei reparti ospedalieri e degli ambulatori.
I medici hanno voluto anche concretamente intervenire con una nuova stesura dei loro codici deontologici che ora descrivono e prescrivono nuove modalità di cura.
Anche il nostro legislatore ha voluto dare un fondamentale contributo normativo con la nuova legge varata nel dicembre 2017. È una buonissima legge che dispone il dovere medico di comunicazione ed informazione per la consapevolezza dei pazienti sulla natura e modalità delle cure.
Nuovi medici con nuove regole. Questo tipo di relazione tra medici e malati si può concretizzare nella espressione divenuta abituale “alleanza terapeutica“.
Alleanza significa dialogo, ricerca di intesa. Non c’è supremazia, c’è colloquio. La cura non è soltanto nelle terapie, nei farmaci, è anche nelle parole. L’operatore sanitario chiede, chiarisce e spiega non con un gergo tecnico da manuale di medicina, ma in un modo comprensibile, con semplicità che è una importante strategia di comunicazione.
Espone ciò che verrà fatto ottenendo il consenso informato del paziente, che non è un mero fatto tecnico, ma è di natura morale. Il medico parla, ma ascolta anche. Il dialogo consiste in un contributo reciproco. C’è la parola, c’è l’ascolto, c’è il silenzio. Si lavora insieme per un obiettivo comune, per il bene della salute. Il curare è prendersi cura.
Il professor Claudio Rugarli nel suo libro “Medici a metà. Quel che manca nella relazione di cura“sostiene che il modello autoritario va sostituito da quello dell’alleanza e che la comunicazione è centrale nel problema della cosiddetta umanizzazione della medicina.
Per Rugarli il medico che si occupa anche dello stato d’animo dei suoi pazienti non è un medico a metà, è un medico totale. L’etica va difesa e sostenuta.
Un medico, per il quale provo grande affetto e di cui ho grande stima mi ha detto di recente
“Per noi medici l’etica è la lampada che illumina il cammino”.
È vero. L’etica da luce, fa luce. Ma deve essere non vicino, non accanto alla medicina. Deve essere dentro la medicina.
Arnaldo Loner