Cultura | SALTO WEEKEND

Tra utopia e distopia

Viviamo in un mondo sempre più informato e interconnesso. Diventeremo tutti più intelligenti o più stupidi? La conferenza tenuta a Bolzano da Derrick de Kerckhove.
1
Foto: Salto.bz

Quando mi iscrissi all'università di Bologna, uno dei primi libri che lessi fu “Gli strumenti del comunicare” di Marshall McLuhan. Presumo che questo nome non sia immediatamente noto a tutti quelli che stanno leggendo il presente articolo, anche se di fatto alcune acquisizioni o formule tratte dai suoi scritti o dalle sue conferenze sono ormai talmente conosciute da risultare quasi di senso comune. La più famosa è senza dubbio “il medium è il messaggio”, vale a dire: ciò che possiamo comunicare è modellato dal mezzo che ci consente di esprimerlo e, perciò, da esso determinato. Se io scrivo sul giornale “oggi cena gratis per tutti” non è la stessa cosa che affermarlo alla radio, alla televisione o in un portale online. Quando nel corpo della sociologia dell'informazione (e dei mezzi d'informazione) si innestano suggestioni di filosofia della storia (o di prognostica storica) ecco che abbiamo la possibilità di disegnare uno sviluppo tra diverse forme d'intelligenza, dalla galassia Gutenberg alla galassia Marconi, fino al mondo di internet che oggi ci abbraccia tutti. Si tratta allora “solo” di capire che tipo di umanità siamo diventati o stiamo diventando alla luce delle più recenti trasformazioni tecnologiche.

 

Martedì 16 maggio, seduto sul palco dell'aula magna del Liceo Carducci di Bolzano, Derrick de Kerckhove – sociologo belga, naturalizzato canadese e perfettamente a suo agio nella lingua italiana – è uno degli allievi di McLuhan che più si è dedicato a esplorare le conseguenze delle teorie del maestro. La conferenza ha un titolo suggestivo: Connected intelligence?, anche se il punto interrogativo pare superfluo.

 

Secondo de Kerckhove la connessione delle intelligenze è un portato della rivoluzione informatica che pone ogni individuo al centro di una rete di transazioni comunicative potenzialmente illimitate. Il senso complessivo di questo movimento erode la separatezza introversa dei soggetti comunicanti e la tende, la allarga, la dissemina e soprattutto la esternalizza in processi sempre più pervasivi e trasparenti. Lo scenario appare utopico e distopico allo stesso tempo, un po' come essere rassicurati dal fatto di risultare ovunque e ogni minuto reperibili, e tuttavia avvertire l'inquietudine che deriva dal non potersi mai sottrarre ad una forma di implacabile controllo. L'inconscio reso famoso (come parola e come concetto) da Sigmund Freud è ora rovesciato nella rete, a formare il testo cangiante e disseminato prodotto da ogni utente digitale. In questo modo avviene sotto i nostri occhi un passaggio che sposta e trasforma la nostra immagine di attori nel e del mondo: l'uomo, in pratica, non può più avere la natura di osservatore esterno, padrone di un “punto di vista” in base al quale ordinare e analizzare i dati dell'esperienza, ma è tuffato nel cuore di un'esperienza proteiforme, sempre in mutamento, sempre riferita ad altre esperienze che interagiscono con la sua, e per questo dotato di un “punto di essere” che vibra e s'intreccia a tutti gli altri individui che lo circondano (qui, ma anche a 1134 o 11000 km di distanza).

 

Quali risorse, ma anche quali pericoli si possono originare da un cambiamento di tale portata? De Kerckhove lo mostra con due immagini. La prima è bella, quasi poetica. Un gigantesco mood ring, un anello cattura emozioni (si potrebbe all'incirca tradurre) che, collocato in un luogo a ricevere e selezionare parole chiave diffuse in rete nelle vicinanze, ne esprima la colorazione prevalente in base al benessere o al malessere dei cittadini. Un rilevatore di disagio o di felicità, insomma, utile alle amministrazioni locali per investire energie dove maggiormente ce ne fosse bisogno (inutile dire che se fosse piazzato a Bolzano il mood ring contesterebbe le classifiche ufficiali sulla qualità della vita che piazzano la città sempre nelle prime posizioni). La seconda immagine invece è più cupa. A Singapore, racconta de Kerckhove, i problemi di delinquenza e di degrado sono quasi spariti, perché migliaia e migliaia di telecamere riprendono sempre tutto e tutti. Ogni persona è così incastrata e incatenata dal proprio supporto elettronico a dispositivi che ne indagano ogni movimento e, pare, ogni pensiero. Una società del controllo totale, tanto simpatica a quelli che ogni volta si affannano a ripetere stupidamente “beh, tanto io non ho nulla da nascondere” e che vorrebbero trasformare la vita degli altri in una specie di Truman Show. Dalla città come “extended mind” a un videogioco in cui ognuno è la vittima di mille occhi indiscreti.

 

Alla fine la conferenza si scioglie in un dialogo col pubblico che fa percepire quanto sia enorme la posta in gioco di speculazioni apparentemente svagate, al confine tra cibernetica, filosofia pop e tecniche della pianificazione urbana e sociale. “Se le tecnologie saranno utilizzate per sviluppare il civismo, è possibile che la nuova epoca sia prodiga di un benessere diffuso e potremo avere persino nuove forme di gentilezza”. L'ottimismo di de Kerckhove aleggia sulle ombre che, però, la visione delle “intelligenze interconnesse” non può evitare di proiettare “in questo mondo stupido” (come sapeva Caterina Caselli).