Il summit sulla pedofilia svoltosi a febbraio è culminato, per chi si aspettava un autentico cambio di rotta della Chiesa nell’affrontare l’immane scandalo che la attraversa da decenni, in una sconfitta fragorosa. Bergoglio non ha cancellato le disposizioni dell’Istruzione Crimen sollicitationis del 1962 né quelle della lettera del 18 maggio 2001 De delictis gravioribus dell’allora cardinale e capo della Congregazione per la dottrina della fede Josef Ratzinger, che impongono il principio di assoluta riservatezza dei processi interni alla Chiesa per i casi di pedofilia e l’estensione del vincolo di segretezza della confessione anche fuori dall’ambito specifico della confessione stessa. Non ha accolto la richiesta del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e il Comitato ONU contro la tortura del 2014 in cui si sollecitava la consegna della lista dei nomi di circa 900 sacerdoti pedofili che nei 10 anni precedenti erano stati ridotti allo stato laicale. E ha ignorato il documento dello stesso Comitato Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 7 febbraio di quest’anno che chiedeva di “istituire una commissione d’inchiesta indipendente e imparziale da esaminare tutti i casi di abuso sessuale di bambini da parte di personale religioso della Chiesa cattolica” nonché di “intraprendere tutti gli sforzi nei confronti della Santa Sede per rimuovere gli ostacoli all’efficacia dei procedimenti penali contro il personale religioso della Chiesa cattolica sospettato di violenza su minori”.
Inoltre, la dichiarazione devastante del cardinale e arcivescovo di Monaco e Frisinga, presidente della Conferenza episcopale tedesca e coordinatore del Consiglio per l’Economia in Vaticano Reinhard Marx (“Gli abusi sessuali nei confronti di bambini e di giovani sono in non lieve misura dovuti all’abuso di potere nell’ambito dell’amministrazione [della Chiesa]. A tale riguardo, l’amministrazione non ha contribuito ad adempiere la missione della Chiesa ma, al contrario, l’ha oscurata, screditata e resa impossibile. I dossier che avrebbero potuto documentare i terribili atti e indicare il nome dei responsabili sono stati distrutti o nemmeno creati. Invece dei colpevoli, a essere riprese sono state le vittime ed è stato imposto loro il silenzio.”) ha disintegrato anche l’ultima parvenza di rispettabilità della Chiesa Cattolica in materia di pedofilia.
Tuttavia, durante il summit Francesco aveva annunciato l’imminente pubblicazione di un Motu Proprio, ovvero un documento che il papa, dall’alto dell’infallibilità in materia di fede e di morale codificata dal Concilio Vaticano I del 1868, espone senza proporlo anteriormente ad altro organismo della Curia. Vuoi vedere che trova il coraggio per mettere fine a questa infamia? pensarono in molti. Ebbene, il 9 maggio è stato reso pubblico il Motu Proprio “Vos estis lux mundi” (“Voi siete la luce del mondo”). In esso si afferma inequivocabilmente l’obbligo di denuncia di qualunque abuso su minore. Ma... Obbligo per chi? Signore e signori: per i meri cittadini dello Stato Vaticano. Ma soprattutto... Denuncia a chi? Tenetevi forte: al tribunale della Città del Vaticano. Quindi, oltre all’ignobile farsa della validità delle disposizioni soltanto per chi ha la cittadinanza vaticana, Bergoglio ribadisce, in piena continuità col suo predecessore, il principio per cui i casi di pedofilia vanno trattati esclusivamente all’interno della Chiesa. Com’è sempre stato. Dell’obbligo di denuncia alle autorità civili non vi è traccia, leggete voi stessi:
“Fatto salvo il sigillo sacramentale [ovvero l’inviolabilità del segreto confessionale], i soggetti sono obbligati a presentare, senza ritardo, denuncia al promotore di giustizia presso il tribunale dello Stato della Città del Vaticano ogniqualvolta, nell’esercizio delle loro funzioni, abbiano notizia o fondati motivi per ritenere che un minore o una persona vulnerabile sia vittima di uno dei reati [di abuso su minori o persone vulnerabili], qualora commessi anche alternativamente: nel territorio dello Stato [Vaticano]; in pregiudizio di cittadini o di residenti nello Stato [Vaticano]; in occasione dell’esercizio delle loro funzioni, dai pubblici ufficiali dello Stato [Vaticano].”
Con quest’ultimo atto, papa Francesco imprime una volta per tutte il sigillo dell’ignavia al suo pontificato. Tra gli interessi spesso inconfessabili della Chiesa Cattolica e i bambini stuprati negli ultimi decenni da esponenti del clero in numero raccapricciante, il Vicario di Cristo ha scelto i primi. Siamo ancora in attesa dell’ondata di indignazione che tale scelta certissimamente solleverà tra le forze laiche di questo paese.