Palcoscenico | Teatro

"Sogno una stagione nelle RSA"

Il direttore dello Stabile Walter Zambaldi entusiasta dopo la messinscena de"Il giorno più bello" lo spettacolo ponte tra dentro e fuori, un lavoro di ricerca per promuovere l'inclusione.
spettacolo
Foto: MATTEO GROPPO
  • Il logo della rassegna FUORI!24 del TSB Foto: TSB

    Sono ormai anni che il Teatro Stabile di Bolzano ha allargato le proprie iniziative perseguendo l'obiettivo di una forma d'arte teatrale caratterizzata da una forte valenza sociale e favorendo una visione del teatro come strumento di interazione, di confronto e di crescita personale.  Quest’anno la rassegna FUORI! - presentata lo scorso maggio a Villa Armonia - intreccia progetti e spettacoli realizzati per le categorie delle/i cittadine/i più fragili: un esempio lampante è “Il giorno più bello”, lo spettacolo realizzato con e per gli ospiti delle Case di Riposo (RSA) di Bolzano, Laives ed Egna. Ma non è tutto, con lo spettacolo “Non è la storia di un eroe” il TSB è riuscito a portare la magia del teatro sia nella Casa Circondariale di Bolzano, nell’ambito di un percorso laboratoriale dedicato a detenuti ed ex detenuti, sia all’esterno delle mura del Carcere, al Centro Trevi. Un ponte tra dentro e fuori, un lavoro di ricerca e di tessitura di trame narrative per allargare gli orizzonti del quotidiano.
    Ma come nasce l'idea del teatro inclusivo e dello spettacolo “Il giorno più bello”?

  • Zambaldi, Direttore TSB Foto: fotolepera

    ”E' da molti anni che lavoriamo sia sulla narrazione dei processi teatrali, sia sui racconti che poi diventano qualcosa di teatrale – spiega Zambaldi - Racconti di persone, ma anche di quello che la città stessa può raccontare. Nel contempo, abbiamo realizzato il progetto che si chiama Teatro Stabile Inclusivo, che combacia in parte con Fuori!, e che quest'anno va a toccare delle zone in cui il teatro prende un'altra forma, perché andiamo a raccogliere storie in luoghi non deputati al teatro: la casa di riposo, la casa circondariale... Andiamo fuori appunto dallo spazio teatrale. Con questi progetti abbiamo pensato di farci raccontare le storie delle persone anziane che vivono all'interno di queste case di riposo - usando prima un linguaggio di reportage/intervista, curato dalla giornalista Maddalena Ansaloni - che sono state poi raccolte in un vero e proprio libro. Ne “Il giorno più bello” le storie degli anziani vengono poi definite anche da un punto di vista estetico attraverso una visione artistico fotografica a cura di Matteo Groppo e, infine, gli autori/attori - Giacomo Anderle e Alessio Kogoj - ne scrivono la drammaturgia e restituiscono diverse repliche in una tournée all’interno delle case di riposo. Insomma, grande valorizzazione della parola in senso assoluto”

  • “Ci siamo resi conto  – racconta Zambaldi - che in casa di riposo ci sono vari tempi di attenzione quindi abbiamo pensato di fare uno spettacolo diviso in due tempi da circa mezz'ora e di tornare quindi due volte La prima volta è stata festa, ma la seconda lo è stata ancora di più. Gli autori/attori hanno fatto tutto il lavoro di traslazione del raccontato in un prodotto teatrale ad hoc per le case di riposo, ma l'idea si è sviluppata insieme a Maddalena Ansaloni, a Matteo Groppo e a tutte le persone che qui allo Stabile lavorano al progetto FUORI!, il teatro stabile inclusivo. Coinvolgendo l'Alto Adige, il quotidiano, e uscendo dal percorso più convenzionale abbiamo provato a creare un nuovo modo di vedere e interpretare il teatro e i luoghi in cui fare teatro, perché è proprio in quei posti che si trovano storie che colgono davvero di sorpresa, mondi che vale la pena conoscere. Siamo stati contenti di aver avuto il pieno sostegno delle istituzioni e di aver trovato solo porte spalancate e questo per noi è stato importante”

  • "Creare un nuovo modo di vedere e interpretare il teatro e i luoghi in cui fare teatro" - Zambaldi


  • Gli operatori all’interno delle case di riposo "hanno dimostrato grande entusiasmo nonostante, purtroppo, ci fosse costante carenza di personale e, di conseguenza, gli spostamenti dei vari anziani nei diversi punti della struttura - per realizzare le interviste o per mostrare gli spettacoli - fossero impegnativi. Però, nonostante il lavoro in più, abbiamo trovato disponibilità totale ed è stato davvero bello.  Il mio sogno – aggiunge Zambaldi - sarebbe fare una stagione teatrale nelle case di riposo e un progetto di narrazione da parte delle persone che stanno al loro interno che diventi annuale e con attori diversi, che abbia delle forme diverse anche sceniche, magari una volta con attori, una volta con bambini... E' ovvio che questa formula sarebbe importantissimo e fondamentale che diventasse un laboratorio permanente, perchè questo tipo di progetti giocano su un lento rilascio e sulla costruzione di qualcosa che sia costante... Però ci siamo quasi!”

    Ma da cosa nasce questo sogno?  “Nasce dal fatto che credo in un teatro che vada capillarmente ad essere utilizzato come mezzo – afferma Zambaldi - E se di un mezzo si tratta, non può dimenticarsi di luoghi così pulsanti di esistenza come sono le case di riposo o altri punti della città, anche perché il luogo in cui c’è più assenza di esistenza é proprio il palco, il teatro, e infatti ce la porti con lo spettacolo. Il luogo in cui invece c’è più esistenza è proprio fuori dal teatro e allora è lì che bisogna riuscire ad andare a prendere e a dare. In questo modo, dal mio punto di vista, si riesce a dare un senso al lavoro che stiamo facendo. Il senso dell'umanità e, soprattutto, svolgere il nostro lavoro di teatro pubblico, di insinuare la possibilità di poter vedere gli spettacoli, anche perché le case di riposo sono realtà che spesso vengono anche un po’ messe da parte, ma son luoghi densi di esistenza e di storie”

  • Una foto di scena dello spettacolo "Il giorno più bello" Foto: TSB

    Secondo Zambaldi la forza del progetto "la fa la continuità, il tornare nei posti dove sei già stato e andare in quelli che ancora non hai visto. Bisogna puntare sulla costanza. Anche perché le persone dentro alla casa di riposo cambiano, quindi cambiano anche le storie che si possono scoprire e poi raccontare. Oltre poi a chi ci lavora e per i parenti delle persone che son dentro... insomma è un qualcosa in più che sicuramente fa bene a tutti e che crea anche occasioni di socializzazione e condivisione. C'è un aneddoto che mi commuove sempre – continua il direttore del Tsb  – In realtà ha a che fare con la casa circondariale e riguarda uno dei detenuti: un po' di tempo fa, al suo interno, abbiamo svolto un progetto teatrale e, ad un certo punto, durante la mattinata è entrato un assistente col foglietto dicendo ad uno dei detenuti che si sarebbe dovuto alzare per andarsene, che potesse uscire da lì insomma. Si trattava quindi di un momento glorioso per lui, però, nonostante questo, lui voleva vedere la fine dello spettacolo. Infatti, è ritornato dentro la stanza e ha ritardato la sua uscita. La sera stessa è poi venuto a vedere anche la seconda replica dello stesso spettacolo. Cioè, questa storia è pazzesca dal mio punto di vista, perché facciamo questi progetti per le persone e quando avvengono episodi come questo, beh... Lasciano davvero senza parole”

  • La locandina dello spettacolo del TSB, "Il giorno più bello" Foto: TSB

    Ma come è nata la collaborazione di una giornalista ad un progetto di questo tipo. ”Tutto nasce perché Zambaldi ci teneva che ad occuparsi delle interviste fosse un/a giornalista – racconta Maddalena Ansaloni - Siccome avevo già svolto attività con gli anziani e diversi reportage, mi hanno chiesto di prendere parte a questo progetto. Adoro raccontare storie quindi per me è stata una bellissima esperienza soprattutto considerando che la domanda - filo conduttore delle interviste - fosse: Quale è stato il tuo giorno più bello? Domanda che comunque aveva degli effetti su di loro e che rievocava delle risposte istintive della memoria e di conseguenza il ricordo di profumi, immagini, sensazioni etc... Insomma, era bello vederli reagire e cercare di ricostruire i loro ricordi più belli, anche divagando a volte, ma avendo sempre voglia di raccontarsi! Nel dare la risposta spesso avevano paura di risultare un po’ banali, ma la risposta, in realtà, era bellissima e rimandava prevalentemente a momenti di gioia quali la nascita dei figli, il matrimonio...E magari un giorno che in realtà credevano di non ricordare diventava sempre più limpido man mano che ce lo raccontavano. Questa cosa mi ha colpito davvero molto. 

    "Comunque possiamo affermare che il tema che più li ha toccati rimane quello della Seconda Guerra Mondiale – aggiunge Ansaloni - Arrivavano a parlare anche di ricordi negativi perché si sa, a giorni più belli si alternano anche, purtroppo, giorni più brutti. La difficoltà maggiore è stata il fatto che magari le interviste le facessi un giorno, ma le buttassi giù in forma scritta settimane dopo e riuscire a ritornare al momento dell'incontro e rivivere le sensazioni provate in modo da trasmetterle nei miei pezzi non era sempre facile. Riguardare le foto di Matteo è stato l'unico modo funzionale che ho trovato per ritornare a quel momento e quindi sentirmi nella storia, insieme all'anziano/a che me l' aveva raccontata. La soddisfazione più grande, oltre a vedere stampato il libro con i miei racconti, è stata assistere agli spettacoli e vedere la gioia negli occhi degli anziani. Lì ho davvero realizzato il bellissimo progetto che avevamo creato e farne parte è stato davvero speciale.”

  • Maddalena Ansaloni durante una delle interviste fatte agli anziani delle case di riposo. Foto: MATTEO GROPPO
  • "La macchina fotografica non giudica, ma documenta e ha così la possibilità di riportare una testimonianza reale" - Matteo Groppo, Fotografo

  • “É stato un percorso molto interessante – racconta Matteo Groppo - Quando gli anziani iniziavano a parlare e a rientrare nei loro ricordi si sbloccava qualcosa nel loro sguardo: era come se fossero lì davvero nella loro memoria. Catturare tutte le loro espressioni, insieme alle rughe di vita che già raccontano tanto, è stato davvero emozionante”

  • Foto: MATTEO GROPPO

    Quanto alle foto, spiega Matteo Groppo, "è stato organizzato tutto in modo che le foto fossero più naturali possibili – spiega Groppo - Gliele scattavo mentre erano immersi/e a raccontare la loro storia. Credo sia questa la vera forza espressiva di queste fotografie. Diciamo che lo scopo era che fosse tutto il più reale possibile e così è stato, mi sono sentito trascinare e trasportare proprio dentro le loro storie ed è stato emozionante anche perché sento molto più vicina a me questo tipo di fotografia, quella che riguarda la ritrattistica. La macchina fotografica di per sé ha qualcosa in più: non giudica e la amo anche per questo. Non giudica ma documenta e, documentando senza giudicare, hai la possibilità di riportare una testimonianza reale”