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L’arte del tatto

Andrea Bianco è uno scultore bolzanino non vedente che si fa guidare dalle mani per creare le sue opere. "Ho imparato grazie a uno studente della Facoltà di Design".
Andrea Bianco
Foto: Andrea Bianco

Per Bruno Munari, uno dei più originali protagonisti dell’arte italiana del Novecento, il tatto è il senso più immediato e il linguaggio tattile rappresenta la prima forma di comunicazione delle bambine e bambini. Sue sono le tavole tattili – tavole di legno su cui vengono applicati vari materiali così da offrire diverse sensazioni visive e tattili – e suoi sono i laboratori tattili, i laboratori didattici in cui la scoperta avviene toccando le cose prima ancora di vederle. Se alla fine degli anni Settanta, quando Munari realizza il primo laboratorio tattile, lo slogan era “vietato non toccare”, oggi viviamo in una società dominata dall’assenza del tatto: sempre più spesso la conoscenza avviene attraverso uno schermo che annulla la possibilità di vivere le sensazioni provocate dal tocco. Eppure c’è chi per causa di forza maggiore, ha fatto delle mani i propri occhi.

 

Andrea Bianco è un artista bolzanino che lavora l’argilla, il marmo, il legno e il bronzo senza usare gli occhi. Non vedente dall’età di ventun’anni, a quarant’anni si avvicina all’arte prendendo confidenza con i vari materiali toccandoli: è attraverso le mani che Andrea Bianco crea la sua percezione del mondo. Andrea ha imparato a usare la sgorbia e il martello fidandosi del suo tatto e del suo udito, ha imparato a dare corpo a un’idea senza vedere la forma che assume ma riconoscendone i dettagli con le dita, ha imparato a fare di quello tattile il suo primo approccio alle cose.

salto.bz: Come ha imparato a scolpire senza vedere?

Andrea Bianco: Ho fatto un po’ come si faceva in passato con la formazione a bottega. Ho iniziato con dei corsi di argilla a Bolzano. Poi, spinto dal desiderio di aumentare il livello, mi sono rivolto a un laboratorio a Pietrasanta (Toscana) – meta degli artisti per fare i bozzetti in argilla – dove mi sono formato ulteriormente nel campo della ceramica. In seguito sono passato al marmo che scolpisco a Carrara, a Pietrasanta e a Lasa. Come ultimo materiale rimaneva il legno, ma nessuno mi voleva insegnare a scolpirlo perché tutti temevano che mi facessi male. Un giorno, grazie al passa parola, ho conosciuto un ragazzo tedesco di Germania che studiava all’Università di Design a Bolzano ma che era già diplomato in Scultura a Monaco di Baviera, che prese l’idea di insegnarmi a lavorare il legno come una sfida. Abbiamo fatto tre anni di formazione in cui io ho imparato a scolpire il legno e lui ha imparato a scolpire utilizzando solo tatto e udito.

Esiste un metodo “standardizzato” per insegnare a scolpire a una persona non vedente?

Al momento l’offerta di percorsi formativi specifici è piuttosto scarsa, ma sono convinto che prima o poi si arriverà a ideare una formazione adeguata. Una persona non vedente deve avere canali diversi, ma deve poter riuscire a realizzare un’opera che sia qualitativamente paragonabile a quella di una persona vedente. Detto ciò, c’è da dire che l’indole artistica o ce l’hai o non ce l’hai: è scritta nel DNA.

 

Ma come si insegna a un artista cieco dalla nascita a plasmare una forma? Lei ha un bagaglio di ricordi visivi a cui puoi attingere…

Questo è un problema non da poco. Io non mi ero mai reso conto della differenza tra una persona non vedente diventata tale e quella nata tale, ma la differenza è enorme. Talvolta le immagini mentali delle persone non vedenti dalla nascita non hanno alcun riferimento con la realtà. Per loro l’arte figurativa è più difficile, perché si può basare solo su qualcosa che hanno potuto conoscere con il tatto.

Quando crea un viso, come riesce a riprodurre l’espressione facciale in modo da restituire una certa emozione?

Partiamo dal presupposto che secondo me le mani sono sottovalutate: tutti noi abbiamo il tatto ma non lo usiamo, perché l’85% degli stimoli arriva al cervello attraverso la vista. Sebbene i bambini imparino a conoscere il mondo attraverso il tatto, questo senso non si usa più. Nel caso del viso, io tocco quello della persona e ne capisco e carpisco i lineamenti. Ci sono delle regole generali, ma lo studio dei particolari passa attraverso le mani che si devono abituare a sfiorare gli oggetti in modo adeguato. Inoltre bisogna ricordare che le mani hanno una memoria: a me rimane nelle mani la forma delle sculture che tocco e in questo modo posso riprodurle

Ha mai avuto paura di farsi male quando intaglia il legno?

Il ragazzo che mi ha insegnato a scolpire il legno mi ha insegnato come prima cosa a lavorare in sicurezza. Il rischio zero non esiste, ma c’è differenza tra farsi un taglietto e amputarsi un braccio. Molte volte mi capita di tagliarmi, ma mi metto un cerotto e riparto. Forse, però, il rischio di farmi male seriamente lo corro meno degli altri, perché, lavorando con più prudenza, do maggiore attenzione ai movimenti.

 

Come sceglie le sfumature dei colori delle sue opere?

C’è da dire che io ho una memoria visiva, quindi so cosa sono i colori. Alcune volte la scultura nasce nella mia testa già con il colore, altre volte con la forma e solo una volta che ce l’ho in mano riesco a capire quale deve essere il risultato. Per la scelta dei colori, mi affido a un ceramista che è prima di tutto un amico. Per me è fondamentale avere un certo feeling con l’artigiano a cui mi rivolgo, perché in questo modo io capisco come lavora lui e lui capisce cosa voglio io. Dello stesso colore mi viene offerta una panoramica di mille soluzioni. Chi infine dipinge le mie sculture è il ceramista o mia moglie Lara.

Secondo lei, esistono delle differenze tra una scultura fatta da un artista vedente e una fatta da un artista non vedente?

Come detto prima, secondo me bisogna arrivare a un livello qualitativo identico, se ciò non avviene significa che l’artista o non si è espresso adeguatamente o non è stato formato adeguatamente. Spesso si indirizzano le persone non vedenti a fare lavori astratti, ma questo non va bene perché la via dell’astrattismo deve essere una scelta non una fuga. Inoltre anche il lavoro astratto deve rispettare certi canoni. Dunque, secondo me se la persona non vedente è formata in modo opportuno, non ha senso porsi questa domanda.

Per completezza, voglio ricordare che quando espongo lo faccio come scultore non come scultore non vedente, perché non credo che debbano interessare le abilità fisiche: che io abbia la gobba, sia alto, basso, non vedente, grasso, magro non deve condizionare il giudizio finale del mio lavoro.

Secondo lei l’arte – creata e fruita – è davvero inclusiva?

Dipende sia da chi la fa sia da chi la fruisce. Faccio un esempio banale: se faccio una statua alta quattro metri, una persona non vedente non può toccarla. D’altro canto, anche se la statua ha tutti i parametri dell’inclusività, deve fare i conti con la sensibilità del fruitore. A questa domanda non esiste un’unica risposta, ma bisogna dire che tutte le persone possono fare arte, se lo desiderano.

 

Lei ha mai avuto paura che le sue opere si rovinassero a forza di toccarle?

Sì. Si sente spesso lo slogan, soprattutto nel mondo dei non vedenti, “vietato non toccare”. Io non sono d’accordo, perché c’è quello che si può toccare e quello che non si può toccare. Nel mio caso, le mie sculture sono di marmo, legno, bronzo e ceramica: questi materiali si possono toccare se lavorati in modo adeguato e se non toccati da troppe persone. Il marmo e il legno sono porosi e si bevono lo strato di grasso che c’è normalmente sulle mani. Se toccati da troppe persone, il marmo si ingiallisce e il legno si scurisce. Dipende dunque dalla scelta che fa l’artista: se vuole vedere il segno del tempo che passa e delle persone che hanno beneficiato delle sue opere, ci sta non temere le mani della massa; se, invece, vuole preservare la scultura, non si può toccare. Per me, affermare che qualcosa non si può toccare non è una preclusione, ma un dato di fatto determinato dalle caratteristiche dei materiali. Un compromesso può essere toccare le opere con i guanti: si perde un po’ di tatto, ma non si rovina la statua.

Dove si possono vedere le sue opere?

Ho esposto in molti spazi a livello nazionale, come l’Accademia delle Arti del Disegno a Firenze, il Maschio Angioino a Napoli, Palazzo Ducale di Genova… A livello locale faccio invece molta fatica a trovare sale dove esporre, perché qui gli spazi espositivi sono pochi e quelli disponibili sono davvero troppo cari. A dire la verità, secondo me, gli spazi ci sarebbero anche, ma qualche manovra politica non permette di mettere a disposizione abbastanza luoghi. Data la situazione, mi capita spesso di inventare dei luoghi d’esposizione: ho esposto in castelli, in parchi, in enoteche, in distillerie…

Sono cambiati i suoi gusti a livello artistico da quando fa arte?

Forse prima amavo di più le sculture di Michelangelo, mentre ora il mio orizzonte si è ampliato su scultori meno noti. Non mi piace per nulla l’arte che va adesso, quella gridata e graffiante. Oggi va di moda quello che desta scandalo, ciò che angoscia. Per me l’arte deve elevare e arricchire di emozioni. Secondo me, se si va a una mostra e si esce identici a prima, l’esperienza non è servita a nulla. L’arte attuale tende a mescolarsi con il business; lo scopo principale di chi fa arte non è più quello di dare emozioni, ma quello di farsi notare e guadagnare il più possibile.

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Erika Zomer Kössler Dom, 11/20/2022 - 12:58

Andrea è una persona eccezionale. Ha saputo indirizzare il proprio talento, nonostante la sua cecità. Vien da dire che il "nonostante" sia essere sbagliato, nel suo caso. Ho una statua a casa della Madonna Incinta che ha fatto lui, di cui mi sono innamorata nell'attimo in cui l'ho vista durante la presentazione a cui partecipai qualche tempo fa. Mi emoziona ogni volta che lo sguardo cade su di lei. Ringrazio Andrea per tutto ciò e sua moglie Lara che lo accompagna da sempre e da sempre gli è vicino.

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