I candidati alle elezioni sono di due tipi. Ci sono quelli che crescono dal terreno – cioè sbocciano, profumati come fiori di campo, nel luogo particolare in cui si va a votare. Oppure ci sono quelli che piovono dal cielo, catapultati da altri lidi, nessuno sa in effetti neppure bene da quali, e per sbrigarcela diciamo poi dalla Capitale, la lontanissima Roma. Catapultati o paracadutati: la speranza è sempre quella che l'atterraggio non risulti troppo traumatico, anche se non potrà mai assomigliare alla lenta gentilezza con la quale la flora delle candidature autoctone si protende in direzione più naturale, dal basso verso l'alto. Ora, tutti sono dell'opinione che il primo tipo di candidati sia meglio del secondo. Se la democrazia ha da essere veramente rappresentativa, non è plausibile che un tizio nato e cresciuto a Mantova (o a Lodi, Pontassieve, Comacchio) possa “rappresentare” con competenza donne e uomini di Ragusa (o di Pavia, di Rieti, di Pontedera, di Bolzano). Opinione diffusa, eppure non particolarmente influente, visto il costume di spedire l'aspirante Onorevole Tizio o la futura Senatrice Sempronia a raccogliere voti altrove, nei cosiddetti “seggi sicuri”, in contrade dove al massimo si è passati un paio di volte per fare la settimana bianca o la gita in motoscafo, sempre praticato dalle segreterie centrali dei partiti. Anche da quelli che hanno la parola “democratico” nel nome e fanno mostra di tenere in gran conto il “territorio”, la “partecipazione”, la “selezione locale della classe dirigente” e gli indiscutibili vantaggi dovuti all'assidua “coltivazione del contatto con i propri concittadini”. Tutte balle, ovviamente. Quando il gioco si fa duro, quando soprattutto si teme che l'apertura ai territori comporti mediazioni un po' troppo macchinose (le sbandieratissime primarie, per esempio), per non parlare dell'evenienza di indesiderate sorprese, i leader s'irrigidiscono, tagliano corto e cercano nell'agenda i fedelissimi da piazzare passando sopra la testa dei cittadini. Pur incassando preventivate critiche, l'esperienza viene però ripetuta nella speranza che le conseguenze non siano troppo disastrose. I lamenti dei vari politici locali, i mugugni dei piccoli portatori d'acqua di periferia, durano al massimo lo spazio di un cinguettio rammaricato o di un post indignato su Facebook. Un paio di cuoricini, tre condivisioni, alla fine il conformismo è ristabilito: “hai ragionissima, ma le indicazioni superiori vanno seguite con disciplina”. Altri due giorni e tutto è già lontano, sorpassato, digerito. Al limite resta l'annuncio, la promessa che la prossima volta, beh la prossima volta di sicuro non accadrà. Ai paracadutati verrà vietato l'atterraggio, non si azzardino a mandarceli, eh, ché li rispediremo tutti a casa. Il Parlamento se lo possono solo sognare. Ci mancherebbe altro.