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Astensione o astinenza?

Anche gli altoatesini hanno ormai imboccato la strada della rinuncia al voto. Il caso di Bolzano.

Con il referendum di domenica sulle trivellazioni  l'Alto Adige è riuscito a conquistare un altro piccolo record nel Guinness dei primati della politica italiana. Con il 17,55% di elettori andati alle urne si è posto nettamente come fanalino di coda, per quel che riguarda la partecipazione al voto, di tutta la comunità nazionale. Dato significativo, se solo si pensa che in un passato non troppo lontano, la provincia di Bolzano è stata per decenni quella in cui l'esercizio del diritto di voto coinvolgeva la quasi totalità della popolazione. Ricordo ad esempio che, sino agli anni 80, quando venivano comunicate i dati sulle affluenze  capitava non di rado che in qualche comune periferico, ma che comprendeva nel suo territorio delle caserme, la partecipazione al voto superasse abbondantemente la soglia del 100%. A qualche collega nuovo del mestiere o venuto da fuori, che già annusava aria di brogli, occorreva pazientemente spiegare che la somma degli iscritti nelle liste comunali, che si recavano tutti al voto, e dei militari che esercitavano comunque il loro diritto poteva portare anche a queste stranezze.

Tempi ormai dimenticati. A Bolzano città, domenica scorsa, ha votato meno del 30% degli aventi diritto, ma non è che le cose, se vogliamo, fossero andate molto meglio per l'altro referendum, quello svoltosi nei giorni precedenti, con modalità abbastanza inusitate, per raccogliere tra la popolazione un parere sul famoso "progetto Benko". In quel caso la tematica era sicuramente di interesse locale, c'è stata una vivacissima campagna di opinione (anche troppo secondo qualcuno), l'esercizio del diritto di voto era spalmato su più giorni e con modalità abbastanza semplici, ma nelle urne comunali sono finite le schede di appena il 37% degli aventi diritto, pendolari e sedicenni compresi.

Il referendum, si obietterà, non è lo strumento adatto, proprio per le sue caratteristiche, a raccogliere l'interesse di una gran massa di persone. Il fatto è peròch e anche le votazioni tradizionali sembrano sempre meno interessanti per l'elettore medio. Alle ultime comunali, quelle del maggio 2015, è andato a votare al primo turno solo il 57,77% dei bolzanini e una fiammella di maggior entusiasmo si è accesa solo quando, due settimane dopo si è trattato di scegliere il sindaco al ballottaggio. Non era andata meglio alle europee del 2014 quando era andato al voto il 58% degli aventi diritto, mentre per trovare cifre appena più confortanti, il 73,2%, occorre tornare alle provinciali del 2013.

La questione del crescente astensionismo elettorale è argomento che in genere si brucia, in una vampata di commenti pensierosi e preoccupati, nel breve intervallo di tempo che separa la chiusura delle urne, e quindi la disponibilità dei dati sull'affluenza, e l'arrivo dei risultati elettorali veri e propri. Se ne parla per un po' di tempo e poi la cosa passa nel dimenticatoio, sino alla consultazione elettorale successiva.

Eppure, come si diceva, il problema esiste e a Bolzano (in questa breve analisi i dati presi in considerazione sono sempre relativi solo al capoluogo altoatesino) il mutamento nel corso degli anni è stato veramente notevole. Prendiamo qualche cifra tra le tante a disposizione. Iniziamo dal 1994, anno dal quale si fa comunemente risalire l'inizio della cosiddetta "seconda repubblica" con la progressiva dissoluzione delle vecchie formazioni politiche, l'introduzione a quasi tutti i livelli del sistema maggioritario, l'affermarsi prepotente di nuovi soggetti elettorali. Bene, in quell'anno fatidico, alle elezioni politiche che videro l'affermarsi inatteso del centrodestra berlusconiano, a Bolzano andò a votare il 92,08% degli aventi diritto. In alcuni seggi la percentuale superò il 95%, il che vale a dire che andarono votare tutti coloro che erano in grado di trascinarsi fino al seggio. Un entusiasmo già svanito in parte l'anno successivo, quando per le elezioni comunali svoltesi per la prima volta con la scelta diretta del sindaco l'affluenza ai seggi fu ancora alta, 72,04%, ma già in calo. La propensione al voto dei bolzanini reggeva comunque anche alla prova di referendum, come quello del 1999 sull'abolizione della quota proporzionale, che a livello nazionale non raggiunsero il quorum del 50% +1. Nel capoluogo altoatesino, in quell'occasione, andò a votare 54, 71% degli aventi diritto. Pochi di più di elettori tre anni dopo quando i bolzanini furono chiamati a decidere sull'annosa e controversa questione del nome di Piazza della Vittoria, ribattezzata dalla giunta Salghetti Piazza della Pace. La questione era di quelle che scaldano gli animi, ma in realtà andò a votare solo il 61,69%.

Per essere un fenomeno che, sia pur con qualche ondeggiamento, si prolunga e diviene marcato ai giorni nostri. Non occorre essere degli indovini per immaginare che ne dovremo riparlare all'indomani delle comunali di maggio.

Un paradosso, forse solo apparente, deriva dal fatto che questa disabitudine a mettere la scheda nell'urna si manifesta proprio quando l'offerta politica nel suo complesso diviene vastissima. Nel 1948, alle prime elezioni comunali del dopoguerra, parteciparono otto liste. Per la consultazione dell'8 maggio prossimo le formazioni in lizza sono 17, con buona pace di chi sperava che l'introduzione di una soglia costituita dal cosiddetto "seggio pieno" sfoltisse almeno un po' le file dei concorrenti. Una vera e propria marea di proposte politiche, all'interno delle quali, tra l'altro, è possibile trovare tutto e il contrario di tutto. Ci sono i partiti tradizionali e gli interpreti autentici dell'antipolitica, ci sono gli interetnici, gli etnici tradizionali e gli etnici "rinforzati" di ogni lingua e di ogni cultura. Ci sono le liste civiche, quelle a tema, quelle che si rivolgono agli anziani o ai giovani. Sembrerebbe impossibile non poter trovare in questa vera e propria babele politica un'idea o una persona che corrispondano al proprio credo. Eppure è quello che avviene con sempre maggior frequenza.

La spiegazione naturale, quella che viene fornita di solito per dare una giustificazione al fenomeno è quella della protesta. Protesta contro una politica sempre più lontana dai cittadini, dai loro interessi, dalle loro aspirazioni. Tutto vero, probabilmente, ma un'analisi più attenta di questo astensionismo (a quando una ricerca scientifica su un vasto campione?) potrebbe forse dimostrare che all'interno della vasta platea di coloro che non mettono la scheda nell'urna si va creando una categoria nuova con esiti ancora più inquietanti. Sono sempre di più, soprattutto tra i giovani, coloro che non votano e non voteranno per un totale distacco da tutto ciò che è politica, da un mondo considerato estraneo alla propria vita e ai propri interessi. Non sono coloro che stracciano il proprio certificato elettorale in un moto di rabbia a doverci forse preoccupare di più, ma quelli che lo dimenticano in fondo a un cassetto assieme agli altri documenti del passato che non servono più.

Post Scriptum: una nota scherzosa in calce ad una serie di ragionamenti più seri. Non ci sarebbe da meravigliarsi se, la prossima estate, il premier Matteo Renzi decidesse di passare qualche giorno di vacanza a Predoi in Valle Aurina. Gli abitanti del comune più settentrionale d'Italia, domenica scorsa, gli hanno fatto un doppio regalo. Non si sono limitati a disertare in massa le urne (ha votato solo il 15% degli aventi diritto) ma hanno regalato al partito del "no" probabilmente uno dei pochi successi registrati in tutto il paese.