Ambiente | Venerdì per il clima

Fridays for Future: la marcia continua

Il cambiamento climatico è ormai l'emergenza del futuro: intervista a Giovanni Mori, portavoce di Fridays for Future.
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Foto: Mika Baumeister

Le violente piogge, le trombe d’aria e gli smottamenti che hanno colpito l’Alto Adige e gli altri territori europei quest’estate rappresentano l’ennesima conferma delle conseguenze del cambiamento climatico sull’ambiente. Se oramai da diverse parti si fanno insistenti le voci per un’azione di contrasto più decisa, ancora resiste il fronte dei negazionisti climatici, che si trincerano dietro teorie anti-scientifiche ed assurdi complotti. Il tempo a nostra disposizione è però sempre meno e, all’indomani della pubblicazione del nuovo Report IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), appare sempre più chiara la necessità di un intervento incisivo. Ne discutiamo con Giovanni Mori, ingegnere ambientale ed energetico, attivista di Fridays for Future Italia, portavoce del movimento e consulente per la sostenibilità per Save the Planet.

Salto.bz: Ingegnere Mori, le alluvioni e il caldo record degli ultimi giorni stanno destando sempre maggiore preoccupazione, tutti questi fenomeni estremi sono senza dubbio ascrivibili al cambiamento climatico, ma le azioni intraprese sono effettivamente sufficienti?

Giovanni Mori: Le piogge torrenziali e il caldo anomalo non hanno colpito solo l’Europa, poco più di un mese fa in Canada si sono sfiorati i 50 °C e tutto il mondo sta affrontando la crisi climatica, che inevitabilmente innesca ulteriori crisi sociali ed economiche. Negli ultimi due anni l’attenzione globale è cambiata, anche grazie alle marce di Fridays for future, che sono riuscite a mobilitare milioni di persone in varie città mondiali, ma non basta: è necessario ripensare le azioni individuali e collettive, fino ad arrivare al livello statale ed internazionale, per intraprendere un differente percorso di sviluppo.

L’Unione Europea ha annunciato il Green New Deal e una percentuale importante del Next Generation EU è stata destinata alla transizione energetica e ai progetti per la salvaguardia dell’ambiente. Tutto questo rappresenta una svolta positiva?

Sicuramente l’attenzione dell’Unione europea segna una tappa importante, L’Europa, o meglio L’UE, è l’unico continente che ha fissato degli obiettivi chiari e stringenti sulle emissioni: il loro dimezzamento entro il 2030 e l’azzeramento entro il 2050. Purtroppo però le percentuali dovrebbero essere maggiori nel breve periodo, gli scienziati chiedevano una diminuzione delle emissioni del 65-70% entro il 2030 e con queste soglie concordate sembra sempre più difficile rimanere entro l’aumento di temperatura di 1,5 °C previsto dagli accordi di Parigi.

Fridays for future, che sono riuscite a mobilitare milioni di persone in varie città mondiali, ma non basta:

Rimane poi aperta la questione della giustizia climatica e delle quote pro-capite di emissioni, alcuni Paesi occidentali hanno già sforato le quote consentite e i cittadini di UE e USA sono tra i maggiori emettitori; nonostante Cina ed India siano ancora dei campioni del carbone la loro popolazione ha una quota pro-capite più bassa della nostra, al netto dell’enorme quantità di persone che popola questi due paesi. C’è poi da dire che molti degli oggetti del nostro quotidiano, come PC o Smartphone, vengono prodotti in Asia e le emissioni sono conteggiate in quei paesi, anche se siamo noi ad essere i principali acquirenti.

Cina ed India ad oggi però sono segnalati come i paesi che più inquinano, a livello di produzione. Questo sta cambiando il concetto, presente fin dai tempi del protocollo di Kyoto, sulla differente responsabilità dei paesi sviluppati in quanto inquinatori di più lunga data?

Cina ed India giocano sicuramente un ruolo di primo piano ormai, ma le cose stanno cambiano in fretta, soprattutto per la Cina, che sta investendo in maniera massiccia nelle tecnologie rinnovabili, aiutata anche dal possesso di materie prime necessarie alla loro realizzazione. Xi Jimping già da qualche anno ha iniziato una campagna per diminuire drasticamente l’uso del carbone, l’inquinamento è diventato un’emergenza anche nel paese asiatico e non bisogna dimenticare che la Cina sta sviluppando queste tecnologie non solo per uso domestico, ma intende diventare un leader del settore e vuole iniziare ad esportarle. Ormai però il prezzo delle rinnovabili è sceso di molto e investire è diventato conveniente, anche il Texas, patria dei petrolieri e dei negazionisti del clima, ha deciso di accelerare molto nel fotovoltaico e nel solare.

Dato questo scenario, come si colloca il PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza) italiano?

Purtroppo il PNRR sembra essere un’occasione persa. Le scelte che sono state fatte si concentrano sui grandi progetti ma si curano poco del locale, che invece è un piano fondamentale per la lotta al cambiamento climatico. Non dimentichiamo poi che gli investimenti sulle grandi opere richiedono tempo, mentre abbiamo solo 8 anni per arrivare al taglio del 50% delle emissioni.

Un altro tema, spesso trascurato, è quello dell’inquinamento prodotto dall’agricoltura e dagli allevamenti. Il discorso dell’alimentazione gioca invece un ruolo fondamentale negli equilibri climatici, sociali ed economici del futuro?

Rispetto a qualche anno fa, il tema dell’agricoltura non è più relegato ai margini, oggi si è a conoscenza del fatto che circa il 25% delle emissioni deriva dal cambio di destinazione dei suoli e tutto il settore agricolo ha un impatto notevole. Questo però ci costringe a ripensare il nostro stile di vita, su Lancet uno studio ha indicato che la dieta migliore per l’uomo e per l’ambiente richiede una diminuzione del 72% della carne che mediamente viene consumata nel quotidiano. Non è necessario diventare vegani, ma lo diventa ridurre il consumo di carne e latticini, la produzione di mozzarella per esempio è più inquinante di quella della carne di pollo. Inoltre il 20% della produzione intensiva mondiale sfrutta l’80% dei suoli ed utilizza una varietà di piante molto ristretta, con grande danno alla biodiversità. Per un’azione davvero incisiva si devono privilegiare i prodotti locali e stagionali, con una forte lotta allo spreco. Ad oggi infatti circa 1/3 del cibo prodotto viene sprecato, in un mondo che soffre di moltissime disuguaglianze nella redistribuzione delle risorse, questo rappresenta un ulteriore grande tema di giustizia climatica.

Purtroppo diversi media spacciano per scienza studi e articoli che non sono pubblicati su riviste scientifiche ma su semplici giornali e che quindi non hanno subito quel processo di revisione e controllo da parte della comunità scientifica.

Alcuni scienziati ritengono che le sole energie rinnovabili non siano sufficienti per raggiungere l’indipendenza energetica dai combustibili fossili, si è tornati quindi a parlare di nucleare. Può rappresentare ancora una valida alternativa?

Le generazioni precedenti guardavano con timore al nucleare, soprattutto per gli echi della guerra fredda. Il dibattito oggi è certamente più libero, ma il nucleare rimane un’opzione molto costosa per i privati e richiede un tempo molto lungo di ritorno, circa 10-15 anni, mentre le fonti rinnovabili sono decisamente meno costose e hanno una realizzazione più veloce. Si può però pensare ad una combinazione delle due fonti, con investimenti statali su reattori piccoli (small nuclear reactor), che restano sempre accessi, ma sono più difficili da modulare e su fonti rinnovabili che hanno un minor capacity factor ma sono più flessibili. Detto questo, non si deve procedere con un approccio ideologico e chiudere quelle centrali che ancora producono energia con bassissime emissioni, è utile che le centrali aperte restino accese.

Nonostante la scienza sia unanime nel condannare l’azione dell’uomo sul pianeta, la narrazione dei media è purtroppo spesso superficiale o poco chiara. Questo modo di operare alimenta non solo il negazionismo, ma anche l’assuefazione alle notizie catastrofiche che portano poi ad una sorta di rassegnata accettazione, come dovrebbe cambiare il modo di dare notizie?

Purtroppo diversi media spacciano per scienza studi e articoli che non sono pubblicati su riviste scientifiche ma su semplici giornali e che quindi non hanno subito quel processo di revisione e controllo da parte della comunità scientifica. Bisogna sempre controllare che le fonti siano affidabili ma è anche necessario smettere di utilizzare termini ormai scorretti e inadatti a spiegare la situazione. Non si può parlare di semplice maltempo per descrivere i fenomeni atmosferici sempre più violenti così come non si può parlare di apocalisse, perché questo restituisce l’idea che oramai sia tutto perduto. In realtà, anche se abbiamo poco tempo, è ancora possibile contenere gli effetti del cambiamento climatico e anche il report IPCC fornisce diversi scenari, sta alle nostre azioni e decisioni permettere che non si realizzi lo scenario peggiore.

Proprio per mantenere alta l’attenzione sul clima segnaliamo il prossimo sciopero globale di Fridays for future: il 24 settembre 2021 in tutte le piazze, anche a Bolzano.