Politica | Gastbeitrag

“Siate protagonisti della democrazia”

Maria Romana, figlia di Alcide De Gasperi, sulla memoria del padre, la fiducia nei giovani, gli entusiasmi vacillanti per l’Europa e quell'atto di fede nelle autonomie.
De Gasperi, Maria Romana
Foto: upi

Maria Romana, figlia di Alcide De Gasperi, classe 1923, di origine trentina, ora residente a Roma, fu la segretaria particolare del padre quando egli era presidente del Consiglio (1945 - 1953) e dedica tutte le sue energie a curarne la memoria e a diffondere i valori per cui lui visse. E’ instancabile: ha scritto libri, tiene conferenze in Italia ed all’estero, incontra molte persone, soprattutto giovani che dimostrano molto interesse per le sue testimonianze sulla vita pubblica e privata di un personaggio che ha fatto la storia d’Italia, d’Europa e della nostra Autonomia. E’ cittadina onoraria di Calavino (Tn), dove è intervenuta nei giorni scorsi ad un convegno sulla figura del padre e le sue “tre vite”: la prima come cittadino austriaco (*1881-1918), la seconda come cittadino italiano e sotto la dittatura fascista (1918-1945) e la terza come Presidente del Consiglio nell’Italia democratica (1945-1954). 

 

Molte persone in Italia e negli altri Paesi Europei sono sfiduciate circa il futuro del nostro continente. La crisi economica, l’immigrazione di massa, la perdita di autorevolezza delle rappresentanze politiche. C’è il rischio della chiusura difensiva in se stessi. Lei quali motivazioni darebbe a queste persone e in particolare ai giovani per guardare avanti con fiducia?
Maria Romana De Gasperi
: Incontro molti giovani e riscontro che c’è scarsa informazione su come funziona, quali sono i valori e qual è la storia di questa nostra Europa. Gli eletti negli organismi europei non si impegnano abbastanza per coinvolgere e motivare i cittadini. Mancano gruppi di sostegno e un “patriottismo europeo”. Noi che, dopo la seconda guerra mondiale, siamo usciti dalle dittature, abbiamo accolto con entusiasmo l’idea di Europa Unita e soprattutto la sua possibile concretizzazione. Poi, nel 1954, c’è stato il fatto più grave che ha compromesso la costruzione di una vera unità politica dell’Europa: la bocciatura da parte dell’Assemblea Legislativa Francese della costituzione del CED (Comunità Europea di Difesa), prodromo dell’esercito comune europeo. Questa decisione francese ha indebolito il processo di sviluppo del progetto unitario.

Oggi non è facile riaccendere gli entusiasmi per l’Europa perché la maggioranza dei suoi cittadini non ha vissuto sulla sua pelle la guerra e non ha combattuto per conquistare la libertà. Non si apprezza abbastanza il valore di 70 anni di pace nel nostro continente, dopo due guerre mondiali scatenate proprio in Europa.

Mi rimane comunque la fiducia nei giovani perché essi sono capaci di grandi cose e del resto hanno il loro destino nelle proprie mani. A loro raccomando di essere protagonisti della democrazia, conoscerla e studiarla nelle sue espressioni nazionali ed europee. Ai rappresentanti parlamentari europei raccomando di incontrare i cittadini, ascoltarli, tenerli informati di quello che si fa a Bruxelles e Starsburgo, spiegare come funziona l’Istituzione europea.

La Germania ricopre un ruolo sempre più decisivo nella vita politica europea, affiancata dalla Francia. Ciò determina, particolarmente in Italia, sentimenti contrastanti verso la Germania; fiducia, ma anche timori.  Con quale spirito Suo padre, Alcide De Gasperi, avviò le trattative con questi Paesi per fondare le nuove istituzioni europee?
Mio padre, Konrad Adenauer e Robert Schuman condividevano profondamente la volontà di costruire una pace duratura in Europa. Il loro dialogo politico era segnato da spirito utopistico; oggi si direbbe “erano degli illusi”. Avevano affinità importanti essendo tutti e tre democratico-cristiani, provenienti da territori di confine e multietnici (Schuman dall’Alsazia, De Gasperi dal Trentino, Adenauer dalla Renania), perseguitati dal fascismo e dal nazismo, parlanti tedesco….Mi ricordo i loro dialoghi (in tedesco!) anche “privati” nella mia casa di Roma o in quella di Castel Gandolfo, la grande cordialità tra di loro. Ricordo in particolare che alla fine di un incontro con Adenauer, mio padre lo accompagnò al cancello e gli disse: “Ancora questi pochi anni per completare il progetto di unità europea e poi…, noi ce ne potremo anche andare…”.

C’era un clima di grande fiducia reciproca e mio padre era un profondo conoscitore della cultura e mentalità tedesca. Aveva conseguito la laurea in filologia a Vienna, era stato parlamentare del Parlamento austriaco in rappresentanza dei Popolari trentini, aveva sempre arrotondato il suo reddito facendo traduzioni anche di interi libri dal tedesco all’italiano. Mio padre diede sempre una mano ad Adenauer nella difficile fase di nuovo accreditamento internazionale della Germania nel dopoguerra. La Germania era isolata e odiata in quasi tutto il mondo. L’Italia, sotto la Presidenza di Alcide De Gasperi, fu il primo Paese ad invitare il cancelliere tedesco Adenauer. 

Quando furono inaugurati i palazzi Adenauer e De Gasperi a Bruxelles fui invitata sia io che il figlio di Adenauer. Non ci eravamo mai visti, non conoscevamo la lingua dell’altro, ci siamo avvicinati camminando da lontano. Ci siamo abbracciati a lungo piangendo.

In Italia si ritorna periodicamente  a parlare di federalismo e di autonomie. Come vedeva il Presidente del Consiglio, il trentino Alcide De Gasperi, il rapporto tra Stato centrale e autonomie locali?
Mio padre comprendeva perfettamente cosa significano le diversità culturali, etniche e linguistiche. Da cittadino austriaco di lingua italiana, sedeva nel Parlamento di Vienna ed aveva come “compagni di banco”, deputati tedeschi, croati, sloveni, serbi, cechi, slovacchi, aveva sempre curato a Vienna gli interessi degli elettori di lingua italiana, che pure si consideravano sudditi dell’Imperatore d’Austria. Aveva costantemente rivendicato l’autonomia del Trentino e le sue specifiche esigenze culturali e linguistiche, compresa la necessaria istituzione di una Università italiana. Quindi massima condivisione delle istanze federali ed autonomistiche, nell’ambito di uno stato plurietnico. 

Mio padre fu rigorosamente antifascista criticando aspramente la politica del regime che aveva annullato le tradizionali autonomie dei comuni trentini, imponendo decisioni dall’alto: “l’idra del centralismo”, secondo le sue parole. Nel 1946, firmò con Karl Gruber, Ministro degli Esteri austriaco, l’accordo per la piena autonomia della regione e delle province di Trento e Bolzano. Intervenne nel 1948 nell’assemblea Costituente italiana su questo tema affermando: “La storia dirà se abbiamo, con questo atto di fede nelle autonomie, avuto ragione o torto”.

Come risponderebbe Lei alle obiezioni di chi ritiene non giustificata l’Autonomia Speciale del Trentino, in quanto l’accordo di Parigi riguarderebbe solo i sudtirolesi della provincia di Bolzano? Quali sono le motivazioni di fondo dell’Autonomia trentina?
Sono dell’opinione che nel trattare le specificità di ogni territorio, non bisognerebbe cadere nel particolarismo, ma mantenere viva invece l’apertura verso una identità aperta, europea. Il Trentino ha certamente sue caratteristiche specifiche particolari che ne giustificano pienamente l’autonomia. Il trentino, peraltro, è stato per secoli  parte del Tirolo storico e del suo contesto socio-culturale. Purtroppo manca ancora in certi settori della opinione pubblica una completa ed adeguata informazione sulla storia e sulla realtà del territorio trentino. L’ignoranza alimenta giudizi superficiali sull’autonomia. Ripeto comunque che dobbiamo guardare con sempre maggiore convinzione all’Europa. 

Con quale spirito Suo padre ha sottoscritto nel 1946 l’accordo con il Ministro degli Esteri Austriaco, Karl Gruber?
Bisogna considerare in quali condizioni era l’Italia nell’immediato dopoguerra: nella conferenza di pace di Parigi, l’Italia rappresentava il nemico davanti agli esponenti dei 21 Paesi vincitori della guerra stessa. Mio padre iniziò il suo intervento (studiato e preparato con grandissima cura), dopo tre giorni di anticamera, con il seguente incipit: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me..”. alla fine del suo intervento calò il gelo nella sala e nessuno applaudì. Solo più tardi il rappresentante americano si avvicinò al suo scranno per dargli la mano. L’Italia non aveva alcun potere di negoziazione autonoma. Altrettanto debole era la condizione dell’Austria, peraltro occupata dalle potenze vincitrici della guerra. Stava affermandosi in quel momento una logica geopolitica globale (est-ovest) che condizionava e subordinava le nostre argomentazioni bilaterali. Inoltre era aperta anche la trattativa per i confini orientali del Paese, dove l’Urss non aveva nessuna intenzione di assegnare Trieste all’Italia. Durante un comizio a Trieste, mio padre si trovò davanti una folla immensa, inneggiante all’Italia, con giovani arrampicati su tutti piloni e vestiti con abiti tricolori e partecipò intensamente a quello stato d’animo. 

A decidere sulla assegnazione dell’Alto Adige all’Italia furono di fatto le Quattro Potenze vincitrici: mio padre considerò l’unica cosa positiva di quella fase, il dialogo con Gruber e la definizione dell’accordo con l’Austria. Nella sostanza, anche se avessimo voluto cedere la provincia di Bolzano all’Austria, gli Usa non avrebbero consentito. Mio padre amava la nostra regione, le Dolomiti, il nostro paesaggio naturale e culturale. E’ riuscito anche a fare una veloce visita privata (“clandestina”) in Austria, in Tirolo, eludendo la stretta custodia dei Carabinieri, sempre presenti sotto casa nostra in Valsugana. Si mise d’accordo con un suo segretario che aveva una macchina sportiva, passò il Brennero e i Carabinieri cercarono di inseguirli, penalizzati però dalla mancata conoscenza del tedesco. Mio padre era molto divertito della cosa. Nelle sue “tre vite” mio padre fu sempre accusato di essere filo tedesco: figlio di un gendarme austriaco a Borgo Valsugana, accusato da Mussolini (nelle cui carceri fu imprigionato) di essere un “tedesco che parlava italiano” e poi, nel dopoguerra, “un trentino prestato all’Italia”. Una identità fortemente legata al nostro territorio.