Hiroo Onoda
Foto: Wing Chung News
Società | Vorausgespuckt

Onoda e noi

L'autonomia compie 50 anni e sarà giustamente molto festeggiata. Speriamo solo che tra un brindisi e l'altro non facciamo la fine del celebre tenente giapponese.

Forse la storia la conoscete. È una storia “pazzesca”, anche se in fondo quando definiamo “pazzesca” una storia è perché della follia sappiamo poco. La storia è questa: c'era un soldato giapponese – Hiroo Onoda – che rimase su un'isola delle Filippine (Lubang) per quasi trent'anni pensando che la guerra in cui era coinvolto (la Seconda guerra mondiale, quindi – per lui – la guerra contro gli Stati Uniti) non fosse finita. Pensateci bene: per quasi trent'anni quest'uomo, questo soldato col grado di tenente (mai parola fu tanto fatale) che neppure per un istante smette di essere soldato e tenente, se ne sta nascosto nel fitto di una giungla filippina e “combatte” un nemico che non esiste più, che si è dissolto all'interno di una prospettiva geo-politica totalmente mutata. Come si sarà sentito in tutti questi anni, che cosa ha provato quando – finalmente – qualcuno è arrivato a rompergli la bolla di autismo nella quale si era (volontariamente?) rinchiuso?

In quali giungle metaforiche siamo bloccati?

La vicenda è raccontata dal regista Werner Herzog in un libro uscito in italiano l'anno scorso (anche l'edizione tedesca è dello stesso anno), si intitola “Il crepuscolo del mondo” e ve lo consiglio caldamente, anche perché Herzog scrive benissimo. Io però non vorrei attrarre tanto l'attenzione sul tenente Onoda considerandolo, come dicevo, un soggetto “pazzesco” al di là di ogni ulteriore possibilità di confronto. Per questo chiedo: anche se noi non siamo imprigionati in una giungla filippina, anche se non cerchiamo metodicamente di apprendere dalle altre forme della natura le migliori tecniche di mimetizzazione al fine di renderci dei fantasmi in perenne attesa del nemico, in quali altre giungle metaforiche siamo di fatto bloccati, in quali configurazioni di senso abbiamo finito per cristallizzarci, e soprattutto quanto tempo stiamo facendo passare prima che un nostro personale Suzuki – l'uomo che ritrovò Onoda – sbuchi dalla contemporaneità e cerchi di convincerci che nel frattempo le cose sono un po' cambiate?

Anche da noi gli Onoda abbondano e fanno persino carriera politica

Questa domanda mi gira per la testa, per esempio, se penso ai festeggiamenti che (in grandissima pompa) verranno dedicati al cinquantenario della nostra autonomia. In questo caso gli Onoda abbondano (ce ne sono due o tre che ci hanno costruito addirittura sopra una carriera politica e stanno rintanati nel Consiglio provinciale, che per certi versi può essere considerata una vera e propria giungla istituzionale), sono intorno a noi, forse addirittura sono dentro di noi. Certo, sarebbe anche possibile dire che ciò che ha reso possibile la nostra autonomia (le tensioni, i conflitti e tutto quello che sapete) è stato completamente eroso dal tempo, e che nessuno – oggi – affermerebbe che abbiamo a che fare con circostanze anche lontanamente comparabili. Eppure esiste pure la tendenza (definiamola onodica) a reputare tali precondizioni ancora attuali, anzi eterne e intramontabili. O comunque non così inattuali, non così contingenti e soprattutto non così tramontate da consentirci di porre mano a qualche cambiamento sostanziale. Dai festeggiamenti, dalla retorica che li caratterizzerà, vedremo se siamo ancora rimasti con un piede nel fitto della giungla o se, seppur lentamente, ce la stiamo lasciando alle spalle.