“Ah signora! Non ci sono più le campagne elettorali di una volta”
A metà strada tra banalità e nostalgia, il luogo comune mette assieme le mezze stagioni il ricordo di quando le piazze si riempivano per i comizi, le cassette della posta rigurgitavano depliants e cartoncini con invito a votare terne o quaterne di candidati legati l’un l’altro da ipotetiche affinità elettive.
Si riparte così, in 111 comuni altoatesini, per una campagna elettorale che si vorrebbe impetuosa come la cavalcata dei purosangue al Gran Premio e che invece, more solito, andrà avanti al piccolo trotto.
Attenzione concentrata ovviamente sui due comuni maggiori, anche se è nei piccoli centri che a volte si consumano conflitti non meno efferati. Nel capoluogo sei candidati si sfidano per capire chi andrà al ballottaggio, visto che la legge dei numeri storici non fa presumere che qualcuno di essi possa sfondare il muro del 50% dei consensi al primo turno.
Sontuoso l’apparecchiarsi delle liste: ben 13 quelle presentate con 403 candidati. Viene in mente la celebre canzonetta secondo la quale “uno su mille ce la fa”. Nel caso di specie le probabilità di riuscita sono un po’ più favorevoli. A riuscire nell’intento sarà solo uno su nove tra coloro che hanno posto la firma di accettazione della candidatura.
A Merano numeri un po’ differenti ma situazione sostanzialmente analoga. 292 candidati per 36 posti a disposizione. Anche nella città del Passirio le liste sono 13 e candidati alla carica di sindaco sono cinque.
Tutta l’attenzione, sia nella tormentata fase di definizione delle squadre da mandare in campo, sia ora nella fase di avvio della campagna, pare concentrarsi sulle figure di coloro che hanno accettato di gareggiare davanti agli elettori per la poltrona di primo cittadino. Si tende a dimenticare che, per una particolarità derivante dalla natura dell’autonomia altoatesina, resa più complessa da un pasticcio legislativo compiuto trent’anni or sono, i giochi saranno pesantemente influenzati proprio dalla composizione delle assemblee che uscirà dal voto del 4 maggio.
È un ragionamento che ho fatto più volte in questo spazio ma che credo valga la pena di essere ripetuto ancora proprio mentre una fetta purtroppo sempre più esigua di cittadini aventi diritto, si aspetta di andare ad esercitare il proprio elettorato attivo.
In estrema sintesi: quando, agli albori della seconda repubblica, tutto il sistema elettorale italiano fu piegato davanti al totem del maggioritario e dell’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di province e regioni, l’ingranaggio rischiò di incepparsi in Alto Adige per la presenza di una norma statutaria che impone l’utilizzo del sistema proporzionale per garantire un’adeguata rappresentanza dei vari gruppi linguistici nelle assemblee. È uno degli elementi basilari della nuova autonomia si completa con le norme che obbligano a formare in base agli stessi criteri anche gli organi di governo. Un criterio tanto valido nel tempo che oggi una delle proposte di modifica statutaria avanzate dal centrodestra italiano è proprio quella di modificare le norme in modo da permettere una rappresentanza italiana anche in quelle amministrazioni periferiche dove oggi essa non può completarsi.
"L’utilizzo obbligatorio del proporzionale nell’elezione dei consigli con il voto diretto per i sindaci ha dato luogo al pasticcio"
Il dover mettere assieme per forza l’utilizzo obbligatorio del proporzionale nell’elezione dei consigli con il voto diretto per i sindaci ha dato luogo al pasticcio di cui si diceva. Mentre per la Provincia si è deciso molto saggiamente di lasciare tutto come stava, per i comuni il fascino di affidare direttamente ai cittadini, con un primo turno e un ballottaggio, la nomina del loro sindaco è stata più forte. Solo che il vincolo del proporzionale di cui si diceva ha impedito di dare al sindaco eletto quel bonus che altrove, a partire da Trento in giù, è parte essenziale del meccanismo maggioritario di nomina diretta del primo cittadino.
La conseguenza di tutto ciò è evidente. I candidati alla carica di sindaco fanno la loro corsa elettorale in solitaria o con l’appoggio di altre liste oltre alla propria. In caso di ballottaggio si stringono alleanze o si sottoscrivono patti di neutralità. Il problema è però che, una volta consacrato dal popolo, il sindaco deve mettere assieme un numero sufficiente di consiglieri che possano consentirgli di navigare, con una certa sicurezza, tra i gorghi e le secche della consiliatura per un quinquennio. Operazione tutt’altro che semplice come peraltro, nel 2005, scoprì a Bolzano il neo eletto Sindaco del centrodestra Giovanni Benussi il quale riuscì a indossare la fascia tricolore per poco più di un mese dopo aver battuto, anche se per soli sette voti, l’uscente Giovanni Salghetti Drioli. Aveva in tasca il voto ma non la maggioranza dei consiglieri e inutile fu il blitz di Silvio Berlusconi, sbarcato Bolzano per conquistare una più che mal disposta SVP.
Il pasticcio della legge elettorale ha anche effetti minori ma non meno sgradevoli. Chi si accorge in questi giorni dell’alto numero di schede nulle nelle ultime tornate elettorali per le comunali a Bolzano potrebbe chiederne ragione a qualche presidente di seggio e si sentirebbe dire che sono in parecchi a ignorare il divieto di voto disgiunto. Siccome, sempre in omaggio alla mistica del voto diretto, si è deciso di consentire all’elettore di votare anche solo la figura del candidato sindaco, ci sono coloro che mettono la crocetta sul personaggio preferito e sulla lista che stimano di più anche se non fa parte di quelle che lo appoggiano. E così la scheda votata è nulla.
Ci si domanda se a questo punto, nella speranza che in questa tornata la legge pasticciata non produca i suoi effetti peggiori, se non sarebbe in caso di fare, ad urne chiuse, un onesto passo indietro e di riportare anche il voto dei comuni alla coerenza con quello provinciale, regolato senza troppi problemi, dal buon vecchio sistema proporzionale.