Cronaca | Libri

Il giallo della Porsche nera

Nella collana True Crime a Nordest anche una decina di fatti di cronaca accaduti in Alto Adige. Cagnan racconta l'omicidio di un rappresentante padovano sulla statale della val d'Ega nel 1981. Un caso rimasto irrisolto.
paolo cagnan
Foto: P.C.
  • La Porsche 911 nera targata PD612957 è lì, muta testimone dell’ultima notte del suo proprietario. L’hanno abbandonata sul margine sinistro della vecchia statale della Val d’Ega, tra Ponte Nova e Nova Levante, a 150 metri dalla galleria del chilometro numero 13. Il muso guarda a monte. Le portiere sono chiuse, ma non a chiave. Mancano il deflettore e il vetro del finestrino posteriore destro. La chiave è inserita nel quadro, l’orologio è fermo alle ore 4.48. 

    Bang! 

    Il vetro centrale della portiera sinistra è completamente abbassato, il sedile anteriore è piegato in avanti. L’antifurto è inserito. Sotto il sedile anteriore sinistro c’è il bossolo di una cartuccia calibro 22. 

    Bang! 

    Dall’abitacolo sono stati rimossi i tappetini e persino la moquette. Ovunque, frammenti di vetro. Schizzi di sangue sui sedili anteriori e posteriori del lato destro, oltre che sulla carrozzeria. Mozziconi di sigaretta di uno o più estranei. Il cofano del bagagliaio, ricavato nel vano anteriore della Porsche, è ancora sollevato. La moquette è stata divelta e strappata. Proprio sotto la moquette, sul lato destro del bagagliaio, si cela un ampio ripostiglio, vuoto. 

    Cercavano qualcosa.

    Tutt’attorno al bolide, il Gran bazar dell’orrore. Un sacco a pelo, musicassette, un giubbotto di tela, un pettine, alcune agende, svariate riviste, un paio di pantaloni strappati e insanguinati, i tappetini dell’auto, il morsetto di bloccaggio della ruota di scorta. Sì, proprio la ruota di scorta, quella con i cerchi in lega. L’hanno rimossa dal suo alloggiamento, nel portabagagli. È sgonfia, altrimenti non ci entrerebbe. L’hanno controllata da cima a fondo.

    Cercavano qualcosa.

    Nella scarpata che confina con il prato c’è una giacca a vento insanguinata, e poi un altro tappetino, alcune musicassette, un portachiavi. Lorenzo De Toni è lì, a poca distanza, adagiato sopra alcuni massi sulla riva destra del torrente Ega. Indossa solo un paio di slip bianchi e due magliette, una azzurra e l’altra rossa, una sopra l’altra. Insanguinate.

  • La scheda

    Data: 5 agosto 1981

    Luogo: l’interno della Porsche 911 dove la vittima aveva deciso di trascorrere la notte. L’auto verrà ritrovata lungo la vecchia statale della Val d’Ega, tra Ponte Nova e Nova Levante

    Vittima: Lorenzo De Toni, 29 anni, padovano, rappresentante di biancheria intima femminile e navigatore di rally

    Causa del decesso: emorragia cerebrale

    Arma del delitto: una pistola automatica calibro 22

    Movente: sconosciuto. Tra le ipotesi, un omicidio a scopo di rapina, ma anche quella del recupero di un ingente quantitativo di droga nascosto da De Toni all’interno della Porsche

    Colpevole: nessuno

    Tutto questo, vale a dire la scena del delitto, è il “dopo”. È importante, perché il più delle volte aiuta a ricostruire il “prima” e il “durante”. Nel nostro caso, il “prima” parla di un uomo che ha deciso di dormire in macchina. È agosto. Fa caldo. Si spoglia, resta con gli slip e le due magliette. Abbassa il sedile anteriore destro che gli farà da letto. S’infila nel sacco a pelo, e buonanotte.

    Anche il “durante” non è poi così complicato. Lo ricostruiscono il medico legale e il perito balistico. I colpi sono due. Calibro 22, Long Rifle. La presenza di un bossolo, sotto il sedile, dice due cose. La prima è che a sparare è stata una pistola automatica. La seconda è che almeno uno dei due colpi è stato esploso dall’interno dell’auto. Ecco, allora, cosa è successo nella notte tra il 4 e il 5 agosto del 1981, in Val d’Ega o chissà dove.

    Il killer si avvicina alla Porsche 911 nera. De Toni dorme, il capo reclinato verso il bracciolo posteriore. Coricato su un fianco, il corpo guarda verso il lato destro dell’auto. Il primo colpo viene sparato dall’esterno. Il proiettile infrange il vetro e si deforma. Un suo frammento colpisce la vittima al capo, ma si ferma a livello sottocutaneo, senza provocare gravi ferite. Il vetro non c’è più. Il killer infila la mano all’interno della macchina. La mano impugna la pistola, e la pistola fa bang!, per la seconda volta. Il colpo, esploso a distanza ravvicinata, va a segno, conficcandosi nel cranio di De Toni. Il bossolo espulso dall’automatica si nasconde sotto il sedile. La vittima, però, non è morta. Lo dicono le ferite “vitali” al cuoio capelluto e le ecchimosi in varie parti del corpo. Quando è stato gettato sulla riva del torrente, l’uomo era ancora vivo. In coma irreversibile, ma non ancora morto. Questo potrebbe significare che la Porsche era parcheggiata proprio lì, ma non ha senso. Come tutto sembra non avere senso, in questa storia. 

    Un giallo in piena regola, salvo lo scioglimento finale dell’enigma. Secondo il medico legale, con quel proiettile nel cranio De Toni avrebbe potuto morire nel giro di pochi minuti, ma anche in mezz’ora. Il tempo più che sufficiente, per il killer, di uccidere la vittima in un altro luogo, salire a bordo della Porsche, mettersi al volante e con il cadavere a fianco percorrere la statale della Val d’Ega, a caccia di un posto appartato. Ma anche questo scenario sembra assurdo. 

    Allora torniamo indietro. Torniamo alla vittima. Chi è Lorenzo De Toni? È un commerciante padovano di 29 anni, con la passione per i bolidi. Da tre anni si è messo a fare il rappresentante di una ditta specializzata in biancheria intima femminile. Vive a Padova, ma è di casa nel Trentino, e in particolare in Val di Fiemme. Non è sposato, non si interessa di politica, non ha problemi di soldi. È incensurato. Un solo cruccio, un parente stretto coinvolto in storie di droga, uscito di galera appena tre giorni prima. Il tempo libero, lo dedica tutto alle corse in macchina. È un buon navigatore di rally. Ha iniziato con un grande, Sandro Munari. Quando può, partecipa alla classica Trento – Bondone, assieme a un pilota suo grande amico e comproprietario della Porsche. Lo ha fatto anche in luglio. E in luglio ha rivisto Mariella, una ragazza di Cavalese con la quale aveva avuto una storia. Questo è ciò che dice lui. Lei, invece, negherà tutto. Lo conosceva appena, non gli aveva mai dato confidenza, di relazioni sentimentali neppure a parlarne.

    Lorenzo De Toni lascia Padova verso le 10.30 del 4 agosto. In macchina troveranno un appunto scritto a mano su un taccuino: “1° agosto – Padova. Mi sono rotto le pallottole”.

     “Vado a Canazei a salutare la Mariella” , dirà alla madre, cui in passato aveva già parlato della donna. È una trasferta blitz, perché il 5 agosto deve presentarsi alla Motorizzazione civile di Mestre, per il collaudo del gancio rimorchio della Fiat 131 con cui trainerà una barca, e la barca lo porterà in Grecia per le ferie assieme ad alcuni amici. La Porsche 911 nera imbocca l’autostrada Padova – Venezia, poi la Statale 51 per Longarone, infine la Statale 251 che lo porta a Pescul, un paesino nel Comune di Selva di Cadore. Sono luoghi che De Toni conosce bene. A Pescul arriva nel primo pomeriggio. Una sua conoscente lo incontra alle 14, davanti alla fermata dell’autobus. Altre due amiche lo vedono attorno alle 16, sempre da solo. 

    All’ora di cena va a trovare un’amica di vecchia data. Cena a casa sua, poi i due si recano al bar del paese per bere qualcosa. “Sono di passaggio, vado a Canazei” , dice all’amica, ma nel frattempo si è fatto tardi. De Toni vorrebbe dormire in paese, ma i pochi alberghi sono tutti esauriti. “È tardi, resta qui da me” , lo consiglia l’amica. “Non ti preoccupare, la vita comincia a mezzanotte” , commenta lui nient’affatto preoccupato. Saluta e riparte. Sono le 22.40. La Porsche imbocca la statale 48 per il Passo Pordoi. O magari la Statale 641 per il Passo Fedaia, chi lo sa? Verso le 23.30, De Toni è a Canazei. Va alle “Streghe”, la discoteca del paese. Anche qui è di casa, o quasi. Beve qualcosa, da solo. Resta lì meno di un’ora, poi riparte. Mezz’ora dopo la mezzanotte è a Campitello di Fassa, al ristorante “La Cantinetta”. Ha fame. Ordina un calzone e una birra. È solo. Verso l’una di notte si alza. 

    “Sono stanco, vado a dormire”, dirà al figlio del proprietario. A dormire dove? Un albergo, a quanto pare, non lo cerca neppure. Nessuno, quella notte, lo ha visto alla ricerca di una camera. Forse era ormai troppo tardi, e De Toni era comunque abituato ad arrangiarsi. Non a caso, si era portato dietro il sacco a pelo. La fiammante Porsche 911 nera lo avrebbe accolto ospitale, anche per la notte. 

    Il figlio del titolare del ristorante di Campitello è l’ultimo testimone ad averlo visto ancora in vita. Qui finiscono le certezze e iniziano gli interrogativi senza risposta. De Toni si comporta come se non avesse alcun programma definito, né tantomeno un appuntamento. I suoi movimenti sembrano del tutto casuali, e quindi imprevedibili. 

    Chi lo ha ucciso, e perché? Forse bisogna partire da qualche domanda meno impegnativa. Ad esempio, dove è avvenuto l’omicidio? Il commerciante non aveva motivo per fare tutta quella strada, solo per trovare un posticino appartato dove trascorrere la notte. No, quasi certamente in Val d’Ega ce l’ha portato chi lo ha ucciso. Ma perché correre tutti quei rischi? No, non quadra. E Mariella, dove diavolo è finita? 

    Lei è un altro grosso punto interrogativo perché, interrogata dal magistrato, sosterrà di avere conosciuto occasionalmente De Toni un paio d’anni prima e di non averlo mai frequentato. “Non sapeva il mio cognome, né tantomeno il mio indirizzo. Sono uscita un paio di volte con lui, ma da allora non l’ho più visto”. Forse mente, ma per quale ragione? E comunque, se i due si sono davvero visti, quel giorno, nessuno li ha notati. Forse, Mariella era solo una scusa. Un alibi. Aveva altri motivi, De Toni, per recarsi a Canazei prima e a Campitello poi.

    I motivi, però, non si trovano. L’assassino, o gli assassini, cercavano qualcosa. Bisogna scavare nella vita e tra le pieghe della personalità della vittima. È così che salta fuori di tutto. La droga, innanzitutto. Un paio d’informatori ne sono certi: chi ha ucciso De Toni cercava un grosso quantitativo di “roba”, nascosta in macchina e destinata ai ricconi che trascorrono le ferie estive nel Trentino. Ma è solo un’ipotesi senza riscontri. Così come quella secondo cui nella Porsche, quella notte, c’erano 290 milioni, forse nascosti proprio nella ruota di scorta. Soldi che sarebbero dovuti servire per la costruzione di un albergo. Soldi sporchi, forse. E poi spunta la storia dell’omosessualità. A casa di De Toni, i carabinieri trovano riviste per cuori solitari e una corrispondenza tutta maschile con un individuo che utilizza una casella postale di Padova, la 286. 

    Ma ancora non è finita, perché il custode di una baita situata a poca distanza dal luogo del ritrovamento della Porsche, in Val d’Ega, racconta un’altra storia che merita attenzione. Verso le dieci di quella sera, la sera del 4 agosto, guardando fuori dalla finestra della sua casupola adibita alla vendita di souvenir vede arrivare un’auto. L’autista ispeziona la zona, poi si ferma sul ponticello che scavalca il torrente. Ne escono due tizi, aprono il bagagliaio e gettano qualcosa nel torrente. Qualcosa di grosso, “un vistoso involucro”. Quindi, risalgono in macchina e si allontanano veloci, a fari spenti. Nel torrente non si è trovato nulla, né la pistola né tantomeno quell’involucro. Ma la corrente è vorticosa, spazza e trascina via.

    Tanti sospetti, nessuna pista concreta. E allora bisogna tornare al movente. Forse, bisogna ridimensionare il tutto e ipotizzare una banale rapina sfociata in tragedia. Dopotutto, la rapina è stata commessa. È sparito l’orologio Seiko che De Toni portava al polso. È sparito anche il suo portafogli, ed è sparita l’autoradio. Forse, chi ha sparato voleva far credere proprio questo: un omicidio a scopo di rapina. Ma un ladro non uccide a freddo come un killer professionista. No, ancora una volta non quadra. Eppure, quasi cinque anni dopo, i carabinieri crederanno di aver trovato la soluzione. È il 30 aprile del 1986, quando un fonogramma (all’epoca era una comunicazione telegrafica trasmessa per telefono) alla questura comunica i sospetti su due pregiudicati, entrambi in carcere. L’ipotesi è quella del delitto di due balordi a caccia di soldi. Ci sarebbero alcune lettere scritte da uno dei due, a confermare la pista. Poi, però, l’indagine si arena, veloce così come era nata, dalla polvere del fascicolo ormai archiviato. È un’altra pista che porta verso il nulla. E allora non resta che arrendersi. Il delitto della Porsche 911 nera resta un intricato mistero a più facce. 

    Sì, cercavano qualcosa.

    Ma cosa, dannazione, cosa?

  • L'autore e i libri

    (*) Paolo Cagnan, giornalista bolzanino, è vicedirettore di Nem con delega al digitale e uno degli autori degli episodi della della collana "True crime a Nordest", edita da Nord Est Multimedia (NEM) in sinergia con Editoriale Programma. Si tratta di una corposa antologia di fatti di cronaca nera che spazia dal Veneto al Friuli Venezia Giulia sino al Trentino-Alto Adige. Il primo di cinque volumi è già in edicola da sabato 20 settembre, gli altri usciranno con cadenza quindicinale, fino a metà novembre, con diffusione iniziale in edicole e successivo allargamento alle librerie.