Politica | Amici sudtirolesi

La doppia cittadinanza

Un augurio fraterno ed una riflessione da parte dello scrittore Roberto Masiero
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

Amici fraterni sudtirolesi,

si stanno avvicinando le Feste e desidero farvi un augurio e offrirvi una riflessione. Sono stato sollecitato dalle notizie di questi ultimi giorni che sollevano il tema della cosiddetta doppia cittadinanza, proposta dal nuovo governo austriaco. Sono convinto che potrete ascoltare le mie parole senza pensare che siano strumentali. Infatti, mi pregio di essere, attraverso il mio romanzo La strana distanza dei nostri abbracci (2013) il primo scrittore di lingua italiana che abbia messo in chiaro in una narrazione le profonde ragioni storiche del popolo sudtirolese di lingua tedesca. L’ho fatto senza accenni sfumati, in una forma che da questo punto di vista appare quasi didattica, ad evitare fraintendimenti. Per ragioni personali da moltissimi anni vivo nel Veneto.  Nacqui e conobbi Bolzano ai tempi in cui assomigliava ad una città-ghetto. Come tutti ero nella condizione imbarazzante di vivere un clima assurdo, livoroso come quello che si respira in certe famiglie di separati in casa. Nel Veneto ho invece assistito al rinascere delle motivazioni immaginifiche, per reclamare il risorgimento di una specie di nuova Repubblica Veneta, orfana dei fasti millenari della Serenissima e abbattuta dall’impero francese di Bonaparte. Per piegare la storia agli interessi di partito, il glorioso simbolo, la bandiera col leone di San Marco rossa ed oro, è stata espropriata al patrimonio comune, così come è avvenuto per il meraviglioso inno verdiano Va, pensiero. Così i simboli, innocui di per se stessi, se capitano in mani opportuniste, hanno un potere quasi esoterico di evocazione.

Sulle pagine dei giornali corrono le notizie del cosiddetto passaporto austriaco per i cittadini sudtirolesi. Questo annuncio ha sollevato un vespaio di polemiche, anche fuori dalla regione, e alimenta i pregiudizi duri a morire e le ubbie, rispetto ad una condizione considerata privilegiata dei cittadini sudtirolesi/altoatesini. Così riaffiorano gli episodi stantii di turisti italiani a suo tempo maltrattati, di tasse che restano lassù, mentre il resto d’Italia soffre: tutti luoghi comuni che la pancia del popolo ama, così come adora le semplificazioni alle questioni complesse e i suoi tribuni parolai che hanno le risposte immediate in tasca. Ho avuto molte occasioni di battermi per difendere le ragioni sacrosante che hanno fatto del Sudtirolo un modello. Nel mio sentimento, questo risultato ha alcuni capisaldi: dopo che la Storia cattiva si è accanita contro le popolazioni tedesche sudtirolesi, è avvenuto non un miracolo (che i miracoli discendono dal Cielo senza merito), ma è stato realizzato un progetto politico mirabile. I tedeschi hanno saputo accettare un compromesso e lo stato italiano non ha lesinato di riconoscerlo, sancito nella propria Costituzione. Oggi, dal mio osservatorio esterno, il Sudtirolo appare non dico come una terra promessa, ma un laboratorio da cui escono continuamente prodotti nuovi (qui intendo anche quelli intellettuali), per il bene della comunità. Il benessere è frutto di lavoro, in una situazione di pacifica convivenza che ha saputo sfruttare le opportunità, che ha fatto dei propri handicap la base di partenza per esplorare un territorio fruttuoso.  Senza evocare quella brutta parola che va sotto il nome di integrazione, è stato possibile, nella provincia di Bolzano, realizzare una benedetta forma di alterità inclusiva reciproca, così la chiamerebbe con un bel termine il prof. Stefano Brugnolo, e che concretizza alcune aspettative del compianto Alex Langer. Conosco diverse persone, italiani per sangue e tradizione, che a Bolzano votano per la SVP, per un riconoscimento di buona amministrazione: mai si sarebbe realizzata questa meraviglia, se la politica fosse stata quella dei muri e dei distinguo. Il filosofo Cioran ha affermato che la Patria è la lingua che si abita. Dunque in Sudtirolo questa potenzialità è stata pienamente realizzata. Non solo: morti e sepolti i padri, con le loro ruggini e le ideologie frenanti, i giovani nuotano agevolmente in un mare di perfetto bilinguismo ed anzi apprezzano la tutela, opposta all’invasione esterna per la nota carenza di lavoro, da parte di lavoratori che non siano in possesso del patentino. Se dunque, da un punto di vista astratto, il riconoscimento di una doppia cittadinanza è plausibile e senza conseguenze, sul piano pratico rischia di aprire ad una serie interminabile di cause: nei rapporti tra stati, nei rapporti tra cittadini. Chi sarebbero gli aventi diritto? Per sangue, per cognome, per appartenenza storica, per data, eccetera? E i mistilingue? In questa ridda di interessi e di pseudo valori, a perdere è soprattutto la democrazia. Stiamo vivendo, in Europa, una brutta situazione, quasi che essa fosse il mostro di Frankenstein ed ognuno pretendesse di riprendersi indietro un pezzo. Così, proprio fisicamente, sorgono barriere contro una fantomatica espropriazione di identità (i poveri migranti), così i partiti nazionalisti reclamano con forza il diritto di scartare dal binario (mi riferisco ai paesi dell’est) salvo aver prima fatto la corte per entrare in quest’Europa ricca e oggi messa in discussione. Il Sudtirolo, in nuce, ha realizzato quanto decenni di congressi e di leggi non ha saputo amalgamare Bruxelles. Ritengo dunque che, se si dovesse condurre una battaglia sacrosanta, questa dovrebbe riguardare l’ottenimento di uno status di europei, in un sistema che riprenda a parlare di valori condivisi e non solo di finanza, economia e di migrazioni.

Per tutto questo, la proposta di questa doppia cittadinanza mi pare in questo momento un’esca, da parte di un piccolo paese verso una comunità ancora più minuta. Credo che il Sudtirolo, per i propri meriti, dovrebbe ambire a ben altro risultato che non quello di avallare le proposte di una destra estrema. Visto che è abituale richiamarsi alla storia e alla memoria è bene ricordare che né il fascismo e tanto meno il nazismo hanno tutelato le popolazioni sudtirolesi nel momento più critico, anzi hanno rappresentato un esempio di pericolosa ristrettezza anche morale e, visto che stiamo parlando di un’epoca di “ismi”, anche di affarismo. Nessuno ha il diritto di disconoscere le ragioni storiche dei sudtirolesi, ma nella sostanza più che nei modi.

Auguro dunque saggezza anche agli amministratori che hanno l’obbligo di ben consigliare e di ponderare le scelte. A volte, per non perdere i voti, inseguendo la piazza, si può perdere il senso del vero bene comune

                                                                                                              Roberto Masiero