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Supereroine

In dialogo con un'operatrice del Centro D’Ascolto Antiviolenza.
centro di ascolto antiviolenza donne
Foto: (c) pixabay

A volte vivo l’attivismo femminista come molto frustrante… Ci impiego buona parte della mia vita, ma i risultati sono difficilmente misurabili e meno visibili della montagna di cose che invece restano da fare. Quando la frustrazione è alle stelle, cerco il dialogo con le operatrici del Centro D’Ascolto Antiviolenza (CAV). Sono quelle supereroine che stanno “in prima linea” giorno per giorno ascoltando le tante donne in situazioni di violenza e offrendo loro sostegno*. Traggo ispirazione dalla grande forza e dalle risorse che mettono in atto le donne nella fuoriuscita da una relazione violenta, e ho quindi pensato di regalare a tuttə noi un’intervista con un’operatrice CAV:

Come definiresti il tuo lavoro e la tua relazione d’aiuto con le donne?
Essere operatrice CAV mi dà la possibilità di fare qualcosa di concreto contro un fenomeno che sento profondamente ingiusto. Posso essere lo strumento a disposizione delle donne che desiderano coglierlo e posso scoprire con loro la forza che portano dentro e che porta anche me a riflettere sulla mia vita. Posso contribuire a un cambiamento culturale lavorando in un ambiente femminista e caratterizzato dalla solidarietà femminile.

I percorsi di fuoriuscita riescono?
Nella mia esperienza vedo che le situazioni di violenza, che siano di donne italiane, sudtirolesi, dell’Est o Africa, hanno tutte la stessa dinamica condita con l’individualità della loro storia. I percorsi di fuoriuscita che intraprendono, le risorse che attivano sono invece molto diversi da una donna all’altra. Spesso sono percorsi sorprendenti. E anche chi rientra nella situazione di violenza, lo fa con strumenti in più per vivere nella relazione oppure per uscirne in un secondo momento. Non vivo questo come fallimento della donna e nemmeno del mio lavoro. Riprovarci e credere nelle promesse di cambiamento del violento è naturale e a volte necessario. Bisogna andare oltre la propria frustrazione, rispettare il desiderio delle donne, tenere la porta aperta e soprattutto non giudicare.

Cosa fa la differenza per una donna che vive in una relazione violenta?
Sono variabili su più piani. Da un lato l’autoconsapevolezza e la sicurezza in se stessa, più si rafforza più diventa concreta la scelta di una vita libera. L’altro piano è quello del sostentamento, dell’accesso a risorse esterne (lavoro, casa, rete sociale) per uscire da una situazione di dipendenza. L’insieme di questi fattori oltre a un accompagnamento professionale permettono la fuoriuscita da una relazione violenta.

Tu svolgi questo lavoro da oltre 20 anni, ci sono cose o situazioni che ti hanno colpito in modo particolare?
Mi è rimasta nel cuore per la sua immensa forza una delle prime donne che ho accompagnato: una donna che raccontava terribili violenze normalizzate nella sua cultura d’appartenenza. Nel percorso psicosociale abbiamo lavorato molto su cosa si può accettare e cosa no. Questo, assieme all’incontro con le altre donne nella Casa Delle Donne e alle amicizie che ne sono nate, assieme alla sua grande determinazione nel non voler esporre i figli alla violenza, assieme anche agli strumenti legislativi messi in atto, perché il violento desistesse… ecco, tutto questo le ha permesso di spiccare il volo e lasciare che la violenza vissuta diventasse solo una parentesi della sua vita passata.

Mi ricordo poi una ragazza giovanissima scappata con suo figlio da una relazione caratterizzata da violenza economica, fisica, sessuale e emotiva da parte del compagno. Si nascondeva sempre, nei vestiti, in un angolo, a testa bassa. Ad un certo punto del percorso, mossa dal desiderio di credere alle sue promesse, è tornata con il suo maltrattante. Qualche tempo dopo, pur avendone bisogno, si vergognava tanto a tornare al CAV. L’abbiamo rassicurata e accolta. Quando è tornata nella Casa Delle Donne era incredula che non ci fossero sguardi giudicanti e rimproveri, e di trovare invece ascolto e non-giudizio. La ragazza ha finito il percorso, trovato un lavoro e con lui non è più tornata. Dopo qualche anno, è passata al centro per dirci che ora sta bene.

Penso molto anche ad una donna proveniente da una zona rurale, un maso perso nel nulla. Mi ricordo che chiedeva quando avrebbero portato il latte fresco la mattina. Lei prima viveva in completo isolamento sociale ed erano evidenti le difficoltà di concepirsi in un ambiente in cui tu non hai mai vissuto e nemmeno tuo figlio. La difficoltà di doversi sradicare e reinventare per essere al sicuro. È stato possibile farlo solo attraverso la comprensione del fatto che le cose che succedevano ed erano successe anche a sua madre erano profondamente ingiuste e non si potevano accettare e che era possibile interrompere il ciclo vizioso anche per dare una alternativa al proprio figlio.

Recentemente una donna sola accolta nella Casa Delle Donne ha espresso il desiderio di essere accompagnato in sala parto… Mi trasmette tuttora molta gratitudine per esserci stata, quando in realtà dovrei ringraziarla io per aver condiviso questo momento così emozionante e intimo.

Una giovane donna in particolare mi ha colpito per la sua curiosità, la sua determinazione. Mi ricordo che girava in casa con un quaderno su cui annotare le parole nuove. La sua tenacia le ha permesso di raggiungere il suo obiettivo di una vita autonoma e indipendente, nonostante fosse arrivata fortemente traumatizzata e con niente se non i vestiti addosso. Concluso il nostro percorso, mi ha regalato un rossetto rosso fuoco come simbolo della libertà conquistata.

Sono tante storie uniche, ma ognuna di queste donne, prima vittime, ne è uscita rafforzata! Il percorso con il CAV può fare la differenza nella vita di una donna.

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Vorrei tanto comunicare la dimensione umana e accessibile del CAV. Non è un’entità astratta o un servizio sterile. Ci lavorano donne che hanno un’attenzione particolare a bassa soglia. Per contattarci basta poco. Il mio è un invito ad usare questo strumento gratuito e anonimo anche solo al minimo dubbio.