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Un Accordino per favore

Breve storia delle illusioni e delle amarezze della collaborazione euroregionale, dal De Gasperi - Gruber ai giorni nostri.

Tra qualche mese, quando, senza esagerare come sempre, a Bolzano verranno celebrati i settant'anni dell'accordo de Gasperi-Gruber, c'è da star certi che passerà sotto silenzio, come sempre è avvenuto, uno degli aspetti particolari e interessanti di quell'intesa. L'articolo tre, comma d del documento siglato nel settembre del 1946 a Parigi prevede quanto segue: "Il Governo italiano, allo scopo di stabilire relazioni di buon vicinato tra l’Austria e l’Italia, s’impegna, dopo essersi consultato con il Governo austriaco, ed entro un anno dalla firma del presente Trattato [...]a concludere accordi speciali tendenti a facilitare un più esteso traffico di frontiera e scambi locali di determinati quantitativi di prodotti e di merci tipiche tra l’Austria e l’Italia".
Di anni, in realtà, ce ne vollero quasi tre, ma, il 12 maggio del 1949, a Roma, fu siglato, tra Austria e Italia un trattato mirante a garantire il traffico agevolato (dal punto di vista dei dazi doganali) di merci tra il Trentino Alto Adige da un lato e i länder austriaci del Tirolo e del Vorarlberg dall'altro. Per distinguerlo dall'accordo principale, quello da cui aveva preso origine, usarono un diminutivo. Nasceva quel giorno l'Accordino. Per diversi decenni l'intesa ha funzionato sul piano concreto. Si è trattato di una tra le poche previsioni del de Gasperi-Gruber che non abbia dato luogo a conflitti di interpretazione e recriminazioni. È stato indubbiamente uno strumento pratico che, pur senza sopravvalutarne l'importanza, è servito ad aiutare la ripresa economica di regioni come quelle alpine uscite impoverite dal grande conflitto mondiale. Con il passare degli anni il valore operativo concreto dell'intesa è andato poi perdendosi nel quadro di un'Europa nella quale progressivamente le barriere doganali degli Stati venivano demolite sino a sparire definitivamente con la nascita dell'Unione e con l'ingresso dell'Austria nei suoi confini.

Quello che resta immutato è invece il principio politico che stava alla base di quella parte dell'accordo di Parigi. L'intuizione che alla scelta di fondo di risolvere un contenzioso radicale tra le due nazioni assicurando, attraverso un'ampia autonomia, garanzia di sopravvivenza alle minoranze linguistiche esistenti in Alto Adige, dovesse essere affiancato anche l'impegno a costruire strumenti di integrazione economica, di collaborazione, di rinascita di quel tessuto di scambi di uomini e di merci che ha costituito per secoli e secoli la principale ricchezza delle terre alpine. Un'intuizione basilare secondo la quale più i valichi attraverso le montagne e i confini divenivano luoghi di scambio, più si sarebbero poste le premesse per il superamento di antiche inimicizie e di consolidate divisioni.

Poi, mentre l'Accordino perdeva via via la sua ragione di esistere economica, il tema chiave della collaborazione transfrontaliera veniva tradotto in  nuove iniziative di più ampio respiro politico. Il 12 ottobre 1972 a Mösern, nel Tirolo del nord, venne fondata l'Arge Alp, comunità delle regioni alpine cui aderirono oltre a Trentino, Alto Adige e Tirolo, anche la Lombardia, il Canton Ticino, la Baviera, il cantone svizzero dei Grigioni, il Vorarlberg il Land di Salisburgo. Per qualche anno allo sviluppo del nuovo soggetto politico venne riservata, in qualche ambiente, un'attenzione quasi spasmodica, con l'intenzione dichiarata di farne una pietra miliare su cui costruire quell'Europa delle regioni che avrebbe dovuto e potuto contrapporsi a quella degli Stati. Poi anche la comunità di lavoro delle regioni alpine, nel frattempo affiancata da altre esperienze consimili maturate ad esempio sul versante orientale della catena alpina, parve rientrare nell'alveo di un progetto più legato ai problemi locali, alla speranza di poter far sentire una voce comune quando fossero toccate questioni di particolare importanza per le popolazioni conviventi sui due versanti delle Alpi centrali. Che anche questa fosse una pia illusione lo si constatò alla fine degli anni 80, quando, per venire incontro ad una sorta di ribellione popolare contro gli effetti del traffico pesante nella valle dell'Inn, il governo austriaco, sulla base di una forte spinta da parte delle autorità tirolesi decise di introdurre il divieto di transito notturno per gli automezzi pesanti. Era il momento di dimostrare che L'Arge Alp poteva essere qualcosa di più di un club di governatori che si radunavano un paio di volte l'anno per discutere di innocui progetti di collaborazione. Lo scontro finale ebbe luogo nella località turistica bavarese di Garmisch, alla fine del mese di settembre del 1989. L'ipotesi di trovare un terreno comune di intesa naufragò ben presto sotto le bordate degli esponenti della Baviera, che chiarirono in maniera netta di aver tutta l'intenzione di dichiarare una pesante guerra economica ai tirolesi, mentre anche le armate degli autotrasportatori italiani si preparavano a marciare sul Brennero in segno di protesta.

Mentre in questo modo l'Arge Alp veniva ridotta a misura della propria impotenza, nel firmamento della collaborazione transfrontaliera saliva rapidamente un nuovo astro: l'Euroregione tirolese, per gli amici Euregio. Fu, nei primi anni, un decollo scoppiettante accompagnato tra l'altro dalla dichiarata ostilità di molti esponenti del centrodestra altoatesino di lingua italiana e di qualche rappresentante governativo, tutti pronti a gridare allo scandalo, di fronte a un progetto politico che pareva loro indirizzato chiaramente verso un'ipotesi di secessione dallo Stato italiano o quanto meno di costituzione di una sorta di staterello semi indipendente, piazzato di traverso alla catena alpina, come ai tempi di Mainardo del Tirolo. Fu, quello dei primi anni, un fuoco di paglia, alimentato più dalle dichiarazioni di qualche esponente politico in cerca di notorietà che da  dati concreti. L'Euregio è sopravvissuta a se stessa, in questi decenni, cambiando spesso volto, apparendo e scomparendo a seconda delle necessità e delle mode del tempo. È stata utile, ad esempio, a superare gli iniziali veti governativi nei confronti dell'apertura di uffici di rappresentanza regionali presso l'Unione europea, ma in effetti la realtà ha dimostrato che dividere da buoni coinquilini l'affitto di una casa non significa necessariamente metter su famiglia. Tra polemiche, rilanci e delusioni il progetto, sostenuto in qualche modo anche dalle periodiche riunioni tra i consigli provinciali delle tre realtà interessate, approda dunque alla grande crisi dei giorni nostri.
 L'emergenza provocata dall'afflusso dei migranti in fuga da guerre e carestie ha messo definitivamente in luce la pochezza concreta di tutti retorici appelli alla collaborazione transfrontaliera. Suona beffardo e paradossale l'annuncio di questi giorni dell'introduzione di una sorta di carta-sconto euroregionale, con la quale le famiglie delle nostre regioni potranno divagarsi a prezzi d'occasione, sempre che abbiano voglia di passare un paio d'ore in coda al confine del Brennero, ben munito di filo spinato e cavalli di frisia, come nei tempi peggiori dei conflitti italo germanici. Lo svolgersi della vicenda, d'altronde, ha lasciato ben pochi dubbi in proposito. A parte l'orrendo sgarbo del governo austriaco, capace di informare con mesi di anticipo delle proprie intenzioni di chiudere i confini anche l'ultimo burocrate europeo, ma stranamente dimentico di farne un cenno ai fratelli separati di Bolzano, c'è l'atteggiamento delle autorità nord tirolesi. Il capitano Platter, è vero, ha partecipato con l'espressione afflitta al pellegrinaggio dei suoi colleghi Kompatscher e Rossi a Roma e Vienna, ma pochi giorni fa ha chiarito inequivocabilmente il suo pensiero, affermando in un'intervista che "al Brennero non si passa" e iscrivendosi così, a buon diritto, nel registro storico delle frasi inutili e retoriche assieme, tra l'altro, al Mussolini  di "al Brennero ci siamo e ci resteremo".

La situazione, a questo punto, è assai brutta, non solo per i prossimi sviluppi concreti, ma soprattutto perché pare si sia definitivamente perso quello spirito che invece, in condizioni storiche, economiche e politiche infinitamente peggiori, riuscì a ispirare, in un giorno di settembre del 1946 a Parigi, un'intesa basata sulla convinzione profonda che non ci sarebbe stata pace, non ci sarebbe stato sviluppo sociale ed economico delle nostre terre se le valli che la natura ha scavato attraverso la grande catena alpina non fossero divenute, come erano state per secoli, liberi percorsi di scambio di merci, ma anche di uomini e di idee.