Laura Antonelli, in morte di una icona
Quando un uomo, o come in questo caso una donna, muore, dire che è “morta una icona” appare abbastanza stupido. A morire sono le persone, fragili congegni biologici, e se durante la loro vita hanno avuto la ventura (o anche la sventura, come non sarebbe difficile dimostrare) di assurgere al grado di “icona”, quest'ultima non muore, al contrario rifulge ancor di più nella sua fatua essenza di cosa sottratta all'usura del tempo.
Il discorso però qui potrebbe farsi crudele, giacché le icone della bellezza femminile sembrano suscitare inevitabilmente il confronto tra "ciò che è stato" e la condizione postuma, esibendo il disfacimento della bellezza un tempo celebrata. A fare le spese di un tale confronto sono in primo luogo le donne protagoniste, e vengono in mente così tanti esempi da costituire quasi un genere letterario. Successivamente, anche noi giochiamo, ancorché a distanza di sicurezza (il che non esclude una piccola dose di cinismo), con il ruolo della vittima, considerandoci amanti sopravvissuti allo scempio. Senza alcun merito, intingiamo così qualche ricordo clandestino nel pozzo profondo degli anni e peschiamo, salvandoli, bagliori lontani.
Laura Antonelli è stata senza dubbio una delle principali “icone femminili” - “icone della bellezza femminile” - degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta. Era l'epoca di un genere cinematografico chiamato “commedia erotica” o anche “commedia sexy all'italiana”. L'impatto sulla generazione di di quel periodo non è da sottovalutare per quanto riguarda una decisiva variante del costume (o anche della “scostumatezza”) nazionale. Ne possiamo oggi persino rammentare la vena poetica, mediante il riconoscimento che si tributa agli antesignani di qualcosa che poi degenerò quasi subito in conclamata volgarità. Ecco spiegato lo status di “cult”, o addirittura di “classico”. A Laura Antonelli bastò in pratica un solo gesto, quello di slacciarsi (o allacciarsi?) opportunamente il reggicalze nei fotogrammi del film “Malizia”, per imprimersi nella mente dei suoi grati spettatori di sesso maschile. Non sono in molte a poter vantare un tale primato.
Piccola aggiunta postuma. Dopo aver letto questo articolo di Loredana Lipperini mi è venuto il dubbio di aver dimenticato di dire l'essenziale (o di essere comunque finito nella rete dell'inessenziale, già a partire dal titolo e in generale nell'impostazione del pezzo). E' vero, svolta la pratica dell'icona, quel che sarebbe stato importante dire è che nessun essere umano dovrebbe “finire” com'è finita Laura Antonelli: ricordata da pochi fino a l'altro ieri e morta in condizioni di estrema solitudine. Per riparare, se fosse possibile farlo, non mi vengono in mente altre parole che quelle di Paolo Conte, in un brano doloroso e davvero lacerante. Ascoltiamolo, o riascoltiamolo, pensando a lei.