Società | la storia

Un po' di luce sulle trame oscure

Morando oggi a Bolzano presenta il libro su Vinciguerra e la strage di Peteano. Un capitolo sulle bombe in Regione ricorda l'incredibile vicenda del bolzanino Fabbrini.
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Foto: Wikipedia

La sera del 31 maggio 1972 una telefonata anonima ai carabinieri di Gorizia segnala la presenza a Peteano di una Fiat 500 abbandonata a bordo strada. All’apertura del cofano esplode una bomba, uccidendo i tre carabinieri arrivati sul posto e ferendone un quarto. Un sanguinoso attacco premeditato contro le forze dell'ordine va considerato un fatto raro anche in quella lunga scia di stragi e attentati che Sergio Zavoli ha ribattezzato la "notte della Repubblica". Un crimine compiuto, come molti altri, da terroristi neofascisti con la complicità di esponenti di spicco delle Forze dell'ordine e dei servizi segreti per gettare discredito sulla sinistra (extraparlamentare). E' appena uscito un libro che aiuta a gettare un po' di luce in quel periodo buio. Si intitola "L’ergastolano, la strage di Peteano e l'enigma Vinciguerra"  (Laterza), e lo ha scritto il giornalista trentino Paolo Morando. Il volume verrà presentato oggi al museo civico di Bolzano (ore 18) su iniziativa dell'Anpi. Chiamato a dialogare con l'autore, Gabriele Di Luca, columnist di Salto.bz. (Breve inciso: in un capitolo dedicato alle bombe scoppiate a Trento nei primi anni Settanta, Morando rievoca un fatto poco noto che nel 1973 vide coinvolto, suo malgrado, "l'estremista di sinistra"  bolzanino, Paolo Fabbrini, rientrato da dieci anni nel capoluogo dopo una "seconda vita" vissuta in Spagna. La sua storia, raccontata da lui, sarà oggetto di un secondo articolo).

A un osservatore esterno sembrerà curioso che concetti come "stragi di Stato" o "strategia della tensione" siano ormai metabolizzati e indignino una ristrettissima minoranza. Le cronache dei recenti processi, come quello per la strage di Bologna, sono ormai buone per la settima-ottava pagina dei quotidiani. Del resto si parla di fatti di una gravità impossibile anche da immaginare in una repubblica democratica, quasi si trattasse di letteratura fantasy di pessimo livello. Leggere il libro Morando è, dunque, un’esperienza che mette a dura prova il sistema nervoso - si fa per dire - ma fa anche tirare un sospiro di sollievo. Vedersi spiattellate davanti verità documentate sulle innumerevoli collusioni tra esponenti della destra e apparati dello Stato o sui maldestri tentativi di depistaggio con la complicità di autorevoli testate giornalistiche, fa veramente infuriare. Quasi lo senti nella testa il “tintinnar di sciabole” e realizzi che per certi versi è un po’ un miracolo se in Italia si svolgono ancora libere elezioni.

Di tutte le stragi fasciste, Peteano è la più singolare per la presenza di un reo confesso: Vincenzo Vinciguerra di Ordine Nuovo. La sua ‘assunzione di responsabilità’ - si legge nella sinossi del libro - arriva solo nel 1984, dopo indagini svolte prima in direzione di Lotta Continua, poi verso un gruppo di goriziani, assolti dopo oltre un anno di carcere. In seguito si scopre che alti ufficiali dell’Arma (ma la polizia non fu da meno) hanno protetto i neofascisti che avevano ucciso tre loro commilitoni. Anche il segretario del Msi, Giorgio Almirante, viene rinviato a giudizio per favoreggiamento e sfugge al processo solo grazie a un’amnistia. Oggi Vinciguerra continua a dichiararsi combattente contro lo Stato e non ha mai usufruito di alcun permesso. Con la solita grande precisione e capacità di tenere il filo svolgendo una trama con decine di nomi e avvenimenti collegati fra loro, il libro di Morando fa luce sugli aspetti ancora in ombra della strage e sullo stesso Vinciguerra, che l'autore ha intervistato in carcere.

Che cosa c’entra in tutto questo il Trentino Alto Adige? Un capitolo del libro è dedicato, come si diceva, alle bombe esplose a Trento a partire dal 1970.

 

“Senza rifare la storia di un’esperienza effettivamente unica – scrive Morando -  qui va solo detto che la presenza di tanti studenti di sinistra, arrivati a Trento da tutta Italia per frequentare Sociologia, non poteva non trasformare a fondo la città e i suoi fin lì sonnolenti equilibri. E così Trento si ritrovò in seno pure una sezione di Avanguardia Nazionale tra le più turbolente d’Italia, guidata da un grande amico di Freda: Cristano de Eccher, che tanti anni dopo sarà prima consigliere regionale e poi addirittura senatore di Alleanza Nazionale”. Morando racconta poi di una serie di attentati e pestaggi (con protagonista l’avanguardista De Eccher) per arrivare a un episodio piuttosto noto ma che va però ricordato.

Mitolo alla gogna

“È il 30 luglio 1970  – scrive Morando - quando allo stabilimento della Ignis, che ha aperto appena due mesi e mezzo prima e in cui sono impiegati 600 operai trentini, i lavoratori (ampiamente sindacalizzati) si organizzano per impedire lo svolgimento di un’assemblea della Cisnal. Alla fabbrica convergono allora militanti missini e di Avanguardia Nazionale provenienti anche da Bolzano e Verona: ne nasce un parapiglia che presto degenera e tre operai, di sinistra, vengono accoltellati. Proprio mentre i camerati si danno alla fuga, ai cancelli della fabbrica arrivano il consigliere regionale del Msi Andrea Mitolo, leader della destra a Bolzano, avvocato e soprattutto ex repubblichino, e il dirigente locale René Preve Ceccon, chiamati da Gastone Del Piccolo della Cisnal. Preve Ceccon si rifugia in un’auto della polizia, che assiste a tutto senza intervenire, anche all’esplosione di un paio di bombe carta scagliate dagli avanguardisti contro gli operai, assaliti pure a colpi di bastone, catene e sassi. Mitolo e Del Piccolo vengono quindi circondati dai lavoratori e nella borsa del secondo vengono trovati un’ascia e il passaporto. Ciò che avvenne poi, è qualcosa che mai si era ancora visto e mai più si vedrà, al punto di ispirare al Canzoniere Pisano del Proletariato una allora popolarissima canzone di lotta: appunto Trenta luglio alla Ignis".

 

La Ignis del commendator Giovanni Borghi, industriale di successo come pochi ma anche campione dell’imprenditoria più reazionaria nelle relazioni sindacali, sta una decina di chilometri a nord della città, nell’allora piccola zona industriale. Da lì, Mitolo e Del Piccolo vengono costretti a sfilare fino a Trento sotto la pioggia battente, una gogna tra insulti, sputi e percosse, con le mani dietro alla nuca e, al collo, cartelli con le scritte "Siamo fascisti. Oggi abbiamo accoltellato 3 operai Ignis. è la nostra politica pro operai". Sono in 400 a seguirli, tra operai e studenti, Questa pure loro accorsi alla Ignis appena saputo degli scontri. E a seguirli c’è anche la polizia, che continua a non intervenire, quasi “scortando” il corteo. (…) E così, quando il corteo ormai è arrivato in città, i due seque[1]strati vengono consegnati nelle mani di un brigadiere. Il giorno dopo è il finimondo. A Trento piomba lo stato maggiore nazionale del Msi, Almirante in testa, per chiedere la rimozione immediata del questore. La ottiene: a comandare la polizia trentina viene nominato subito Leonardo Musumeci”. E a dirigere i carabinieri arriva il tenente colonnello Santoro.

La borsa davanti al Tribunale

Il bollettino di guerra delle “turbolenze politiche” a Trento continua e nella ricostruzione di Morando si arriva a martedì 19 gennaio 1971. Quel giorno, in Tribunale, si deve tenere un processo a due esponenti della sinistra. “Quella mattina, davanti al palazzo di giustizia, è attesa una ulteriore imponente manifestazione di studenti e operai. All’ultimo momento però il processo viene rinviato. E salta anche la manifestazione. Se così non fosse av]venuto, quella mattina del 19 gennaio, nei giardinetti di fronte all’edificio, sarebbe potuta avvenire una carneficina. Lì infatti, la sera prima, qualcuno aveva collocato nelle aiuole una sacca con all’interno un ordigno, pronto a esplodere appena qualcuno avesse smosso la borsa. Dunque non un attentato dimostrativo, bensì una strage. La bomba viene poi disinnescata: la polizia infatti interviene verso le 22.30, transenna la zona, viene chiamato un artificiere dei carabinieri di Bolzano, l’ordigno viene fatto brillare in sicurezza. Giorni dopo Teonesto Cerri, perito balistico del Tribunale di Milano chiamato a repertare i resti della bomba, dirà di non avere mai visto prima nulla di così potenzialmente devastante”.

A prendere nota della sua preoccupazione era però un militante di Lc, Bruno Silvestri, che subito ne parlò con Alexander Langer, allora pure militare a Cuneo

Il giornale Lotta continua un anno dopo fa uno scoop ovviamente non ripreso dalla stampa “istituzionale”. “Sul numero di martedì 7 novembre 1972, il titolone in prima pagina su due righe era «Trento – 18 gennaio ’71: la polizia organizza un attentato destinato a fare un massacro!». E all’interno, a proposito del rinvenimento apparentemente fortuito dell’ordigno quella sera da parte della polizia, si scriveva che si sarebbe parlato di una segnalazione anonima alla questura.

La segnalazione era arrivata da un militare di leva negli alpini a Cuneo, aveva raccontato a un commilitone di essere in qualche modo coinvolto nei meccanismi della strategia della tensione e di temere di essere eliminato per aver compiuto due attentati a Trento. Lo aveva costretto a farlo un funzionario di polizia che lo ricattava, diceva. A prendere nota della sua preoccupazione era però un militante di Lc, Bruno Silvestri, che subito ne parlò con Alexander Langer, allora pure militare di leva a Cuneo e anni dopo direttore proprio di “Lotta Continua”. Sì, proprio Alexander Langer. E tutte queste notizie sono state confermate in vari processi.

Le accuse a Fabbrini

Dopo un paragrafo assolutamente da leggere che riguarda l’ex senatore di Alleanza nazionale trentino, Cristiano De Eccher e il misterioso ritrovamento nella sua casa di 78 pile raccolte "per i suoi hobby", si arriva anche alla vicenda che ha investito in pieno, cambiandone la vita, Paolo Fabbrini. Il bolzanino fu infatti vittima – uno fra molti capri espiatori, alcuni dei quali volavano accidentalmente dalle finestre - di una delle trame oscure dell'epoca. E quando la sua vicenda processuale terminò con un'assoluzione piena, si trasferì in Spagna e fece il velista per trent'anni.

 “C’è un ulteriore elemento – scrive Morando - che testimonia la pervicacia dell’Arma, in quei mesi, nel tentare di addossare alla sinistra extraparlamentare (e in particolare a Lotta Continua) la responsabilità di violenze e attentati. È una vicenda pure complicatissima, ma va ripercorsa almeno sommariamente, non fosse altro perché lo stesso Vinciguerra nei propri verbali l’ha più volte citata come prova dei depistaggi attuati a suo favore (e a sua insaputa)".

La vicenda è questa: il 10 novembre 1972, nei pressi di Camerino, viene rinvenuto un arsenale di armi da guerra ed esplosivo, di provenienza criminale. Come firma “inoppugnabile” della paternità è presente anche materiale "ideologico-programmatico" (dieci fogli in codice usando come base un libro di Regis Debray): un elenco di vittime designate per la futura attività terroristica, un elenco degli apparenti componenti della cellula (tutti dell'ultrasinistra) ed una sorta di riepilogo logistico con le relative fonti. Dato curioso: prima ancora che la crittografia dei testi venga violata dagli inquirenti, il giornalista Guido Paglia (successivamente divenuto dirigente della Rai) già leader di Avanguardia Nazionale, esponeva in un articolo il senso dei documenti addossando le responsabilità a sinistra. Viene così emesso un mandato di cattura. Nel 1973 vengono arrestati Paolo Fabbrini (dopo un latitanza di nove mesi) e Carlo Guazzaroni. Nell’inchiesta finiscono anche lo studente greco Atanasios Tzoukas e il maceratese Loris Campetti, divenuto poi giornalista del Manifesto.

 

Protagonista delle indagini è il comandante della compagnia carabinieri di Camerino, capitano Giancarlo D'Ovidio, piduista, proveniente dai paracadutisti e destinato ad entrare nell'Ufficio «D» del SID. Gli arrestati scontano poi diversi mesi di custodia cautelare, e si deve attendere il 1976 perché il giudice Pietro Abbritti ne decida il proscioglimento in istruttoria. La Procura generale di Ancona appella la sentenza, e nel 1977 la Corte d'Assise di Macerata conferma l'assoluzione con formula piena. Anni dopo il leader di Avanguardia nazionale Stefano Delle Chiaie, intervistato da Panorama, dichiara: “In un primo momento le indagini vennero indirizzate a sinistra perché assieme alla dinamite e ai fucili fu anche trovato un cifrario in codice tratto da un a libro di Règis Debray, lo scrittore francese filo castrista. Ebbene quelle armi, quegli esplosivi e quel cifrario erano stati messi lì da Labruna per far scattare una crociata anticomunista”. Letteratura fantasy.