Come opera una rete contro la violenza?

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Fare rete contro la violenza di genere è un po’ come far crescere una foresta. “È un lavoro silenzioso lento, costante, spesso invisibile, i cui risultati si vedono solo dopo anni di duro lavoro - racconta Lucia Rizzieri, referente del progetto per il Comune di Bolzano –. All’inizio non è stato semplice: i servizi avevano linguaggi diversi, non sempre si conoscevano tra loro. Con il tempo, però, le distanze si sono ridotte e anche i rapporti tra realtà anche molto lontane si sono ammorbiditi”.
Bolzano è stata la prima città altoatesina ad istituire nel lontano 2008 una rete contro la violenza sulle donne. Da allora l’esperienza si è consolidata e ampliata, tanto che, nel 2021, una legge provinciale ha imposto ad ogni comunità comprensoriale la creazione di una rete simile. Nel capoluogo il coordinamento ricade sul Comune stesso e sull’Azienda Servizi Sociali. Oggi la rete è composta da oltre trenta servizi provenienti da ambiti diversi: sociale, sanitario, giustizia, forze dell’ordine, terzo settore, oltre naturalmente al Centro antiviolenza GEA e agli alloggi protetti.
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Un progetto vincente a livello nazionale
Negli ultimi anni la rete bolzanina ha partecipato a un bando del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, classificandosi al primo posto a livello nazionale tra i progetti di prevenzione e contrasto della violenza di genere, su oltre cento candidature. Un risultato prestigioso che ha garantito un finanziamento significativo e ha consentito, nell’arco di 18 mesi, di rilanciare l’attività della rete.
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“Il Covid aveva un po’ addormentato i lavori – racconta Rizzieri –. I servizi continuavano a collaborare, ma la rete come luogo di confronto si era fermata. Questo finanziamento ci ha permesso di rimettere tutti attorno a un tavolo, ritrovare un linguaggio comune e obiettivi condivisi”. Il 16 settembre si è svolto il convegno conclusivo del progetto “Una comunità in rete contro la violenza di genere 2”, che ha rappresentato non solo la conclusione di questo specifico lavoro, ma anche l’avvio di una nuova fase di impegno condiviso, per la città.
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Formazione e momenti di confronto
Di cosa si occupa una rete? Un focus importante è quello di fare formazione. Durante questi 18 mesi sono stati realizzati dieci cicli formativi rivolti a target diversi: forze dell’ordine (polizia e carabinieri), assistenti sociali dell’Azienda Servizi Sociali di Bolzano, operatori di spazi neutri e visite protette, referenti per l’educazione e la salute dell’intendenza scolastica, operatori e operatrici dei centri giovanili. “In futuro ci piacerebbe estendere la formazione anche ad altre categorie professionali, come giornalisti e avvocati”, spiega Rizzieri.
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Parallelamente, la rete ha organizzato oltre dodici incontri partecipativi dei vari servizi pubblici attivi sul territorio, tra workshop e tavoli di lavoro. “Lo scopo era analizzare i servizi presenti sul territorio, capire come funzionano le collaborazioni esistenti e immaginare quelle ideali, pur consapevoli che la perfezione è difficile da raggiungere. Non si trattava di autocelebrarsi, ma di portare anche le criticità sul tavolo, affrontarle insieme e cercare soluzioni migliorative”, aggiunge la referente.
“Lavorare sulla responsabilità maschile è fondamentale: non possiamo pensare che siano solo le donne a doversi difendere”
Un’altra esperienza significativa è stata quella degli incontri di intravisione: i servizi hanno potuto discutere di casi chiusi, utilizzati come casi studio per riflettere su ciò che ha funzionato e su cosa invece sarebbe stato opportuno evitare o migliorare. La partecipazione è stata sempre molto alta e dal percorso sono emerse alcune questioni cruciali, come la comunicazione tra i servizi: “Solo incontrandosi regolarmente – sottolinea – si riesce a discutere anche di casi complessi che altrimenti resterebbero irrisolti”.
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Su cosa bisogna lavorare ancora?
Un fronte su cui la rete vuole investire riguarda la presa di coscienza maschile. Oggi esiste un solo servizio provinciale dedicato agli uomini, il Training antiviolenza della Caritas, che segue soprattutto persone inviate obbligatoriamente. “Andrebbe potenziato – osserva Rizzieri – troppi pochi uomini ci si rivolgono volontariamente. Lavorare sulla responsabilità maschile è fondamentale: non possiamo pensare che siano solo le donne a doversi difendere”.
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Il secondo tema, forse il più urgente, riguarda la fase del post-violenza. Una volta superata l’emergenza e terminato il soggiorno nelle case rifugio, le donne si trovano ad affrontare sfide difficili: la ricerca di un lavoro, di un’abitazione, il recupero del benessere psicologico. “Non dobbiamo confinare le donne in ruoli marginali, spesso hanno competenze e capacità che vanno valorizzate. Serve lavorare sull’empowerment, sulla formazione professionale, per garantire loro un’autonomia dignitosa”, aggiunge Rizzieri.
“Non basta lavorare solo con le classi: anche il corpo docente deve essere sensibilizzato”
La prevenzione parte anche dalle scuole e dai contesti giovanili. “Le relazioni tossiche compaiono già tra gli adolescenti – spiegano –. Con le scuole c’è collaborazione, ma serve più formazione per gli insegnanti. Non basta lavorare solo con le classi: anche il corpo docente deve essere sensibilizzato”.
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Strumenti concreti: app, video, podcast
Il progetto non si è limitato al confronto, ma ha prodotto anche strumenti concreti. È nata così l’applicazione Not Alone, pensata non tanto per le donne vittime di violenza, quanto per gli operatori dei servizi. L’app permette di reperire rapidamente informazioni utili, ad esempio su esenzioni sanitarie, permessi di soggiorno, agevolazioni lavorative. “Spesso per trovare queste informazioni bisogna navigare tra decine di pagine web – racconta Rizzieri –. Con l’app abbiamo voluto rendere tutto più semplice e immediato”.
Sono stati realizzati anche dei video animati per i giovani, dal titolo Choose Respect, dedicati alle relazioni affettive in adolescenza e al modo di riconoscere ed evitare dinamiche tossiche. I temi affrontati sono il consenso, lo stalking, il controllo. Oltre a questo, sono stati prodotti brevi video di presentazione dei servizi (come GEA e gli alloggi protetti), utili per convegni e attività nelle scuole, e i podcast “Ci vogliamo vive”, curati da Anita Rossi e Christine Clignon, dedicati al fenomeno dei femminicidi e alla prevenzione della violenza.
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I punti sicuri: un segnale alla città
Tra le iniziative più innovative ci sono i cosiddetti punti sicuri per le donne. Si tratta di quasi cinquanta esercizi commerciali, farmacie ed esercizi di quartiere che hanno accettato di partecipare a una breve formazione con le operatrici di GEA e di esporre un bollino distintivo che permetta alle donne di indentificarli come luoghi in chiedere aiuto o rifugiarsi in caso di emergenza.
“Non sono centri specialistici ma rappresentano un segnale visibile alla comunità: luoghi dove si sa che il tema è preso sul serio e che possono farsi portavoce di messaggi contro la violenza”, aggiunge Rizzieri, spigando che spesso si tratta di negozi piccoli, gestiti da una o due persone ben conosciute nel quartiere, che diventano così punti di riferimento. Anche un articolo de Il Post ha citato Bolzano come esempio virtuoso diversi progetti del Comune introdotti a favore delle donne come Taxi Rosa.
Il progetto ha permesso anche di rivedere il protocollo della rete, risalente al 2013 e ormai superato. Il nuovo protocollo definisce finalità, obiettivi, ruoli dei diversi servizi e modalità di lavoro, anche per affrontare temi delicati in un clima di fiducia e rispetto reciproco. “L’obiettivo è arrivare alla sottoscrizione ufficiale il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne: una data simbolica che rappresenterebbe il coronamento del lavoro svolto”, afferma Rizzieri.
Al di là dei materiali prodotti – app, video, podcast – ciò che conta davvero è il lavoro silenzioso della rete. “Per noi – conclude la coordinatrice – il risultato più importante non è solo quello che si vede all’esterno, ma il fatto che i servizi oggi riescano a parlarsi, confrontarsi anche sulle difficoltà, a volte scontrarsi, ma sempre con rispetto e con l’obiettivo di trovare soluzioni concrete. È questo che rende la rete viva e utile”.
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