Società | 25 aprile

La resistenza della Resistenza

Non repertorio di ricordi fossilizzati, ma vivo e vero impulso che custodisce e alimenta un desiderio di riscatto fondato sul dubbio.

Ogni volta che il calendario segna l’appuntamento con una ricorrenza speciale, com’è quella del 25 aprile per ciò che quel giorno ha significato nella storia del Paese, ci si aprono davanti due vie. La prima è quella, ritualizzata, afferente a una memoria istituzionalizzata. Anche se non bisogna disconoscere il significato dei riti, anche se è importante garantirne la continuità a livello istituzionale, non è però certo questa la via più interessante da seguire se vogliamo porci all’altezza della sua eredità morale. Occorre l’altra via. Essa è costituita da una riappropriazione del passato alla luce della nostra vita quotidiana, nello spazio e nel tempo in cui siamo collocati.

Una buona domanda per celebrare degnamente la ricorrenza della “liberazione” è perciò questa: dove, come e – soprattutto – a cosa è possibile resistere oggi? La questione suggerisce una decisione prospettica da prendere in rapporto alla direzione che l’atteggiamento dei resistenti dovrà assumere per poter incidere in modo creativo nel tessuto incrostato dell’opinione pubblica.

Ha scritto Tzvetan Todorov: “… la resistenza è un’affermazione. È un duplice movimento permanente, in cui l’amore per la vita s’intreccia inestricabilmente con la condanna di ciò che la corrompe. Resistere, in primo luogo, è una forma di lotta che uno o più individui esercitano contro un’azione, fisica e pubblica, condotta da altri essere umani. Si tratta dunque necessariamente di un comportamento a posteriori, di una reazione che si oppone al male radicato nella società. Inoltre, chi rifiuta di sottomettersi non è un conquistatore, non aspira a instaurare una nuova forza dominante, non è il costruttore di una società ideale; il suo impegno è specifico: cerca di rifiutare la forza che vuole sottometterlo. Infine, l’uso di questa parola implica che il gruppo resistente dispone di mezzi inferiori a quelli del suo avversario” (T. Todorov, Resistenti – Storie di donne e uomini che hanno lottato per la giustizia, Garzanti 2016).

Le parole di Todorov sono dirimenti per molte delle questioni che hanno affaticato la rielaborazione della resistenza contro il fascismo nel discorso politico italiano. Ma tenendo per l’appunto fermi il concetto di una “reazione” non propedeutica a “una nuova forza dominante” e la disparità di forze in campo che ne motivano il carattere spontaneo, è chiaro che qui ci troviamo innanzi alle ragioni di una rivolta da esercitare sempre in modo contingente, senza perciò adottare il punto di vista ideologico di una rivoluzione compiuta in nome di principi astratti o, peggio, di un rivolgimento che poi miri semplicemente e meccanicamente a rovesciare i rapporti di forza contestati. Il ribelle (figura camusiana), il resistente starà perciò sempre dalla parte dei perseguitati, degli oppressi, delle minoranze prive di voce. E il suo compito non dovrà mai sconfinare nel desiderio di rivalsa (“Anche quando subiscono un’aggressione dall’esterno, come la violenza o le umiliazioni – conclude il suo ragionamento Todorov –, [i resistenti] evitano di escludere dal cerchio dell’umanità i propri avversari o di rovesciare su di loro un odio inestinguibile. Così facendo, si guardano bene dal prenderli a modello, impegnandosi sulla via ben nota della vendetta e delle rappresaglie, e della riproduzione, eventualmente rafforzata, dell’aggressione subita, secondo la logica (…) dei nemici complementari”).

Proseguire il tracciato dalla resistenza storica, raccoglierne l’eredità, significa perciò anche resistere alle degenerazioni interpretative della stessa Resistenza, vale a dire a una sua fossilizzazione di comodo, per rimetterla alla fluidità di un comportamento insofferente ad ogni forma di costrizione e di dittatura della maggioranza (anche se solo potenziale).

Ancora una volta tornano in mente le parole di Angelo Del Boca, che ripensando dopo settant’anni alla guerra di liberazione ha scritto: “Eravamo dei ragazzi pieni di insicurezze e di paure, ma anche desiderosi di trovare una nostra strada. Entrammo nella Resistenza portando ognuno i propri dubbi, le proprie perplessità, le paure e le ingenue speranze. (…) Per me, la Resistenza continua ancora oggi. In ciò che faccio, c’è sempre qualche legame con i valori di quel periodo”.  

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Alberto Stenico Lun, 04/25/2016 - 07:50

Quella della Liberazione è una festa nazionale e si celebra da settant'anni in Provincia di Bolzano, senza una tematizzazione locale dei valori che la ispirano. Il risultato ne è la scarsa ( o spesso nulla) identificazione e partecipazione della maggioranza della popolazione locale, tedesca e, in parte, italiana. Sarebbe tempo di festeggiare il 25 aprile confrontandoci anche con le "nostre" domande per le quali non bastano le risposte nazionali. In mancanza, ci rimangono i "buchi neri" che ipotecano un senso di appartenenza comune alla nostra terra.

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