Un nuovo linguaggio umano, ma come?

Sembra semplice ma lo è davvero?
Non troviamo nessun linguaggio, per esprimere efficacemente come tutelare la nostra dignità.
E’ un aspetto nuovo e umano, tutelo il mio essere uomo/donna/gender, in una comunicazione che includa le diversità, le mie/nostre.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
satira della ripartizione informatica, con due cartelli: yes women e fuga di teste
Foto: FEDERICA PARAVISI
  • Sembra facile ma lo è davvero?

    Non troviamo nessun linguaggio, per esprimere efficacemente come tutelare la nostra dignità.

    In particolar modo se malamente calpestata, svilita e denigrata.

    E' un aspetto nuovo delle relazioni interpersonali, in un mondo, l'  Europa Centrale dove il benessere e la pace di cui fortunatamente  godiamo da molti anni, ci garantisce sicurezza e stabilità.

    La paura di una guerra per chi e' nato negli 70, e' un testimone che riceviamo nel passaggio generazionale, per molti di noi (io sono nata nel 1966) e' un racconto colmo di orrore, fame, spregiudicata cattiveria, povertà estrema, che non conosciamo in prima persona.

    L' evoluzione, della società, anche sostenuta da una sensazione di pace e di serenità, senza lo spettro di un pericolo reale ed imminente evidente, lo sviluppo della tecnica in tutti gli ambiti della nostra quotidianità, per non parlare delle meraviglie che il futuro ci dovrebbe portare, ci da' la sensazione, ed in parte anche la possibilità concreta, che tutto sia possibile. 

    In questo contesto, trovo che si sia sviluppato un senso piuttosto diffuso di acriticità e di pigrizia mentale e percettiva.  E di egoismo, mi sembra una plausibile conseguenza allo  stato di torpore che appaga i sensi fisici e mentali. Perché mai affaticarmi quando, IO, sto tanto bene?

    La minuziosa normativa giuridica, per ogni fatto che ci riguardi, nella vita pubblica così come in quella privata, corredata dall' informazione di chi è l' organo competente a cui rivolgerci se, riteniamo insoddisfatte le premesse, genere un precario senso di sicurezza.

    I fatti delle zone d' ombra non rendono onore all' immagine idilliaca del nostro mondo. 

    Ogni medaglia ha una doppia faccia, e sul lato dove non brilla il sole, a chi capita di trovarcisi, i mezzi giuridici possono risultare inefficaci, e senz' altro necessitano di un "traduttore giuridico", del quale non viene fatta menzione a priori.

    Le belle immagini a colori e le promesse mediatiche di sorrisi 360 giorni all' anno, come anche le insite premesse di tutela giuridica, non preparano nessuno a contenuti, che non lasciano spazio ad appelli in quanto il mezzo comunicativo risulta inadeguato al contesto.

    La sicurezza  di diritti tutelati di de fault, se disattesa, non colpisce solo la nostra parte giuridica. 

     Ci rende fragili ed isolati. La reazione e' uno stupore allarmato. Tocchiamo con mano la brutalità della legge della giungla, ovvero di convenzioni totalmente estranee ed inaspettate da quanto elegantemente e forbitamente enunciato. 

    Non sapevamo che bastasse cosi poco per trovarci al di fuori del fascio di luce che regola la nostra società . 

    Enunciare il principio giuridico che ne regola la tutela è inutile. Non raggiunge lo scopo. Con questi presupposti rimane lettera morta.

    Lo scopo da raggiungere è il riconoscimento della nostra dignità, indipendentemente se presuntamente protetto da norma giuridica o meno.

    Il linguaggio che la società, noi, useremo per rispondere a quanto è accaduto, e, che forse non ci è piaciuto,  dovrà essere innovativo. Tradurre le azione in modalità "altre", risponde alla spinta evoluzionistica della nostra società , ovvero ad un' esigenza primaria collettiva, di successo non solo del singolo ma di tutti noi.

    L' uso della "legge del giù forte" ovvero della brutalità, non è giù attuale.

    Propongo come alternativa una comunicazione che fluisca a 360 gradi e che integri aspetti, forse ancora, considerati secondari. Siamo una società in evoluzione, le porte che apriamo ad altre possibilità' offrono strutture su cui poter costruire "DNA" alternativi. 

    L'adattabilità è la chiave di volta dell' evoluzione e della sopravvivenza della specie.

    L' orso artico emerge per capacita' di adattamento. In un arco di tempo breve, dimostra un chiaro intendo di sopravvivere, anche se non potra' piu' cacciare le foche dal pak che non sta scomparendo.

    Non so quali siano i presupposti per un adattabilità efficace. Direi, la flessibilità e senza dubbio una grande determinazione a sopravvivere.

    Lo stesso vale per noi.

    Ognuno di noi è un insieme,  di "interazioni neuronali/emotive" e molto altro. Ognuno di noi persegue scopi non solo personali. Purtroppo ce ne siamo per lo più dimenticati, e non guardiamo piuì a questo lontano passato

    L' antropologia ha dimostrato come gli aborigeni, legati agli andamenti della natura, sapevano che la sopravvivenza della loro tribù dipendeva da ciascun individuo e, on the way back, il gruppo nel suo insieme, era un organismo, che, come un lago, ha tanti affluenti quanti i membri della tribù . Un grande organismo, che integra tutti e attinge da ciascuno dei suoi componenti, raggiunge risultati migliori, complessi ed efficaci per l' intera comunità. Il suo raggio dì azione è molto piu' vasto di quello del singolo.

    Quello che, credo, possa essere dichiarato vero, senza timore di sbagliarsi, sia che, come essere umani, siamo tutti simili nella struttura.  Indipendendentemente  da dove siamo nati/e, cresciuti/e, dal colore della nostra pelle, dal nostro stato sociale ed economico, per non parlare da quelle che sono le nostre usanze e attitudini anche emotive,  il dolore ci fa piangere, e ridiamo di gioia. 

    Visto che la "legge del giù forte" purtroppo ancora molto di moda, non risulta essere molto costruttiva, e credo sia sconsigliabile usarla di de fault. 

    Cerchiamo, invece, una comunicazione, con un' attenzione prioritariamente rivolta al gruppo. Una comunicazione che non dia per scontato, neppure la definizione della decisione da prendere. Una comunicazione aperta alle possibilità che il i/le singoli/e del gruppo e le interazioni tra i/le  singoli/e, e nelle modalità in cui avvengono, generino situazioni e decisioni che siano davvero innovative giù adeguate al mondo in cui viviamo. Questa, credo potrebbe definirsi, una flessibilità vincente.

    Non è sempre vero, che il pericolo sia imminente ed incombente, per cui lasciare il campo aperto non sia possibile, perché costituirebbe un rischio per la società. 

    I tempi contestualmente lunghi servono per trovare soluzioni valide per tutte/i, senza necessità per forza,  di tagliare la testa al toro, al fine di arrivare rapidamente ad una decisione che di democratico ha, almeno in alcuni casi, poco. Propongo un incontro che integri il dubbio, il ritornare sui propri passi per cercare soluzioni effettivamente valide.

    Dai piccoli errori si può tornare rapidamente indietro dai grandi è molto giù difficile.

    Almeno proviamoci.

    Nessuno cade fuori dalla rete perché il singolo ha bisogno del gruppo nella stessa misura di cui il gruppo ha bisogno di ogni singolo/a.

    Questo mi sembra che, potrebbe essere, per il nostro mondo, una porta aperta di crescita. Una sfida adeguata, ai tempi ed anche alle aspettative e bisogni che, in tanti manifestiamo.

    Una inclusione dinamica, temporalmente estesa, flessibile ai cambiamenti e ragionevolmente radicata nel presente.