Cronaca | Turris Babel

Una breve storia della fotografia

Riguardare 40 anni di numeri di Turris Babel, vuol dire ripercorrere 40 anni di metodi e usi nella comunicazione del progetto architettonico sul territorio sudtirolese.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: Architekturstiftung Südtirol | Studio Mut
  • Riguardare 40 anni di numeri di Turris Babel, vuol dire ripercorrere 40 anni di metodi e usi nella comunicazione del progetto architettonico sul territorio sudtirolese. E farlo con un occhio di riguardo sulla fotografia mette in luce come questo strumento specifico è cambiato, sia intrinsecamente che nel suo ruolo all’interno della nostra professione e della nostra società.

    Leggere l’architettura come specchio della nostra societá e dei suoi cambiamenti è una vecchia storia, negata e riconfermata in continuazione soprattutto a partire dall’inizio del secolo scorso, quando il modernismo - con un grande aiuto del nascente sistema capitalistico -  si approprio dello “Zweckbau” come linguaggio progettuale e cosí facendo carica di valore semantico la costruzione funzionale. Non sono quindi più soltanto gli edifici rappresentativi (pubblici o privati) a voler trasmettere contenuti non-costruttivi, anche le costruzioni “comuni” iniziano a raccontare storie. 

  • Foto: Architekturstiftung Südtirol
  • Avendo stabilito che ogni progetto architettonico comunica con suoi utenti, permanenti o passanti, diventa evidente il ruolo complesso della rivista d’architettura e in particolare della fotografia d’architettura, posta fra un “oggetto” tridimensionale il quale racconto va capito, registrato e tradotto in un oggetto bidimensionale.[1]

    Sfogliando i primi numeri di Turris Babel si ha l’impressione che la redazione fosse ben consapevole della complessità dell’atto di traduzione e del ruolo delicato della fotografia d’architettura. Questo non solo per l’interessante articolo di Sergio Franchini, ma soprattutto per il modo limitato - dovuto anche a motivi tecnici tipografici - con il quale viene trattata. 

    Nei primi numeri i progetti di architettura contemporanei - ma lo stesso vale per i contributi d’archivio e temi urbanistici d'attualità - vengono illustrati con tanto testo, disegni, bellissime assonometrie e soltanto qualche immagine fotografica. L’articolo sul progetto di Oswald Zöggeler per l’edificio dell’Athesia a Vipiteno[2] è impostato su ben nove facciate, ma di fotografie ce ne sono soltanto due a pagina intera (una vista interna ed una esterna) più tre foto piccoline nel testo. 

    Sembra quasi trovare una sorta di manifesto, quando Zeno Abram scrive nella sua rubrica “Reiseskizzen” 

    “L’arte della fotografia è sempre stata oggetto di particolare interesse, pur tuttavia più divertente è la riproduzione manuale degli oggetti, o meglio la loro riproduzione in forma di disegno. L’immagine non viene staticamente immortalata da un freddo scatto di un apparecchio fotografico, ma rinasce lentamente sul foglio dopo che lo sguardo e la mente ne hanno penetrato ed interpretato ogni particolare. A differenza del fotografo che (...) viene spesso considerato uno sgradito intruso, il disegnatore si mimetizza discretamente in ogni ambiente, suscitando malcelata curiosità, (...).[3]

  • Foto: 40 anni della redazione Turris Babel
  • Qualche numero prima[4] appariva per la prima volta una fotografia sulla copertina della rivista. All’interno di questo numero si riporta una polemica “bolzanina” per la colorazione - inadeguata e decisa senza coinvolgimento/benestare del progettista - delle facciate del progetto di Carlo Aymonino alle semirurali, ripresa a livello nazionale da Casabella e Paolo Portoghesi che lo chiama un “arlecchinata” su Arte Dossier. Il tutto accompagnato da ben due fotografie in bianco e nero, il colore all’epoca era riservato alla pubblicitá.

    Chiaramente non si può - e sicuramente non lo si vuole neanche - fare a meno del tutto delle immagini come mezzo per comunicare il progetto. Le fotografie ci sono anche nei primi numero, mancano però i fotografi. Infatti bisogna aspettare il numero 19, del dicembre 1989 per trovare un credito fotografico attribuito a un professionista esterno alla redazione. Nel caso specifico si tratta di Othmar Seehauser con una foto del “Haus eines Tischlers in Naturns, Valtingojer - Gritsch”. Nello stesso numero viene stampata una fotografia iconica di James Sterling della cappella di Haut, Ronchamp di Le Corbusier senza nominarne l’autore. Questo quando negli anni ottanta la scena architettonica nazionale aveva già avviata la sua relazione simbiotica con i protagonisti della fotografia italiana, come Gabriele Basilico, Luigi Ghirri e Gianni Berengo Gardin.

  • TURRIS BABEL è la rivista di architettura della Fondazione Architettura Alto Adige, frutto della collaborazione appassionata e volontaria di giovani architetti. La Redazione si è posta come obiettivo, quello di risvegliare l’interesse per l’architettura non solo tra gli esperti in materia, ma anche tra la popolazione, di rilanciare su tutto il territorio ed a livello nazionale, il dibattito sull'architettura in Alto Adige, di promuovere la divulgazione di una buona progettazione, cosciente delle implicazioni socio-economiche ed ambientali che essa comporta.

  • Sono sicuramente stati molto importanti in questo contesto le due mostre all’inizio degli anni novanta di Walter Niedermayr: Architektur, Natur und Technik, 1990 a Sesto e Historische Industriearchitektur Tirol, Südtirol und Vorarlberg, 1992 Ar/Ge Kunst, Bozen. Anche il grande lavoro culturale di Christoph Mayr Fingerle, come promotore di mostre e conferenze, contribuisce ad allargare lo sguardo non solo a progetti e metodi diversi, ma di conseguenza anche a rappresentazioni e fotografi/e internazionali.

    Già con Benno Simma, che cura il progetto grafico della rivista a partire dal numero 27, ma ancora di più con Ludwig Thalheimer (Lupe), che prende il suo posto nell'anno 2000, la fotografia acquisisce peso all’interno della rivista e dell'approccio editoriale. Rimangono rari i crediti fotografici, lo stesso Thalheimer firma alcuni essay fotografici dei numeri monotematici e si notano le prime collaborazioni degli studi d’architettura sudtirolesi con fotografi/e al di fuori dai confini della provincia, come Alessandra Chemollo e Günther Richard Wett.

    Sono gli anni dell’avvento della fotografia digitale, che da un lato rende più accessibile la fotografia per gli amatori architetti, ma dall’altro vede una professionalizzazione del mestiere.

    In questo contesto cade anche il dogma dell’immagini in bianco e nero all’interno della rivista. Paradossalmente sono le visualizzazioni e le fotografie a volo d’uccello dei risultati del concorso ARBO[5] le prime immagini a colori. Anche il numero successivo riporta i “rendering” di alcuni concorsi privati, ma la vera e propria fotografia d’architettura a colori entra soltanto nel numero 88 sul premio d’architettura.

  • i primi 100 numeri di Turris Babel Foto: i primi 100 numeri di Turris Babel
  • Il rapporto con la fotografia della rivista Turris Babel sembra cambiato e l’approccio libero quasi giocoso si dichiara con il primo numero del progetto grafico di Studio Mut[6], che in copertina mette una fotografia non d’architettura con un riferimento associativo al tema del numero.

    Successivamente sarà la prima volta di un vero e proprio saggio fotografico - il lavoro di Nicolò Degiorgis nel numero 99 su Bolzano - con il quale il nuovo caporedattore Alberto Winterle chiede un commento non documentaristico a un fotografo artista. Un approccio alla fotografia d’architettura che contestualizza il progetto architettonico all’interno di un agglomerato sociale ed urbanistico, mettendo in dubbio il suo ruolo di protagonista assoluto.[7]

    L’essay fotografico di Walter Niedermayr su Truden[8] e un altro lavoro di Nicolò Degiorgis[9], stavolta su Bressanone, segnano una stagione dove il progetto fotografico è diventato più centrale alla rivista e i fotografi/e - come René Riller, Gustav Willeit, Davide Perbellini e Lukas Schaller - vengono inseriti nelle schede dei progetti d'architettura, quasi a far parte - almeno nel momento della pubblicazione - del team di progettazione.

  • [1] Walter Benjamin: Die Aufgabe des Übersetzers, 1921 In: ders. Gesammelte Schriften Bd. IV/1, S. 9-21. Frankfurt/Main 1972. 

    [2] Turris Babel nr. 5, marzo 1986, “... e poi è azzurra!” di Franco Anesi, p. 6-14

    [3] Turris Babel nr. 13, giugno 1988, Reiseskizzen / appunti di viaggio, p. 51

    [4] Turris Babel nr. 11, dicembre 1987

    [5] Turris Babel nr.86, agosto 2011

    [6] Turris Babel nr.93, ottobre 2013

    [7] Armin Linke, Iwan Baan, …

    [8] Turris Babel nr.104, dicembre 2016, “Auf dem Weg zugefallene Bilder”, p. 20-41

    [9] Turris Babel nr. 126, luglio 2022, “Brixen in neuen Ansichten”, p. 34-51