Ambiente | Zoom #10

La lucertola più antica è in Alto Adige

La Megachirella è stata ritrovata negli anni ’90 ed è il più antico esemplare di essere squamato finora ritrovato sul pianeta. Si chiama così perché ha ‘le zampe grandi’
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Lucertola - Museo Scenzia Naturale
Foto: ©Benno Baumgarten

Tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 sulle Dolomiti della Val Pusteria fu ritrovato dal collezionista Michael Wachtler il più antico esemplare di animale squamato di cui oggi abbiamo conoscenza – anche se allora nessuno lo sapeva ancora. Qualche tempo dopo il ritrovamento da parte di Wachtler, il fossile arrivò al museo delle scienze naturali dell’Alto Adige, dove è tutt’ora conservato. Nel 2003 il paleontologo Silvio Renesto si occupò di descrivere scientificamente il fossile di quella che oggi chiamiamo Megachirella, ovvero la lucertola ‘dalle zampe grandi’. Si tratta di un animale squamato di una grandezza stimabile intorno ai venticinque centimetri di lunghezza. A noi sono giunti solo i primi quindici, ovvero la parte anteriore che non è rimasta incastonata nella roccia dove si era fossilizzato. L’esemplare presenta caratteristiche anatomiche molto moderne (simili a quelle di altri esseri squamati che vivono oggi sul pianeta) ed è databile intorno ai duecentoquaranta milioni di anni fa, circa dieci milioni di anni dopo la più grande estinzione di massa mai avvenuta sulla Terra, nella fase di transizione tra un periodo più antico (il Paleozoico) e uno più moderno (il Mesozoico).

A riaprire gli studi sulla Megachirella è stato proprio un progetto Euregio di più ampio respiro iniziato nel 2016, avviato per studiare quali effetti ha avuto quella grande estinzione di massa avvenuta duecentocinquantadue milioni di anni fa sui diversi ecosistemi dell’arco alpino. “Facendo questa ricerca abbiamo scoperto che questa lucertola – che avevamo ‘in casa’ – era più importante di quanto avessimo pensato”, ha detto Evelyn Kustatscher, conservatrice della sezione di paleobotanica del museo. “Quello della Megachirella è uno dei fossili più clamorosi che siano mai stati ritrovati sulle Dolomiti. Da un lato perché ci ha permesso di retrodatare ancora di più la presenza degli squamati sul pianeta di almeno quaranta milioni di anni; dall’altro perché è molto raro trovare dei fossili così ben conservati. In effetti, quando vediamo delle ricostruzioni degli scheletri dei dinosauri, dobbiamo tenere sempre a mente che la maggior parte delle volte sono solo poche ossa a essere state rinvenute: il resto si studia con l’anatomia comparata”, ha continuato Kustatscher. La Megachirella, circa due anni fa, ha avuto molto risalto nel dibattito tra gli scienziati e non solo – tanto da finire sulla copertina di Nature, una delle riviste scientifiche più famose e più rispettate al mondo insieme a Science.

 

 

Il fossile aveva già cominciato prima a destare l’interesse di alcuni ricercatori provenienti da varie parti del mondo. Oltre alla conservazione e alla schedatura effettuata dal museo, qualche anno fa due ricercatori (uno dalla Polonia e uno dal Canada) hanno voluto studiare più da vicino la Megachirella più o meno nello stesso periodo. “Entrambi giunsero alla stessa conclusione, alla quale eravamo arrivato un po’ anche noi. Il lavoro fatto fino ad allora andava bene ma si sarebbe dovuto esplorare anche la parte del fossile rimasto ancora nella roccia. Non potevamo estrarlo perché altrimenti le ossa piccole dell’esemplare si sarebbero potute rompere – così è nato un altro piccolo progetto”, racconta la conservatrice Kustatscher. Il fossile è stato portato da Massimo Bernardi del MUSE di Trento al sincrotrone di Trieste, ovvero un particolare microscopio in grado di poter scansionare l’interno della roccia e poter dedurre le grandezze delle parti rimanenti della Megachirella.

“La Megachirella ha vissuto in una delle isole circondate dal mare (innalzatosi di molto) più o meno ai tropici…quando le Dolomiti si trovavano ai tropici. L’isola si trovava vicino a dove ora si trova Plan de Corones, quando questo territorio era un mare tropicale con isolotti e scogliere sparsi, come quelle che poi sono diventati il Sella, lo Sciliar e il Catinaccio. Sappiamo che è stata travolta da una tempesta, perché abbiamo scoperto che il fossile si è conservato così bene perché era stato avvolto da un ‘baco’ di vegetazione, trasportata dalle intemperie. L’esemplare, infatti, è stato trovato in sedimenti di origine marina”. La Megachirella non viveva solo a stretto contatto con l’acqua e con la costa – ma soprattutto con gli alberi. A differenze dei moderni squamati che potrebbero somigliarle, come il comune geco, “aveva dei lunghi artigli per arrampicarsi sugli alberi”, ha concluso Evelyn Kustatscher.