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Finiremo tutti come rane bollite?

Si è forse creato un vulnus ai valori Costituzionali non giustificato dall’attuale situazione di emergenza sanitaria legata al coronavirus? Una riflessione.
Luca Crisafulli
Foto: Privat

Si discute, anche con tesi brillanti e in buona parte condivisibili, che il momento emergenziale che stiamo vivendo abbia segnato una pericolosa deriva autoritaria per il nostro paese, un vulnus ai valori Costituzionali non giustificato dall’attuale situazione di emergenza sanitaria.

È vero che la nostra Costituzione non prevede e non regola lo stato di emergenza come presupposto generale per la limitazione dei diritti costituzionali: soltanto la guerra prevede una deroga espressa alle libertà ed ai diritti costituzionali.

Ma se andiamo ad analizzare la nostra Costituzione, ed approfondiamo il tema, possiamo notare che non tutti i diritti costituzionali sono inderogabili.

La libertà di circolazione, ad esempio, può essere limitata “per motivi di sanità e di sicurezza” (art. 16, c. 1); la libertà di riunione può essere esclusa “per motivi di sicurezza o di incolumità pubblica” (art. 17, c. 3); la stessa iniziativa economica privata, può essere limitata quando va ad incidere sulla sicurezza, quindi sulla salute, pubblica.

E laddove la Costituzione tace, si deve ricercare una risposta nei trattati internazionali sottoscritti dall’Italia, prevalenti sulla stessa Costituzione, che invece contengono clausole per fronteggiare situazioni di emergenza.

La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), ad esempio, stabilisce all’art. 15 che “in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale”.

 

Allo stesso modo il Patto per i Diritti Civili e Politici (Patto), approvato dalle Nazioni Unite nel 1966, prevede all’art. 4  che “in caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l’esistenza della nazione e venga proclamato con atto ufficiale, gli Stati parti del presente Patto possono prendere misure le quali deroghino agli obblighi imposti dal presente Patto, nei limiti in cui la situazione strettamente lo esiga, e purché tali misure non siano incompatibili con gli altri obblighi imposti agli Stati medesimi dal diritto internazionale e non comportino una discriminazione fondata unicamente sulla razza, sul colore, sul sesso, sulla lingua, sulla religione o sull’origine sociale”.

A ben vedere, sono le stesse norme contenute nei trattati internazionali (che nella gerarchia delle fonti prevalgono sulla stessa nostra Costituzione) a prevedere una deroga temporanea ai diritti fondamentali in caso di emergenza e di pericolo pubblico eccezionale che possa minacciare l’esistenza stessa della Nazione.

Credo non vi siano dubbi che una pandemia incontrollata, che miete vittime in misura spropositata con conseguente collasso del nostro sistema sanitario nazionale, possa arrecare un pregiudizio alla nostra Nazione, possa insomma compromettere la stessa sopravvivenza del Paese (si pensi alle rivolte di popolo che si scatenerebbero di fronte all’inerzia dei governanti e al continuo proliferare di vittime, alla militarizzazione delle città, al proliferare di atti di criminalità per accaparrarsi beni e provviste).

Di fronte a questo scenario gli unici diritti non comprimibili, per volontà espressa dei medesimi trattati internazionali, sono quelli che per definizione sono insopprimibili in qualsiasi tempo ed in qualsiasi situazione.

Parliamo di diritti che descrivono la nostra stessa civiltà  giuridica e lo stesso modo di concepire l’individuo nei rapporti con lo Stato: diritto alla vita, divieto di tortura, divieto di riduzione in schiavitù, divieto di essere condannati per un reato non previsto dalla legge, divieto di punire due volte per lo stesso fatto,  divieto di pena di morte, diritto dell’individuo al riconoscimento della sua personalità giuridica, divieto di imprigionamento per motivi contrattuali e diritto alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione.

Credo non vi siano dubbi che una pandemia incontrollata, che miete vittime in misura spropositata con conseguente collasso del nostro sistema sanitario nazionale, possa arrecare un pregiudizio alla nostra Nazione, possa insomma compromettere la stessa sopravvivenza del Paese

Ecco, al di fuori di questi diritti, da considerarsi come insopprimibili, lo stato di emergenza sanitaria, correttamente deliberato dal nostro Governo e dichiarato come tale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (che ha correttamente definito il fenomeno in termini di pandemia), giustifica una compromissione temporanea di tutti i nostri diritti costituzionali, senza che ciò debba essere visto come un pericolo di ribaltamento delle nostre libertà e della stessa forma democratica del nostro Paese.

La decretazione d’urgenza, del pari, è il mezzo costituzionale attraverso il quale il Governo può adottare decisioni in casi “straordinari di necessità e urgenza”, non potendosi attendere il normale iter di formazione parlamentare degli atti normativi.

Semmai, il caotico affastellarsi di ordinanze comunali, provinciali e ministeriali, a volte in contrasto le une con le altre, determinando incertezza e pericolo grave per “l'incolumità e la sicurezza pubblica” potrebbe essere risolto mediante l’avocazione dei poteri spettanti agli Enti territoriali da parte del Governo.

Ed anche in tal caso, non si tratterebbe di una forzatura bensì di una prerogativa Costituzionale prevista dall’art. 120.

In definitiva se è vero che la progressiva erosione dei valori e dei diritti costituzionali potrebbe riscaldare progressivamente l’acqua nella quale ci troviamo immersi fino al punto da farci bollire senza nemmeno accorgercene, come fossimo delle rane, d’altra parte credo che il fuoco che riscalda il pentolone nel quale siamo immersi è alimentato esclusivamente dall’emergenza sanitaria: una volta che viene meno questa, il fuoco si spegnerà.

L’importante, per adesso, è resistere all’alta temperatura e sperare di non bollire prima che questa emergenza sia finita.