Giornalismo e femminicidi
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La violenza sulle donne il linguaggio dei media. Se n’è parlato per alcune ore venerdì pomeriggio dall’ambito di un seminario di formazione per i giornalisti organizzato dall’Ordine professionale, dalla Libera Università di Bolzano, dalla Commissione pari opportunità ed ospitato dalla Provincia Autonoma nelle sale di Palazzo Widmann. L’intera registrazione del convegno è disponibile nell’archivio dei filmati sul sito della Provincia stessa.
Un tema difficile e scabroso, affrontato alla vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulla donna e mentre è in corso, in Italia, la tempesta mediatica sul femminicidio di Giulia Cecchettin. Quest’ultima è una coincidenza di rilievo solo fino a un certo punto, se si pensa che ogni tre giorni, in Italia, una donna viene uccisa dal marito, dal compagno, dall’ex o da un parente prossimo. In qualunque giorno fosse stato fissato l’incontro ci sarebbe stato dunque un fatto di cronaca assai vicino nel tempo cui fare riferimento.
L’incontro, dopo i saluti introduttivi dei rappresentanti degli enti organizzatori, è vissuto su tre relazioni principali. Quella introduttiva è stata svolta da un’esperta proveniente da Vienna, Birgit Wolf, che affianca il ruolo di consulente presso un’organizzazione che assiste le donne vittime di violenza a quello di docente universitaria. Un inquadramento generale, il suo, di un fenomeno, quello dei femminicidio e più in generale della violenza domestica parentale sulle donne, che ha stentato assai, nel corso degli anni, ad affermarsi come emergenza a sé stante, ad uscire dal quadro statistico generale degli atti di violenza, ad assumere un carattere particolare reso esplicito delle ricerche compiute a livello internazionale come quella secondo la quale per le giovani donne il femminicidio è la causa di morte principale. Wolf ha tracciato anche il quadro delle principali storture con le quali il mondo della comunicazione giornalistica si accosta a questi fenomeni. Problemi di linguaggio, ma anche di sostanza. Retaggi di quel sistema di valori patriarcale la cui permanenza del corpo della società influenza in maniera massiccia il modo con cui la violenza sulle donne viene rappresentata.
Sono temi ripresi e sviluppati nella seconda relazione, quella tenuta dalla giornalista Sandra Bortolin, tra le fondatrici dell’associazione Giulia che raccoglie numerose professioniste della comunicazione a livello nazionale, impegnate ormai da molti anni in una riflessione sugli stereotipi con i quali il giornalismo italiano affronta certi temi. Partendo, si è detto, dall’uso delle parole. Quelle che a fatica si sono affermate come, appunto, femminicidio e quelle che invece bisognerebbe espungere dal dizionario dei cronisti come il “raptus” di follia tanto spesso utilizzato per aggirare la responsabilità del violento omicida. E poi i ritratti dell’assassino come il bravo ragazzo della porta accanto, il partner affettuoso e forse un po’ troppo protettivo e quelli sulla vittima della quale si descrivono magari le abitudini troppo indipendenti o i vestiti troppo succinti.
Su tutto questo esiste però un ben preciso “corpus giuridico” che è venuto a trovare sostanza in anni recenti nel codice deontologico dei giornalisti al quale, non molto tempo fa, è stato aggiunto un articolo dedicato proprio alla trattazione dei casi di femminicidio. Ne ha parlato diffusamente, nella terza relazione, la giornalista Anita Rossi, componente del Consiglio di Disciplina dell’Ordine Regionale che ha ricordato come le regole siano precise e stringenti, a tutela della vittima ma anche di coloro che restano a piangerla. Regole la cui violazione, ma solo da parte degli iscritti all’ordine professionale, può essere anche giudicata e punita con pene che arrivano sino alla radiazione.
Tra questi principi ci sarebbe anche quello che impone ai giornalisti di trattare questi casi, ma a dire il vero anche tutti quelli di cronaca nera, utilizzando, tra l’altro, il criterio della continenza, evitando così di abbondare nella descrizione morbosa di particolari che esulano dagli elementi essenziali della vicenda. Purtroppo anche i femminicidi, come del resto tutte le vicende che ricadono sotto la diarchia di sesso e sangue, sono, da sempre, un potentissimo elemento di attrazione per un vasto pubblico che di tutto ciò è assetato e che in cambio offre vendite in edicola, indici di ascolto, clic sulle pagine Internet. Una tentazione cui, come dimostra la realtà quotidiana a tutti i livelli, risulta difficile resistere.