Non ci disuniamo
È la scena clou, o comunque una delle scene più significative del nuovo film di Paolo Sorrentino. Fabietto Schisa, il protagonista, il ritratto dell'autore da giovane, segue il regista Antonio Capuano in una sera di grandi domande e peregrinazioni fino al mare. L'aspirante inesperto, in cerca di una prima risposta, di un incoraggiamento, e il vecchio maestro si confrontano. Il secondo incalza il primo e alla fine gli chiede (una domanda che è uno schiaffo): la tieni qualcosa 'a ricere, la tieni qualcosa da dire, ce l'hai qualcosa da raccontare, una storia che sia degna di essere comunicata agli altri? E Fabietto, costringendo tutti noi a pensare se qualcosa da dire ce l'abbiamo mai avuta, per non dire se ancora ce l'abbiamo, se ne esce con un grido strozzato: sì, sì, ce l'ho qualcosa da dire. Poi il racconto della morte dei genitori, il fatto che non gli abbiano mostrato i cadaveri, vale a dire il groppo irrisolto (il dolore) dal quale dovrebbe o potrebbe uscire quella sospirata e necessaria cosa da dire. E qui Capuano placa la sua foga, forse è colpito, e proclama, ripete: non ti disunire Fabio, non ti disunire!
Ed ecco che noi ci disuniamo, e cadiamo giù, cadiamo fuori, siamo oltre noi stessi, oltre la nostra comunità, oltre il nostro destino, oltre quello che potrebbe farci bene, oltre in un oltre senza ritorno.
Ma cosa vuol dire “non ti disunire”? In una bella intervista che Concetto Vecchio ha fatto proprio a Capuano (quello vero), il regista napoletano dice: «È una frase che si diceva giocando a calcio: non ti disunire!». Tentiamo allora un'interpretazione approssimativa. Chi si disunisce asseconda forse una tendenza che potrebbe portarlo lontano da sé stesso, e con ciò a rattrappirsi, a sfaldarsi? Per non farlo occorrerebbe quindi tenersi sempre “uniti” al proprio punto di cottura, come una pietanza che prende colore e forma e sostanza nel forno. Oppure in quel “disunirsi” da evitare risuona piuttosto un paventato eccesso di individualismo, un voltare le spalle alla propria comunità di riferimento e al posto, alle tradizioni che, come una cornice infrangibile, devono sempre essere rispettate? Sinceramente non lo so, io non lo so come fare per non disunirsi, e davvero non capisco neppure bene cosa significhi. Eppure quel grido ha molta forza, ci fa pensare a un pericolo imminente, come se stessimo danzando coi piedi vicinissimi a un precipizio, per di più bendati, e poi un piede scivola ed ecco che noi ci disuniamo, e cadiamo giù, cadiamo fuori, siamo oltre noi stessi, oltre la nostra comunità, oltre il nostro destino, oltre quello che potrebbe farci bene, oltre in un oltre senza ritorno.
E allora, anche se non si capisce cosa significhi, perché capirlo è quasi impossibile, anche se non si capisce ma si capisce che è necessario capirlo, cerchiamola questa cosa da dire, cerchiamo anzi di essere una cosa da dire, e cerchiamo qualcuno a cui dirla. E soprattutto: proviamo a non disunirci.